Un difficile rilancio

La storia dell'Università di Bologna nel XIX secolo.

Nel 1794, spinti dagli entusiasmi rivoluzionari francesi, gli studenti Luigi Zamboni e Giovanni Battista De Rolandis, provarono invano a sovvertire l’assolutismo secolare della Chiesa, incitando il popolo bolognese alla ribellione.

I tempi non erano ancora maturi per un'insurrezione di tale portata e i due, prontamente arrestati, morirono per questo maldestro e precoce tentativo, che li avrebbe comunque immortalati come i primi martiri del Risorgimento italiano.

Poche settimane dopo l’impiccagione di De Rolandis (Zamboni era morto l’anno prima probabilmente suicida), nel 1796 le truppe napoleoniche entrarono in città e posero nelle mani del giubilante Senato il governo locale, strappandolo dalla potestà del legato pontificio.

L’entusiasmo degli aristocratici era giustificato anche dal fatto che Bologna era stata elevata a capitale della Repubblica Cispadana, titolo che tuttavia mantenne solo per pochi mesi, ossia fino a quando, creatasi la Repubblica Cisalpina, fu fatta capitale la più moderna Milano (luglio 1797).

Per quanto riguarda l’Alma Mater, il corpo docente fu costretto a giurare fedeltà alla Costituzione repubblicana e chi non si prestò ad aderire, tra gli altri Luigi Galvani, Giuseppe Mezzofanti e Clotilde Tambroni, venne allontanato dalla professione.

La laicità della rivoluzione cancellò la didattica di Teologia e di Diritto canonico, e concentrò l’amministrazione dello Studio nell’organismo centralizzato del Dipartimento del Reno, abrogando le secolari corporazioni delle Universitates degli studenti e del Collegio dei Dottori.

Ma è con la creazione della Repubblica Italiana (1802-05), dopo la breve parentesi austriaca, che fu emanata una vera e propria legge nazionale relativa all’istruzione pubblica.

Incisione discorso di CarducciNel 1802 vennero riconosciute e trasformate in statali solo le università di Bologna e di Pavia, la cui offerta didattica veniva limitata a tre facoltà professionalizzanti: Fisica-Matematica, Medicina e Legge.

Mentre le prime due vennero affidate al Ministero dell’Istruzione, quella giuridica fu sottoposta al controllo del Ministero dell’Interno, in un’ottica di forte normativizzazione e legalitarismo, per la quale si affidava al Rettore, scelto tra i professori, un ruolo sanzionatorio e coercitivo.

Dopo questa profonda trasformazione strutturale, nel 1803 si decise di spostare l’Ateneo bolognese dalla storica sede dell’Archiginnasio al decentrato Palazzo Poggi, già allestito nel secolo precedente, con laboratori, biblioteche, uffici e aule didattiche ad opera dell’Istituto delle Scienze.  

Quest’ultimo venne sciolto e se ne ricavò da un lato l’Istituto nazionale per la promozione di attività scientifiche, dall’altro l’Accademia delle Belle Arti, ricollocata nel vicino convento di Sant’Ignazio di Loyola che, come molti altri in città e in tutto il Paese, era stato soppresso dalle riforme napoleoniche.

L’intero quartiere nord-orientale si trasformò così nel nuovo distretto culturale cittadino, dove a suo tempo era già stato inaugurato il Teatro Comunale (1763). Vennero aperti il Liceo filarmonico (poi Conservatorio), negli spazi dell’ex convento di San Giacomo Maggiore, la Pinacoteca, legata all’Accademia, e gli orti botanico e agrario presso la cinquecentesca Palazzina della Viola.

La scossa subita dall’Università e dalla citta tutta perdurò anche dopo il declino del regno italico (1805-14) e nel primo decennio della Restaurazione papalina.

Lo Studio mantenne il suo assetto napoleonico, ma furono ovviamente ripristinate le cattedre teologali e gli esercizi spirituali.

Una radicale riconversione all’ideologia cattolica si ebbe poi, nel 1824, con la Constitutio qua studiorum methodus di papa Leone XII, nella quale si imponeva alle quattro facoltà istituite, Teologia, Legge, Medicina-Chirurgia e Filosofia, l’asservimento ai valori religiosi, in un’epoca che nel resto d’Europa stava invece portando alle verità del Positivismo.

A capo delle amministrazioni universitarie venne posta una Sacra Congregazione composta interamente da cardinali, sotto i quali i rettori, anch’essi ecclesiastici, diventarono vigili osservatori della condotta morale del personale accademico.

I pochi studenti iscritti in questo periodo, dal canto loro, dovevano presentarsi con un certificato di buona condotta firmato dal loro parroco, accettando in seguito il controllo assoluto su tutti gli aspetti della loro vita pubblica e privata.

Nonostante questo enorme strappo dalla realtà e dal progresso contemporaneo, si possono rintracciare anche in quegli anni alcuni grandi nomi dell’Ateneo come: il giurista Giuseppe Ceneri, il naturalista Camillo Ranzani e, soprattutto, il clinico Francesco Rizzoli, fondatore dell’omonimo Istituto ortopedico, ancora oggi tra i più all’avanguardia al mondo.

Non mancò una frangia di oppositori a questa deriva autoritaria, che solo per pochi mesi riuscì a imporsi tramite le rivolte carbonare del 1831. Dopo la breve parentesi delle Province Unite, Roma, riappropriatasi dei suoi domini, iniziò a considerare, con motivi fondati, Bologna e la sua università come un covo di rivoluzionari.

Quando infatti, nel 1849, venne proclamata la Repubblica Romana, Bologna resistette con orgoglio alla discesa degli austriaci, che tuttavia riuscirono a recuperare i territori papali e a riconsegnarli al loro legittimo signore.

Ma i tempi oramai erano maturi per una più organizzata rivoluzione collettiva, che vide tra i suoi maggiori sostenitori gli studenti e i professori dell’Alma Mater.

Infine, l’11 marzo 1860 i bolognesi, liberatisi definitivamente l’anno prima dall’egemonia pontificia, votarono per l’annessione al Regno sabaudo.

Nell’esultanza dell’annessione alla corona savoiarda, la città si riorganizzò per respirare il futuro, ammodernando il suo tessuto edilizio e urbanistico e svecchiando la sua classe dirigente, che sarebbe stata poi coinvolta nella fondazione del Regno italico.

Dal canto suo l’Alma Mater dovette invece aspettare quasi un trentennio per raggiungere un simile cambiamento.

Nonostante l’istituzione di nuove Facoltà (Giurisprudenza, Filosofia-Filologia, Matematica e Medicina), dalle quali veniva esclusa quella di Teologia; nonostante l’inaugurazione delle moderne cliniche universitarie nell’ex convento di Sant’Orsola (1869); nonostante l’attivazione delle scuole specialistiche (Magistero, 1876; Medicina veterinaria, 1876; Applicazione per ingegneri, 1877; e Scienze politiche, 1883), l’intero organismo potette fare affidamento solo su pochi nomi di prestigio, primo tra tutti il rettore Giovanni Capellini, che col supporto di alcuni politici locali, come Marco Minghetti, potettero intervenire per migliorare lo stato cronico d’arretratezza nel quale ancora versava l’Alma Mater Studiorum.