Roberto Longhi

Storico e Critico d’Arte, Professore di Storia dell’Arte (Alba, 1890 – Roma, 1970).

Uno sguardo nuovo, svincolato dalla storia e concentrato sulla sensazione e la sensibilità, si apriva sopra le cose dell’Arte. Roberto Longhi, lo ‘scopritore’ del dramma quotidiano caravaggesco, l’osservatore delle forme gravi ma ‘vestite di colore’ di Piero della Francesca, il grande amico del solitario Morandi, ha offerto il suo punto vista alla Scuola di Bologna, che con Supino prima di lui e Arcangeli poi poteva ben dirsi tra le migliori al mondo.

Roberto LonghiRoberto Longhi nacque ad Alba nel 1890.
Dopo il ginnasio, frequentato nel locale Regio liceo Govone, conseguì il diploma al liceo Gioberti di Torino nel 1907. Rimase poi nella capoluogo piemontese dove si iscrisse alla facoltà di Lettere avvicinandosi al mondo dell’arte grazie al professore Pietro Toesca, allievo del Venturi, dal quale apprese la metodologia dello studio delle opere, consistente sia nella comparazione tra queste e le precedenti sia nell’analisi dei valori intrinsechi delle stesse.

La tesi di laurea costituì per lui un campo pratico fondamentale per gli scritti successivi. L’idea di approfondire e valorizzare l’opera del Caravaggio condusse il Longhi nelle varie città italiane dove l’artista lombardo aveva operato. Ne sarebbe risultato un lavoro approfondito che andò a verificare il legame tra il Merisi e i suoi seguaci –come insegnava Toesca- ma che indagava altresì quelli che sarebbero stati definiti da Berenson i ‘valori tattili’ delle sue raffigurazioni, ovvero i segni sensoriali del colore e dei toni e quelli sensibili della forma e del movimento.

Si stava così formando un nuovo criterio di analisi che, come lo stesso Longhi affermò in un primo saggio edito su “La Voce” (1911), rompeva con il ‘metodo storico’ strutturato dal Supino e dal Venturi.

Nonostante il distacco da quest’ultimo, Longhi decise di seguirne i corsi alla Scuola di specializzazione (1912), trasferendosi a Roma, dove continuò la collaborazione col giornale “La Voce” di Giuseppe Prezzolini.

Nella capitale condusse le sue ricerche verso la definizione di ‘sviluppo stilistico’, scrivendo sul Tintoretto, su La Scuola genovese e su Piero della Francesca, influendo sul suo stesso insegnante con un’innovativa formula attributiva e interpretativa.

Anche nei confronti di Berenson si dimostrò poi critico, dopo essersi proposto come traduttore della sua opera capitale Italian painters of the Renaissance.

A seguito della scomparsa del padre e del ricovero del fratello, Longhi si aprì alla carriera didattica presso i licei romani (trovò qui come allieva anche Lucia Lopresti, che sarebbe divenuta sua moglie e poi scrittrice con lo pseudonimo di Anna Banti), per i quali compilò alcune dispense, poi trasformate nel celebre saggio Breve ma veridica storia della pittura italiana (1914).

Negli stessi anni scrisse per la rivista “L’arte”, fondata dal Venturi, sulla quale uscirono le monografie Orazio Borgianni (1914), Battistello (1915) e Gentileschi padre e figlia (1916).

Era nel frattempo maturata anche la sua conoscenza dell’arte contemporanea e nel 1914, col saggio Scultura futurista: Boccioni, si affermò come lucido critico dell’avanguardia nostrana, pur dimostrando, durante gli anni della guerra, la lontananza dagli ideali nazionalisti così tanto osannati dai seguaci di Marinetti. 

Il conflitto bellico fu per lui occasione di ripensamenti anche sull’Estetica di Croce, che nel pamphlet Identità formale delle ‘arti belle’ od anche l’arte figurativa andava a smontare, sostenendo “l’indipendenza filosofica del linguaggio visivo”.

Fortunatissimo fu poi l’incontro col conte Alessandro Venturi Bonaccossi (1918), col quale fece dal 1920 al 1922 un lungo viaggio in giro per l’Europa, occasione perfetta per allargare gli orizzonti e vedere dal vivo le opere del continente.

Ritornato a Roma, iniziò la libera docenza presso l’Università e collaborò con “Vita Artistica” di cui, nel 1927, assunse la direzione insieme a Emilio Cecchi, fondando l’anno seguente, assieme a quest’ultimo, la rivista “Pinacotheca”.

