Torquato Tasso

Poeta, cortigiano, drammaturgo, filosofo (Sorrento, 11 marzo 1544 – Roma, 25 aprile 1595).

Forse il più complesso rappresentante del difficile periodo controriformato, Torquato Tasso fu un cortigiano malinconico ed errabondo, un vero genio spesso incompreso dai suoi stessi protettori. Ai tempi del suo soggiorno bolognese come studente di Diritto ancora non era stato ‘affetto’ da quella ossessione all’ortodossia cattolica che lo avrebbe portato a spendere la sua vita su continue rivisitazioni della sua Gerusalemme Liberata.

Torquato TassoTorquato Tasso nacque a Sorrento nel 1544 in una ricca e nobile famiglia a quei tempi alle dipendenze dei Sanseverino, principi di Salerno nel regno asburgico di Napoli. Il padre, Bernardo Tasso, era un letterato e cortigiano veneziano di nobiltà bergamasca, mentre la madre, Porzia de’ Rossi, apparteneva all’aristocrazia toscana.

L’infanzia di Torquato fu condizionata dai tanti spostamenti che il padre dovette fare per rimanere al seguito di Ferrante Sanseverino.

Dopo il soggiorno napoletano (1550-1554), nel quale il giovane ricevette un’istruzione sia privata sia impartita nel collegio gesuitico, padre e figlio, presero la volta di Roma, dove vennero raggiunti dalla dolorosa notizia della morte di Porzia, rimasta a Napoli e probabilmente avvelenata dai suoi fratelli.

La situazione politica romana entrò presto in crisi e Bernardo decise di mandare il figlio nella città d’origine della famiglia, Bergamo, per poi richiamarlo questa volta a Urbino, sotto la protezione di Guidobaldo II della Rovere.

Nella città marchigiana Torquato studiò accanto al figlio del duca, Francesco Maria, e a Guidobaldo Del Monte, futuro illustre matematico, ricevendo una ricca istruzione dai precettori di corte. Di questo periodo è il primo componimento poetico, un sonetto in lode a Urbino, che testimonia l’influenza sul giovane dei poeti allora presenti in città.

Nel 1559 fu la volta di Venezia, dove il padre si era recato per trovare nuovi editori per le sue opere. Si crede che in questo periodo Torquato abbia messo mano al Rinaldo e al primo libro della Gerusalemme.

L’anno seguente il giovane si iscrisse controvoglia alla facoltà di legge all’università di Padova, dove frequentò con più partecipazione alle lezioni di filosofia ed eloquenza e dove assimilò l’erudita cultura aristotelica del precettore Carlo Sigonio e di Sperone Speroni, ravvisabile nei futuri Discorsi dell’arte poetica (1594).

Intanto il padre si era trasferito alla corte ferrarese e anche il Tassino (così veniva chiamato Torquato per distinguerlo dal padre), iniziò a farsi notare presso gli estensi per le sue velleità poetiche, tanto che risale a quel periodo la sua prima pubblicazione di poesie, seguita nel 1562 dalla stampa del Rinaldo, poema cavalleresco che uscì a Venezia con dedica a Luigi d’Este.

Grazie al sostegno finanziario del duca di Urbino, nel 1563, Torquato si trasferì a Bologna con una borsa di studio che gli permise di iscriversi presso l’università locale. Al suo arrivo, l’antico Ateneo era appena stato unificato presso il nuovo palazzo dell’Archiginnasio, simbolo di un potere e di un controllo ecclesiastico che sarebbe perdurato sui programmi accademici e i regolamenti morali per tutta l’età moderna. Il disinvolto studente venne severamente punito per alcuni testi in cui metteva alla berlina alunni e professori e per tale motivo, nel 1564, venne espulso dall’Alma Mater e gli venne confiscata la borsa di studio.

La notorietà e le abilità cortigiane del Tasso gli permisero tuttavia di trovare ben presto un nuovo protettore, Scipione Gonzaga (il padre era entrato nel frattempo alle dipendenze di Guglielmo Gonzaga duca di Mantova), che a Padova gli permise di continuare gli studi e di entrare, col nome di “Pentito”, nell’Accademia degli Eterni.

Il salto di qualità potette però farlo nel 1565 grazie al sostegno del cardinale Luigi d’Este, che lo chiamò a Ferrara, presso la cui corte il Tasso visse per dieci anni il suo periodo d’oro. Senza incombenze di alcun tipo, il poeta potette dedicarsi esclusivamente alla produzione letteraria, continuando in primis la stesura della Liberata.

Dopo un non felice viaggio in Francia al seguito di Luigi d’Este, nel 1571, Tasso decise di lasciare il suo entourage e di chiedere nuova protezione a Roma presso lo zio di questi, il cardinale Ippolito II d’Este. Nuovamente deluso, facendo tappa a Urbino, tornò infine a Ferrara (1572), questa volta direttamente sotto la potestà del duca Alfonso II.

Fu questo un periodo particolarmente fecondo per le opere teatrali, come la favola boschereccia dell’Aminta (pubblicata nel 1580) e la tragedia Galealto re di Norvegia, opera mai poi portata a termine ma successivamente rivisitata nel Re Torrismondo (1587).

Purtroppo, però, proprio quando ebbe finalmente finito nel 1575 La Gerusalemme, iniziò una lunga nevrotica fase, dovuta all’inquietudine di non aver soddisfatto le necessità e le rigide direttive morali della Controriforma. Chiese quindi parere a numerosi colleghi e nobili amici, ma mai si convinse della validità della sua opera, finendo addirittura per sottoporsi spontaneamente più volte al giudizio dell’Inquisizione, senza trovare nemmeno dopo le assoluzioni la sicurezza della sua ortodossia.

