Pier Paolo Pasolini

Poeta, Scrittore, Regista e Drammaturgo (Bologna, 1922 – Roma, 1975).

Pasolini ebbe con Bologna un rapporto molto stretto negli anni liceali e universitari. L’Alma Mater restò impressa nella sua opera grazie alla frequentazione delle lezioni del professore di Storia dell’Arte, Roberto Longhi, dal quale Pasolini assorbì una profonda cultura figurativa.

Pier Paolo Pasolini Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna, in via Borgonuovo, nel 1922. Il padre Carlo Alberto era un ufficiale e apparteneva al ramo cadetto di una nobile famiglia ravennate, mentre la madre, Susanna Colussi, era maestra elementare.

L’infanzia del giovane Pier Paolo fu caratterizzata da continui spostamenti nel Nord Italia per seguire la carriera del padre. Frequentò il ginnasio a Reggio Emilia e il liceo Galvani a Bologna, dove i Pasolini erano tornati nel 1937.

Saltando l’ultimo anno di liceo, Pero Paolo si iscrisse alla facoltà di Lettere nel 1939, dove strinse amicizia con Roberto Roversi e Francesco Leonetti e dove ritrovò il compagno di ginnasio Luciano Serra.

Affascinato dalle sue lezioni –fu per la sua carriera incisivo il corso sui “Fatti di Masolino e Masaccio”- decise di chiedere a Roberto Longhi la tesi di laurea.

La stessa attrazione verso espressioni arcaiche e primordiali dell’arte lo portò a pubblicare nel 1942 Poesie a Casarsa, un libretto nel dialetto friulano (la madre era di Carsara). Era per Pasolini un periodo di sperimentazione, nel quale percepiva se stesso come pioniere puro, come eterno adolescente, libero e incorrotto. Per quanto riguarda la formazione intellettuale bolognese, Pasolini collaborò col mensile dei Gruppi Universitari Fascisti “L’Architrave” e alla fondò la rivista “Il Setaccio”.

Il rapporto intenso col mondo contadino friulano si dissolse sotto i colpi della guerra, che richiamò tra le sue fila il ventunenne Pier Paolo pochi giorni prima dell’armistizio (1943). L’esperienza segnò profondamente il giovane scrittore che, assieme al suo reparto, venne fatto prigioniero dai tedeschi, dai quali riuscì a scappare, riparando a Casarsa, dove la famiglia si era nel frattempo ritirata. Durante la fuga rocambolesca, tuttavia, Pasolini perse gli appunti della sua tesi di laurea e, una volta ritornato a Bologna, decise di cambiare argomento e quindi relatore, laureandosi nel 1945 con Carlo Calcaterra con una tesi su Giovanni Pascoli.

Mentre il padre era in Africa, prima combattente nelle colonie italiane, poi prigioniero in Kenya, Pasolini si dedicò all’insegnamento in una piccola scuola privata aperta con la madre e, successivamente, in una scuola media di Valvasone, in provincia di Pordenone.

Fu per lui tragica la morte dell’amato fratello Guido, ucciso nel 1945 dai partigiani garibaldini che auspicavano l’adesione del Friuli alla Jugoslavia di Tito.

Nel 1947 Pasolini si iscrisse al PCI, impegnandosi attivamente non solo in campo politico, ma anche in quello letterario.

La sua iniziale propensione alla lirica e all’autobiografia, lasciò il posto al progetto di un romanzo sociale che doveva intitolarsi La meglio gioventù, ma che venne infine pubblicato posteriormente, nel 1962, tagliato e stravolto, col titolo Il sogno di una cosa. Nel romanzo compariva già il tema erotico omosessuale, che rifletteva l’interesse dello scrittore per i giovani contadini, incontrati spesso alle sagre di paese e nelle fiere. Una delle tante avventure sessuali venne ad essere conosciuta fece scalpore, portando Pasolini ad una passo dalla condanna (1949). Il fatto ebbe conseguenze inevitabili come la sospensione dalla scuola e l’espulsione dal PCI.

Pier Paolo e la madre decisero dunque di allontanarsi dal paese dello scandalo –il padre, caduto in depressione per l’accaduto, li avrebbe raggiunti in un secondo momento- rifugiandosi a Roma nel 1950, presso uno zio materno. 

Il trasferimento nella capitale inaugurò un periodo di grazia per Pasolini che negli anni ’50 riuscì a emanciparsi dal provincialismo bigotto (uscirà postumo il romanzo Il disprezzo della provincia) e a entrare in contatto con artisti e intellettuali come Sandro Penna, Giorgio Caproni, Moravia ed Elsa Morante. Venne fin da subito affascinato dal sottoproletariato locale e dalla sua miserabile bellezza.

Le sue prime esperienze lavorative lo videro tentare la carriera da attore a Cinecittà, per poi tornare a insegnare dal 1951 al 1953 in una scuola periferica di Ciampino.

