Grecorio XIII (al secolo Ugo Boncompagni)

Laureato in Diritto romano e canonico, professore di Diritto, 226° papa della Chiesa cattolica (Bologna, 1501 – Roma, 1585).

In anni travagliati e rivoluzionari, dove l’Europa cristiana si stava sgretolando, il ‘nemico’ turco era ancora alle porte, e le Americhe aprivano una nuova visione del Mondo, la Chiesa di Roma si affidò al bolognese Ugo Boncompagni, professore di Diritto canonico presso l’Alma Mater Studiorum. Divenuto Gregorio XIII, il papa giurista seppe concentrare nelle sue mani il potere amministrativo, circondandosi di figure carismatiche come Carlo Borromeo e Gabriele Paleotti, e delegando alla Compagnia di Gesù la diffusione di una ritrovata spiritualità cattolica.

Grecorio XIII (al secolo Ugo Boncompagni)Ugo Boncompagni nacque a Bologna nel 1501 da Cristoforo Boncompagni e Angela Marescalchi, appartenenti a due ricche famiglie mercantili.

Nel 1530 si laureò in utroque jure, ossia in Diritto romano e in quello canonico, in un anno particolarmente felice per Bologna, ospite dell’incoronazione di Carlo V per mano di Clemente VII.

Dal 1531 al 1539 il Boncompagni insegnò Diritto nello Studio cittadino, impartendo lezione, tra gli altri, ad Alessandro Farnese, Ottone di Waldburg, Reginald Pole, Stanislao Osio e Paolo Baruli d’Arezzo.

Terminata la docenza, nel 1539 ebbe inizio la sua lunga carriera ecclesiastica.

Trasferitosi a Roma, nel 1540 ricoprì la carica di secondo collaterale del Campidoglio, uno dei due giudici del tribunale civile, divenendo sacerdote due anni più tardi e infine referendario utrisque signature nel 1545.

Apprezzato per la sua conoscenza del Diritto, venne poi coinvolto nel Concilio di Trento, che nel marzo del 1547 trovava proprio a Bologna la sua nuova e momentanea sede.

Alla scadenza delle due sessioni emiliane il Boncompagni fece ritorno a Roma (1548) in qualità di giurista del Concilio, con l’arduo compito di difendere la traslazione osteggiata dall’imperatore Carlo V.

In quello stesso anno il padre morì e lasciò a Ugo una cospicua eredità, compresa parte del bel palazzo bolognese, che in futuro gli sarebbe stato utile per ricevere ufficialmente in qualità di cardinale.

Sempre nel 1548, Ugo divenne padre di Giacomo, avuto con una donna nubile, Maddalena Fulchini.

Con la salita al soglio pontificio di Giulio III (1550) non gli vennero riconfermati i precedenti incarichi per la seconda fase del Concilio (1551-52), ma lo si pose a segretario papalino.

Paolo IV, invece, lo reinserì nel circuito conciliare (1556), legandolo inoltre al nipote Carlo Carafa nelle sue missioni internazionali in Francia e a Bruxelles, e ascrivendolo nel 1558 alla commissione incaricata di legittimare le dimissioni di Carlo V e la salita al trono imperiale del fratello Ferdinando I. 

Sempre sotto Paolo IV il Boncompagni fu nominato vicereggente della Camera apostolica e nel 1559 divenne membro dell’appena creato Consiglio di Stato, prendendo nello stesso anno, questa volta dalle mani di Pio IV, il vescovato di Vieste.

Legatosi alla nuova famiglia papale, ritornò ad avere un ruolo decisivo nel Concilio di Trento, aperto nel 1562 e concluso definitivamente a fine 1563.

Divenne quindi a Roma dipendente del cardinal nipote Carlo Borromeo, che lo aiuto ad ottenere l’ambita porpora cardinalizia nel 1565. Con tale carica venne mandato come legato a latere in Spagna per l’annosa questione inquisitoria contro il potente arcivescovo di Toledo, Bartolomeo Carranza, protetto di Filippo II. La delicata missione terminò con la morte del pontefice e la cadute delle accuse. Il Boncompagni fece comunque in tempo a ottenere il plauso e l’ammirazione del re spagnolo.

Tornato a Roma, sotto il nuovo pontefice, l’intransigente Pio V, venne allontanato da responsabilità di governo per adempiere più da vicino agli incarichi presso il Tribunale della Segnatura dei brevi.

Queste stesse abilità, che lo avevano spesso coinvolto negli affari giuridici ecclesiastici, furono nel 1572 il suo salvacondotto al soglio di Pietro. Solo due giorni di conclave e Ugo Boncompagni divenne Gregorio XIII.