La vita alla corte iniziò quindi a stargli stretta anche per via delle poche entrate che riusciva a ottenere, sia come cortigiano sia come lettore all’Università ferrarese. Oltre a ciò si erano incrinati i rapporti con alcuni gentiluomini gravitanti attorno ad Alfonso II, alcuni dei quali denunciati persino all’Inquisizione.

Era iniziata la paranoia. Ossessionato dall’idea di essere spiato e malvoluto, cominciò ad avere atteggiamenti violenti e pericolosi che lo portarono ben presto alla prigione.

Travestito e stanco fuggì dalla sorella a Sorrento ma, pregato il duca di essere riammesso a corte, rientrò ben presto a Ferrara, da cui tuttavia ripartì immediatamente, più disperato che folle, alla volta di Mantova, Padova, Venezia, Urbino e Torino. Tornò quindi dagli Este, che però nel 1578 si videro costretti a rinchiuderlo per sette anni nell’ospedale di Sant’Anna, dove il poeta sconsolato rimase con le sue manie di persecuzione e con nuove tendenze autopunitive.

Durante la prigionia il noto poema venne edito a Venezia nel 1580, mutilo e senza il consenso dell’autore. Altre due edizioni uscirono l’anno seguente, prima a Parma, poi a Casalmaggiore, portando in quest’ultima il titolo arbitrariamente scelto dal curatore Angelo Ingegneri di Gerusalemme liberata.

Il Tasso fu così costretto a intervenire sulle versioni imperfette che circolavano e che già gli avevano apportato un gran successo, collaborando all’edizione ferrarese del 1581.

Altri turbamenti arrivarono però ben presto quando, in risposta all’esaltazione della sua opera su quella ariostesca da parte del poeta Camillo Pellegrino (Il Carrafa, o vero della epica poesia, 1484), l’Accademia della Crusca, all’opposto, ‘bocciò’ la Liberata per omaggiare Il Furioso (Difesa dell’Orlando Furioso degli Accademici della Crusca, 1485). Si innescò così un duro scontro di apologie e critiche, in particolare tra l’accademico Leonardo Salviati e lo stesso Tasso.

Accanto a questo accesa querelle Tasso riuscì a scrivere, spesso correggendoli più volte, numerosi discorsi e dialoghi, incentrati su tematiche morali, psicologiche, politiche e soprattutto religiose. Si ricordano: Della gelosia (1577); Il Forno, o de la Nobiltà (1579); Gonzaga, o vero del Piacer onesto (1580); Il Messaggero (1580); Il padre di famiglia (1580); Il cavaliere amante e la gentildonna amata (1580); Romeo o vero del giuoco (1580); Dell’amor vicendevole tra ‘l padre e ‘l figliuolo (1581); Della virtù eroica e della carità (1583); Della virtù femminile e donnesca (1583); La Molza, o vero de l’Amore (1583); Il Malpiglio, o vero della corte (1583); Il Malpiglio secondo o vero del fuggir la moltitudine (1583); Il Beltramo, overo de la Cortesia (1584); Il Rangone, o vero de la Pace (1584); La Cavalletta, o vero de la poesia toscana (1584); Il Ghirlinzone, o vero l’Epitafio (1585); Il Forestiero napolitano, o vero de la Gelosia (1585); Il Cataneo, o vero de gli Idoli (1585); Dell’arte del dialogo (1586); Il Secretario (1587); Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia l’anno 1585; e l’ultimazione del Trattato della Dignità (1585).

Finalmente, nel 1586, arrivò la scarcerazione e il Tasso trovò alla corte mantovana di Vincenzo Gonzaga un nuovo inizio lontano da Ferrara e dagli Este, che comunque continuarono a sorvegliarlo come fosse rimasto loro cortigiano.

Nel 1587 lo si ritrova a Roma, mentre l’anno seguente a Napoli, dove riuscì a vivere un ultimo periodo di agio e tranquillità, presto interrotto dalle ristrettezze economiche e dalla malattia. Risalito a Roma presso Scipione Gonzaga, ancora una volta gli venne precluso l’incontro agognato con papa Sisto V.

Fu quindi la volta di Firenze, presso il Granduca Ferdinando de’ Medici e i nobili toscani. Fu una breve parentesi di tranquillità.

Nel 1591 tornò quindi a Mantova, dove si dedicò a un’ennesima correzione della Liberata e alla raccolta delle Rime. Ma, irrequieto com’era, ridiscese presto a Roma e a Napoli, sempre più fiaccato e malconcio nella salute e nello spirito. A Napoli tuttavia riuscì momentaneamente a riprendersi, completando finalmente la Conquistata e scrivendo Le sette giornate del Mondo creato.

Anche nel nuovo soggiorno romano (1592), in occasione dell’elezione di Clemente VIII, ospitato dagli Aldobrandini, nipoti del nuovo pontefice, potette dedicarsi ai suoi scritti, ormai solo religiosi. Tra tutti si ricordano Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo, stese in occasione della morte di Scipione Gonzaga. Nello stesso 1593, infine, vide la luce l’edizione ultimata della Gerusalemme Conquistata.

Giunto a 51 anni, stremato e malato, dopo un ultimo soggiorno napoletano, si ritirò nel monastero di S. Onofrio sul Gianicolo, dove trovò finalmente l’agognata pace.