Caso vuole che i vicini di casa fossero i Bertolucci, con cui Pier Paolo strinse subito amicizia. Con Bernardo fece i primi passi nella cinematografia, mentre grazie al padre Attilio ebbe l’imponente commissione da parte della casa editrice Guanda di due antologie dedicate alla poesia dialettale del Novecento e alla poesia popolare italiana.

Nel 1954 si cimentò come sceneggiatore per Mario Soldati nel film “La donna del fiume”, collaborando poi per Federico Fellini in “Le notti di Cabiria” (1957) e ne “La dolce vita” (1960).

Continuò nel frattempo a scrivere, dando alle stampe, nel 1954, le poesie friulane nel volume La meglio gioventù, pubblicando l’anno seguente il controverso romanzo Ragazzi di vita, nel 1957, la raccolta di poemetti Le ceneri di Gramsci (sarà per questo inviso ai comunisti per il suo atteggiamento critico nei confronti della dirigenza del PCI) e infine, nel 1959, il romanzo ideologico Una vita violenta.

Dal 1955 collaborò anche con il bimestrale di poesia “Officina” fondato a Bologna dallo storico amico Roberto Roversi.

La fuga di Pasolini nel monto proletario, lontano dal perbenismo borghese, inteso come malattia culturale più che come condizione sociale, non bastò quando, negli anni ’60, con la globalizzazione scalpitante, anche i più indigenti si stavano omologando al pensiero unico dell’Occidente. Nuovi e più lontani orizzonti si aprivano come rimedio allo smarrimento: i paesi del Terzo Mondo divennero terre promesse dove il remoto geografico coincideva con la purezza del primitivo.

Unico suo rifugio in una Roma che ormai non riconosceva più divenne Ninetto Davoli, il solo tra i tanti ragazzi di borgata ad aver preso un posto stabile nella sua vita.

Proletari o borghesi, i giovani ormai avevano perso la loro missione salvifica e rivoluzionaria, che ancora si intravvedeva nel film-inchiesta del 1965 “Comizi d’amore” (interessanti sono le interviste che Pasolini fece anche ad alcuni ragazzi dell’Alma Mater Studiorum). Lo scoramento e la totale delusione subentrarono dopo il viaggio negli Stati Uniti (1966), che si rifletterono nell’analisi critica che Pasolini fece sulle manifestazioni studentesche del ’68 italiano: l’omologazione nella trasgressione portava le cause rivoluzionarie all’adesione ad un nuovo classismo e quindi ad una sorta di mera guerra civile tutta borghese.

La perdita delle speranze e delle certezze condusse Pasolini a sperimentare nuove vie anche nella letteratura tanto nelle raccolte poetiche, come nella rabbiosa La religione del mio tempo (1961), nell’informale Poesia in forma di Rosa (1964) e nella nevrotica Trasumanar e organizzar (1970), quanto nei romanzi non-finiti e metanarrativi, come La divina mimesis (1963) e le Ali dagli occhi azzurri (1965).

Ma è attraverso il cinema che Pasolini riuscì a svincolarsi dai lacci della finzione e a raggiungere un più bruciante e profondo contatto col pubblico. Accattone (1961), Mamma Roma (1962), La Ricotta (1963), Uccellacci e uccellini (1965), Edipo re –ambientato in parte a Bologna sotto il portico di Servi e in Piazza Maggiore- (1967) e Medea (1969), segnarono e sconvolsero la storia del cinema italiano e non solo.

Dalla purezza dei primi anni, alla fuga degli anni giovanili, alla critica di quelli maturi, Pasolini giunse alla disperazione degli ultimi anni. Gli anni ‘70 si aprirono proprio con l’abbandono di Ninetto (1971).

La collaborazione col ‘Corriere della Sera’ si alternava all’attività cinematografia e a quella letteraria.

Testamenti della sua esistenza e riflessi della società che lo aveva deluso e allontanato restano ancora oggi dei punti chiave della cultura italiana: l’inquisito film Salò e le 120 giornate di Sodoma (alcune riprese vennero fatte a Bologna nello spiazzo antistante Villa Aldini), la raccolta poetica friulana la Nuova gioventù e il romanzo mai finito Petrolio.

All’età di 53 anni Pasolini venne trovato morto all’idroscalo di Ostia (1975). Una vita scandalosa e controcorrente trovò così termine. Si aprì subito una pista omosessuale, che voleva l’imputato Pino Pelosi condannato “in concorso con ignoti” come carnefice per vendetta di alcuni ragazzi o dei loro protettori. Solo recentemente si è aperta un’altra pista, più inquietante e intricata, quella di Eugenio Cefis, ex presidente dell’ENI e allora presidente della Montedison, che si ipotizza fu il mandante per ciò che Pasolini aveva rivelato in Petrolio, ovvero le verità sull’attentato aereo che era costato la via a Enrico Mattei.