Grande successo ebbero in quegli anni i saggi Piero delle Francesca (1927) e Officina Ferrarese (1934): la strada per la cattedra di Storia dell’Arte Medievale e Moderna all’Università di Bologna era stata spianata.

Longhi fu docente presso l’Alma Mater Studiorum dal 1934 al 1949 (fu però residente in città solo dal ’34 al ’37), e contribuì a formare non solo futuri specialisti del settore, ma anche celebri registi e scrittori, che grazie al suo insegnamento seppero avere una ricercata conoscenza e una singolare visione del mondo dell’Arte: Francesco Arcangeli, Giorgio Bassani, Attilio Bertolucci, Antonio Boschetto, Alberto Graziani, Pier Paolo Pasolini, Mina Gregori e Carlo Volpe.

Accanto alla didattica si cimentò nell’organizzazione della Mostra del Settecento bolognese (1935) e nella monografica su Giuseppe Maria Crespi (1948), dedicandosi invece all’arte contemporanea nelle pubblicazioni Carlo Carrà (1937) e Mino Maccari (1938), ma soprattutto stringendo una profonda amicizia con Giorgio Morandi.

Trasferitosi a Firenze nel 1939, diresse per due anni, insieme a Ranuccio Bianchi Bandinelli e Carlo Ludovico Ragghianti, la rivista “La Critica d’Arte”, sulla quale pubblicò il saggio Fatti di Masolino e di Masaccio (1940), argomento del corso bolognese del 1941 che provocò una vera e propria epifania estetica nel giovani Pier Paolo Pasolini.

Era nel frattempo iniziata la guerra e il Longhi si riavvicinò momentaneamente al Croce, prendendo nette posizioni contro il regime. Fu per questo allontanato dalla docenza, quando nel 1943 rifiutò di prestare servizio durante la Repubblica di Salò.

Significativa fu la mostra che, appena liberata Firenze, organizzò sull’amico bolognese Giorgio Morandi (1945) alla galleria “Il Fiore”, come dichiarata volontà di ritornare all’insegnamento felsineo.

Gli ultimi corsi che vi tenne gravitarono attorno alla pittura veneta che dalla mostra del 1945, Cinque secoli di pittura veneta, aveva attratto la sua attenzione. Portandolo alla stesura del Viatico per i cinque secoli di pittura venziana (1946), al quale fecero seguito 14 saggi pubblicati sulla rivista “Arte veneta”. Si apriva così una duratura collaborazione col comitato della Biennale, che lo coinvolse per cinque edizioni dal 1948 al 1956.

Dopo aver ideato l’annuario “Proporzioni” -che uscì negli anni 1943, 1948, 1950, 1963-, nel 1950 diresse fino alla morte la rivista “Paragone”, mensile di arte e letteratura, la cui relazione fondativa (Proposta per una critica d’arte), venne impiegata come traccia del primo corso che tenne a Firenze, alla cui università era entrato nel 1949, dopo essere stato rifiutato dall’Università di Roma.

Sempre nel 1950 organizzò a Bologna, con la collaborazione di giovani esperti tra cui l’allievo Francesco Arcangeli, la Mostra della pittura bolognese del Trecento, in occasione della quale vennero strappati dalla chiesa di Santa Apollonia gli affreschi di Vitale da Bologna e Simone dei Crocifissi, ancora oggi esposti nelle sale medievali della Pinacoteca Nazionale.

Si erano aperti gli anni della notorietà, delle collaborazioni e del lancio internazionale della sua Scuola. Col critico Umberto Barbaro realizzò documentari su Carpaccio (1947), Caravaggio (1948) e Carlo Carrà (1952), ma fu la grande mostra milanese del 1951, Caravaggio e i caravaggeschi, cui seguì l’anno seguente il volume monografico sul maestro lombardo, a dargli pieno successo.

Sempre a Milano, nel 1953, Longhi allestì l’esposizione I pittori della realtà in Lombardia. Collaborò quindi con riviste come “L’Europeo” (1955-57) e partecipò nel comitato redazionale di programmi radiofonici come “L’Approdo”, spesso dilatando i suoi discorsi fino ad argomenti politici e sociali. Poche invece le apparizioni televisive, come quella del 1963 a “L’approdo televisivo”.

Ultimo sforzo espositivo fu la rassegna milanese Arte lombarda dai Visconti agli Sforza nel 1958.

Negli ultimi anni si dedicò alla raccolta delle Opere complete e all’allestimento del catalogo della propria collezione d’arte, lasciata infine per testamento, “per vantaggio delle giovani generazioni”, assieme alla fototeca e alla ricca biblioteca, nella villa fiorentina di Fortini, dove oggi ha sede la Fondazione che porta il suo nome.