Taddeo Pepoli

Politico, Giurista, Signore di Bologna, laureato in Diritto civile (Bologna, 1290ca. – Bologna, 29 settembre 1347).

Proveniente da una famiglia di banchieri che aveva avuto la sua fortuna anche grazie alle ricchezze che l’università apportava alla città, Taddeo venne fin da subito instradato dal padre Romeo ad un modo nuovo di fare politica: quello della diplomazia e del diritto. Grazie alle sue conoscenze giuridiche e alla sua scaltrezza ottenne un potere mai visto prima a Bologna.

Taddeo PepoliTaddeo Pepoli nacque a Bologna in una ricca famiglia di banchieri, la cui fortuna era legata anche all’Università, per la quale il ceto creditizio locale era sempre stato indispensabile al cambio monetario, viste le varie provenienze dei giovani immatricolati.

Il padre Romeo di Zerra apparteneva alla fazione dei Geremei, guelfi cittadini, mentre la madre Azzolina proveniva dalla famiglia Tettalasini, legati ai Lambertazzi e alle loro politiche ghibelline.

Romeo era un uomo accorto e intraprendente, che alla fine del XIII secolo era riuscito a ottenere un potere protosignorile mai visto prima in città. Grazie ad un’astuta strategia matrimoniale era riuscito a legarsi non solo alle migliori famiglie bolognesi, ma addirittura alla potente dinastia estense (nel 1317 la figlia Giacoma sposò il marchese Obizzo d’Este).

Anche Taddeo rientrò in queste mirate tattiche del padre e nel 1308 si legò in matrimonio con Bartolomea Samaritani, sorella di Bornio, tra i più agguerriti sostenitori di parte guelfa.

Romeo aveva intuito le capacità del primogenito e, dopo aver puntando sulla sua erudizione in campo giuridico, usò il suo potere affinché tutta la città celebrasse nel 1320 la laurea del figlio in Diritto civile. Mai si era visto in città un conferimento della licentia docendi tanto ostentato e fastoso. Ciò, ovviamente, destò non poche critiche da parte dei privati, che avevano intuito come la cerimonia fosse solo un pretesto per imporre su Bologna i fasti della famiglia Pepoli. Romeo, inoltre, era riuscito ad addebitare al Comune le spese della gran cerimonia, forte della gratitudine che le autorità cittadine gli dovevano, dopo anni nei quali aveva finanziato la politica annonaria e le iniziative militari cittadine.  

Lo stesso Taddeo era già entrato nelle grazie del Comune, al quale aveva offerto preziose consulenze giuridiche, quando ancora non aveva ricevuto la laurea.

Il malcontento, tuttavia, sfociò presto in rivolta e la fazione maltraversa, ostile a quella scacchese dei Pepoli, ottenne nel 1321 la fuga di Romeo e dei suoi figli.

Prima a Ferrara, poi in Romagna, infine ad Avignone presso il papa, i Pepoli cercarono rifugio e vendetta, ma solo nel 1328, morto ormai da tempo il capostipite Romeo, Taddeo e i fratelli riuscirono a rientrare a Bologna col consenso del legato pontificio Bertrando del Poggetto.

Quest’ultimo richiamò i fuoriusciti per ingraziarsi il popolo bolognese, insofferente nei confronti del suo dispotismo e del suo strapotere. Eppure, questa mossa, non gli apportò tanto beneficio, anzi. Dopo qualche anno di reciproche diffidenze e guardinghe collaborazioni, i Pepoli e i loro sostenitori congiurarono contro l’alto prelato, vennero quindi scoperti e imprigionati, e anche quando furono liberati dopo ripetuti tumulti popolari, ripresero la loro campagna indipendentista, che portò nel 1334 alla fuga dello stesso Bertrando del Poggetto.

Senza il controllo papalino, in città ripresero gli scontri tra le fazioni dei maltraversi e degli schacchesi, conclusesi con la vittoria definitiva dei Pepoli e l’esilio degli avversari.

Nel 1337 Taddeo Pepoli venne proclamato Capitano del Popolo e “governatore generale e perpetuo del Comuno e del popolo di Bologna”, titolo che in seguito lui stesso modificò in quello di “conservatore di pace e di giustizia”, per ingentilire agli occhi dei cittadini quella che era di fatto una signoria a tutti gli effetti.

La sua politica accentratrice era in effetti cauta e accorta, rispettosa, almeno all’apparenza, della tradizione repubblicana e delle varie magistrature comunali.

Non così moderato fu invece il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa, la cui autorità venne allontanata dalle questioni amministrative cittadine. Tale politica anti-avignonese stimolò la pronta risposta di papa Benedetto XII. Il signore bolognese allora stipendiò i migliori oratori dello Studio per difendere la sua causa. L’ambasceria non riuscì nel su intento e il pontefice finì nel 1338 con lo scomunicare oltre Taddeo, la città la stessa Università. Quest’ultima venne poi costretta dal signore a rimanere in città (non potendo avere sede a Bologna si trasferì temporaneamente nella vicina Citta di Castel San Pietro Terme) e a vietare ai suoi professori di insegnare altrove.

Anche su questo versante, tuttavia, il signore di Bologna adottò strategie funzionali al suo potere e, riconciliatosi col pontefice, nel 1340 acconsentì alla reintroduzione in città di una figura vicaria, che proprio nella sua persona trovò però il nome.  

Durante il decennio di governo Taddeo Pepoli ridusse drasticamente le attività del Consiglio del Popolo, ridimensionò e controllò quelle del Consiglio degli Anziani e dei Consoli, e invalidò l’autorità del Podestà, delegando le sue responsabilità giuridiche ad una curia domini, integralmente costituita da personale notarile legato alla sua persona.

Nel complesso la situazione bolognese fu relativamente tranquilla anche se assai precaria.

Nei primi anni Taddeo dovette affrontare il pericolo di un’espansione scaligera, evitata la quale trovò molte più difficoltà per affrontare quella viscontea. Le alleanze con Ferrara, Venezia e Firenze, garantirono un minimo di sicurezza per Bologna, almeno fino alla morte del suo signore.

Questa giunse nel 1347. Dal momento che Taddeo non aveva scelto un successore venne convocato eccezionalmente il Consiglio del Popolo che conferì i poteri straordinari ai figli Giacomo e Giovanni.

I due Pepoli, non all’altezza del padre e del nonno, si videro consegnata una città in gravi crisi economiche e politiche, accresciute ulteriormente, l’anno seguente la loro salita al potere dalla terribile epidemia di peste.

Si videro così costretti, nel 1350, a vendere Bologna ai minacciosi Visconti, chiudendo la stagione dei Pepoli che per tre generazioni furono a capo del governo cittadino e facendo calare così su di loro una damnatio memoriae che sarebbe perdurata quasi due secoli.