Rolandino De’ Passaggeri

Notaio, politico e maestro di Arte Notarile (Bologna, 1215 ca. – Bologna, 1300).

Un’ascesa politica e sociale, quella di Rolandino de’ Passaggeri, come raramente si è vista nella storia di Bologna. Il Comune in cerca di una stabilità interna e in prima fila per contrastare il potere imperiale si affidò proprio alla maestria diplomatica ma strenuamente indipendentista dell’illustre notaio, che con un eccezionale potere proto-signorile contrastò i magnati, i ghibellini e gli avversari della sua rinomata Scuola.

Rolandino De’ Passaggeri Rolandino nacque a Bologna verso il 1215 da Rodolfino, locandiere ed esattore del dazio e delle gabelle cittadine (da qui il ‘cognome’ Passaggeri).

Nel 1234 si immatricolò all’Arte notarile e intraprese la carriera al servizio delle istituzioni pubbliche e di alcune importanti famiglie locali.

Gli venne affidata nel 1245 la prestigiosa carica di notaio delle potenti Corporazioni dei banchieri e dei cambiatori, per le quali redasse i nuovi statuti, usando un registro retorico fino ad allora impiegato solo nelle corti imperiali e papali.

In quel periodo Bologna era iscritta alla II Lega Lombarda, avversa al potere di Federico II. Nel 1249 riuscì a sconfiggere la ghibellina Modena, facendo prigioniero il figlio dell’imperatore, Enzo di Svevia. Questi venne tenuto come ospite sequestrato nel nuovo palazzo comunale che da allora prende il suo nome. Fu lo stesso Rolandino a rispondere alle minacce e alle pretese di Federico II, attraverso un’epistola divenuta simbolo del sentimento civico bolognese.

Nel 1251 il Comune riorganizzò i corsi di studio notarili e delegò all’Arte dei Notai l’esamina dei laureandi in tale disciplina, divenuta ormai fondamentale per la prosperità delle compagini comunali.

Proprio dal 1251 Rolandino si inserì come indiscusso protagonista dello Studio, nel quale fondò una sua scuola notarile, dedicandosi ad essa quasi esclusivamente fino al 1274 e redigendo per i suoi allievi importanti scritti teorici e pratici.

Accanto a opere specifiche come il Flos ultimarum voluntatum (sulla redazione testamentaria), il De officio tabellionatus in villis et castris (manuale per notai di campagna) e il Collectio contractum (sui contratti notarili) nacque la più composita Summa totius artis notariae (la “Rolandina”), pubblicata nel 1255 e divenuta subito, in tutta Europa, vero pilastro notarile.

Nel 1257 Rolandino fu uno dei firmatari del celebre Liber Paradisus, col quale il Comune di Bologna, primo al mondo, affrancò i servi della gleba. Lo scopo principale della legge riformista, al di là degli effetti, era quello di riuscire a tassare anche coloro che non potevano esserlo per la loro condizione servile.

L’atto abrogativo si inseriva in un più ampio progetto politico antimagnatizio (nel 1228 nacque il regime popolare bolognese e nel 1256 venne istituita la carica del Capitano del popolo), supportato attivamente dallo stesso Rolandino, che nel 1274 ritornò in politica schiarandosi con la fazione guelfa dei Geremei.

Gli avversari ghibellini, capeggiati dai Lambertazzi, ne pagarono le conseguenze, venendo ripetutamente esiliati. Tra di loro vi era anche il notaio Salatiele, grande rivale universitario di Rolandino.

Ormai il potere di Rolandino era quasi assoluto. Dopo essere stato proconsole della Corporazione dei Notai, divenne console anziano perpetuo, una carica politica eccezionale per i tempi, che anticipava i governi signorili. Iniziò per questo a essere inviso agli aristocratici, guelfi e ghibellini, e al papa, preoccupato dal canto suo dell’estrema forza indipendentista e dal grande successo popolare ottenuti dall’insigne notaio.

Per breve tempo Bologna dominò la Romagna ma, dopo ripetute sconfitte, dovette sottomettersi al papa, giurandogli fedeltà (1278). Continuò tuttavia l’accesa politica interna antiaristocratica, suggellata dallo stesso Rolandino con la stesura dei Decreti sacri (1282) e dei Decreti sacrissimi (1284), confluiti infine dei nuovi Statuti comunali del 1288.

In quell’anno Rolandino si era già ritirato dal governo, per dedicarsi alla redazione di aggiornati statuti notarili e, soprattutto, alla rifondazione della sua scuola e alla rivisitazione degli scritti giovanili.

Morì novantenne, nel 1300, e gli si dedicò un’arca commemorativa presso la chiesa di San Domenico, nel cui monastero probabilmente teneva lezione.

Il piccolo mausoleo, gravemente danneggiato nella seconda guerra mondiale e prontamente ripristinato, fa parte di una tradizione già consolidata in città, ma è il primo a rappresentare il defunto intento a tenere una lezione davanti agli allievi, come poi sarà ripetuto sulle tombe dei grandi maestri dei due secoli successivi.