Rispetto ai suoi predecessori limitò gli incarichi dei nipoti. A Filippo Boncompagni assegnò solo formalmente la direzione della politica pontificia, in realtà assegnata al cardinale Tolomeo Gallio, a Cristoforo Guastavillani lo rese governatore di Ancona e arcivescovo di Ravenna senza conferirgli nemmeno la porpora, assegnata invece a Filippo Guastavillani, nella cui villa sui colli Bolognesi oggi l’Alma Mater Studiorum ha trovato una degna sede per la sua Bologna Business School.

Per quanto riguarda invece il figlio Giacomo, non lesinò la sua intromissione, nominandolo castellano di Castel Sant’Angelo e gonfaloniere generale di Santa Romana Chiesa, la più alta carica militare dello Stato Pontificio, regalandogli il marchesato di Vignola, comprato agli Este, e il ducato di Sora, nel Regno di Napoli.

La figura di Gallio era l’unica alla quale avesse assicurato pieni poteri, concentrando invece su di sé la gestione del governo, in una visione accentratrice dell’amministrazione già inaugurata da Pio IV.

Anche gli obbiettivi del suo pontificato rimasero quelli dei predecessori, ovvero: la Riforma cattolica, la lotta alla Riforma protestante e lo scontro con l’impero Ottomano, sconfitto ma non annientato l’anno prima della sua elezione nella gloriosa battaglia di Lepanto (1571).

Si può dire tuttavia che, mentre per gli ultimi due i successi furono davvero esigui, per il primo, la riforma interna alla Chiesa, Gregorio XIII fu davvero un esperto esecutore.

Egli credeva ancora nella missione contro i Turchi, ma gli antichi alleati erano ormai assorbiti da preoccupazioni interne: l’Impero e la Francia per via dei protestanti, la Spagna per la nuova colonizzazione americana, Venezia per il ripiegamento sulla terraferma.

In Francia il papa guardava con apprensione l’atteggiamento remissivo di Carlo IX e di sua madre Caterina de’ Medici nei confronti degli ugonotti e fu amaramente colpito quando Enrico III, sebbene per poco tempo, arrivò a liberalizzare il culto (1576), cercando infine di rimediare ai disastri dei Valois, prossimi all’estinzione, partecipando alla creazione dell’alleanza cattolica tra i Borbone e i Guisa.   

Sul versante inglese, invece, auspicava la deposizione di Elisabetta I, inizialmente operandosi per maritare Francesco di Valois con l’infanta di Spagna e successivamente accettando i piani di Filippo II: puntare tutto su Maria Stuarda e combinare il suo matrimonio col fratello del re spagnolo, don Giovanni d’Austria. Quest’ultimo tuttavia, divenuto governatore dei Paesi Bassi, si sottrasse dalle mire inglesi per far fronte alle ribellioni antiasburgiche, anch’esse malamente gestite dallo stesso Gregorio XIII.

Per quanto riguarda l’Impero, sia Massimiliano II sia Rodolfo II non diedero alcuna soddisfazione al papa, né contro gli Ottomani, né contro i protestanti.

Inaspettatamente, al contrario, Gregorio XIII trovò un valido alleato su entrambi i fonti nel voivoda di Transilvania Stefano Bathoy, che nel 1575 divenne anche re di Polonia.

Non così soddisfacenti furono i rapporti con il re di Svezia Giovanni III Vasa che, nonostante fosse sposato ad una cattolica, Caterina Jagellone di Polonia, non riuscì totalmente a imporsi alla nobiltà protestante.

In Italia Gregorio XIII operò una politica sottile ma decisa, che ben si può immaginare anche solo ammirando la Galleria delle carte geografiche, affidata al domenicano Ignazio Danti nei palazzi vaticani (1580-85): un Italia frammentata ma riunita nei suoi appartamenti.

Da un punto di vista religioso, invece, il papa bolognese applicò sistematicamente i decreti del Concilio di Trento, che diedero impulso ad un forte centralismo romano.

Rispetto a Pio V ebbe un atteggiamento meno rigido nei confronti dei regnanti d’Europa e dei loro governatori locali, poiché il suo obbiettivo era la coesione più che il controllo religioso.

Nel 1573 mise subito operativa la congregazione dei Vescovi istituita l’anno prima da Pio V, e aumentò di numero e di importanza la carica dei nunzi. La missione della Chiesa riformata virava bruscamente dal tentativo, ormai considerato vano, di riportare l’Europa sotto un’unica croce al più diffuso obiettivo universale di convertire i popoli del mondo. Per creare i nuovi adepti a tale missione, completamente indottrinati coi precetti tridentini, si dovette pensare ad una capillare diffusione di moderni seminari, spesso affidati al culto pedagogico dei Gesuiti. I seguaci di Ignazio di Loyola, divennero così l’arma più potente del pontefice, non solo all’interno della Chiesa, ma anche nelle spedizioni in America e in Asia (tra gli ultimi decreti del Boncompagni, nel 1585, ci fu l’esclusiva delega alla Compagnia di Gesù per l’evangelizzazione di Cina e Giappone).

Persa la speranza di un ritorno cattolico dei paesi protestanti, Gregorio investì molte energie per creare un nuovo dialogo con le Chiese d’Oriente: la sira, la copta, l’abissina e l’armena, tentando invano anche una riconciliazione con quella ortodossa.

I Gesuiti, ormai controllori della nuova dottrina, vennero premiati dal pontefice con l’elezione del loro Collegio Romano, fondato nel 1551 dal Loyola, ad Archiginnasio Gregoriano, tutt’oggi chiamato, in onore del Boncompagni, Pontificia Università Gregoriana.

Non furono i soli a giovare della politica sistematica del papa: anche i nuovi ordini dei barnabiti, dei teatini, dei cappuccini vennero protetti e favoriti, come pure i Carmelitani scalzi, riformati da Teresa d’Avila, e gli Oratoriani, appena creati da Filippo Neri. Queste schiere di umili servitori monastici e conventuali si trasformarono in una potente macchina culturale che riorganizzava la Chiesa in una nuova veste spirituale e penitenziale.

Per riportare il Cattolicesimo all’unità e ad una gestione centralizzata e omogenea, vennero messi in campo numerosi altri espedienti.

Primo tra tutti la pubblicazione, nel 1582, del Corpus Iuris Canonici, pilastro giuridico della Chiesa di Roma fino al 1917, basato sul Decretum, redatto da Graziano e dalla sua Scuola bolognese nel XII secolo.

Nello stesso anno il cardinale Gabriele Paleotti, divenuto arcivescovo metropolitano di Bologna, mise alle stampe il suo Discorso intorno alle immagini sacre e profane, col quale si imponeva una nuova maniera artistica, semplice e di effetto, utile soprattutto ad accattivare o commuovere le masse di credenti.

Il culto delle immagini, rigettato dai protestanti, venne ampiamente elevato dalla Chiesa romana anche attraverso lo studio sistematico delle catacombe e delle loro primordiali pitture.

L’omologazione passava ovviamente anche attraverso la censura. Appena eletto papa, Gregorio XIII rese esecutiva la decisione di Pio V di erigere una congregazione cardinalizia permanente dell’Indice dei libri proibiti. Continuò ad affidarsi all’inquisitorio Santo Uffizio, creato da Paolo III nel 1542, facendo stilare per esso nel 1577 un rigido elenco di 20 casi che portavano alla scomunica.

Per esaltare la verità cattolica e per legare questa alla Chiesa romana il Boncompagni fu sempre sfavorevole alla traduzione delle Sacre Scritture. Affidò a Carlo Sigonio (studente a Bologna durante i suoi anni di insegnamento), una Storia della Chiesa (mai portata a termine), in risposta a quella redatta dai dottori protestanti di Magdeburgo. Infine, richiese un definito Martirologio Romano a Cesare Baronio, al quale Filippo Neri aveva già ordinato gli Annales ecclesiastici: venivano così stilati due abbecedari che andavano ad esaltare le figure esemplari dei santi, dei beati e dei martiri, legandole a nuove e precise festività.

Queste ultime si incasellarono nel nuovo calendario, che ancora oggi prende il nome dal pontefice bolognese: il calendario gregoriano.

Si era giunti alla necessità di ricalcolare lo scorrere del tempo per una pura esigenza religiosa. Col passare dei secoli, infatti, lo scarto tra l’anno civile e l’anno solare era cresciuto di 10 giorni e ciò aveva comportato lo slittamento dell’equinozio di primavera, in relazione al quale si calcola la Pasqua, all’11 di marzo. Venne così richiesta una commissione apposita, presieduta dal vescovo di Sora, Tomaso Giglio, cui successe nel 1576 il cardinale Sirleto, e formata da teologi, giuristi e scienziati. In essa ebbe particolare rilevanza il già citato Ignazio Danti, ai tempi professore di matematica a Bologna, al quale Gregorio XIII aveva affidato il progetto dell’astronomica Torre dei Venti, proprio per definire con precisione il nuovo calendario.

La commissione stilò un Compendium, che, dopo essere stato verificato dai dottori delle università cattoliche, entrò in vigore il 24 febbraio del 1582, anno nel quale, con la bolla papale ‘Inter gravissimas’ si passò da giovedì 4 ottobre a venerdì 15 ottobre.

Durante questo lungo pontificato, Ugo Boncompagni mantenne sempre ottimi rapporti con Bologna e la sua università, divenute entrambe per lui indispensabili protagoniste della riforma della sua Chiesa. Nella sala per i banchetti in Vaticano, in occasione del Giubileo del 1575, fece affrescare una grande e minuziosa mappa, per far ammirare la sua città natale a tutti gli invitati. La città, in tutta risposta, gli dedicò una statua bronzea, fusa nel 1580 da Alessandro Menganti, che ancora campeggia benedicente, sopra l’ingresso del palazzo del Comunale.