Martino Gosia

Giurista e Maestro di Diritto (Bologna, inizi del XII sec. – Bologna, 1167)

‘Copia legum’. È così che il morente Irnerio, attraverso le parole fantasiose del giudice lodigiano Ottone Morena, saluta per l’ultima volta lo studente Martino Gosia che gli sta accanto assieme agli altri tre dottori dello Studio bolognese, Bulgaro, Jacopo e Ugo di Porta Ravegnana. Martino: il conoscitore ‘di tante leggi’ che, rispetto agli altri, riuscì nei fatti a coniugare il Diritto romano del Corpus Iuris Civilis a quello canonico e a quello germanico.

Martino GosiaScartando una lunga tradizione iniziata dalla cronaca di Giovanni da Cremona (XII-XIII sec.), che vuole Martino nativo di Cremona, riconducendo l’appellativo Gosia a un tipico cognome locale, pare più convincente la testimonianza del Piacentino, studente a Bologna ai tempi dello stesso Martino, e di altri giuristi che frequentarono lo Studio emiliano nei secoli successivi (Gugliemo da Pastrengo e Cino da Pistoia), che vogliono il famoso maestro originario di Bologna.

Martino, assieme a Bulgaro, Jacopo e Ugo di Porta Ravegnana, fu allievo di Irnerio, iniziatore della rinomata Scuola dei Glossatori, di cui i quattro divennero gli illustri prosecutori.

La metodologia delle glosse, annotazioni dello studioso ad interlinea e a margine dei testi manoscritti, fu molto praticata da Martino, che dal 1125 produsse una cospicua quantità di riferimenti e rimandi, non solo del testo principe dello Studio bolognese, il Corpus Iuris Civilis, ma anche di testi di Diritto canonico e di Diritto Longobardo. Il lavoro più esteso e complesso che si ha di Martino, e che supera di gran lunga le opere dei dottori a lui contemporanei, è il De iure dotium, vero trattato sulla sempre difficoltosa materia del diritto dotale. Martino, dopo aver ben illustrato esaustivamente le direttive teoriche espletate nel Corpus giustinianeo, non nasconde nella conclusione un suo disaccordo, elevando su tutti i principi giuridici la legittimità dell’equità: valore che secondo il suo pensiero non nasce dalla legge ma dalla capacità di valutazione del singolo giudice.

Questo sommo valore, non considerato dai più ortodossi legisti bolognesi, caratterizzò il suo insegnamento, che andò ben presto a costituire una scuola gosiana particolarmente distinta, spesso antagonista di quella creata dal collega Bulgaro, disinteressata alle leggi ecclesiastiche e a quelle germaniche e assolutamente aderente al solo Diritto romano.

Tale rivalità, garantì allo stesso Studio cittadino, maggiore risalto, potendo offrire ai tanti scolari stranieri la scelta di diverse concezioni pedagogiche e dottrinali.

Come i suoi colleghi docenti, anche Martino venne ritenuto oltre che legis doctor, ovvero insegnante di Legge, anche causidicus, ossia consigliere in dispute pubbliche e private e anche in queste circostanze riuscì spesso a far prevalere la sua idea di equità.

Tra l’imperatore Barbarossa e la nascente Alma Mater Studiorum si era fin da subito instaurato un rapporto biunivoco, dai tempi della discesa dello svevo a Bologna, nel 1155. In questa occasione i quattro dottori assieme agli organi direttivi degli scolari riuscirono a persuadere il Barbarossa nel garantire agli studenti la sua protezione, nel dichiararli indipendenti dai poteri e dalla giurisdizione locale e quindi di rendere libera la docenza e l’istruzione universitaria. Questo epocale traguardo venne sancito nella Constitutio Habita, privilegio che venne inserito nel Corpus Iuris Civilis verosimilmente nel 1158, durante la dieta di Roncaglia, occasione nella quale lo stesso imperatore aveva richiamato i ‘quattro dottori’ per certificare legalmente la sua autorità anche sulle città italiane.

Dopo il lungo periodo di attività, Martino, a detta di un anonimo poeta, probabilmente suo seguace, decise di ritirarsi dall’insegnamento e di offrire la sua consulenza in maniera gratuita, lasciando la sua cattedra, come sarebbe stato spesso fatto, al figlio Guglielmo.

È piuttosto certo che la morte lo colse a poca distanza del rivale Bulgaro, nel 1166 ca. e che i due trovarono sepoltura, uno vicino all’altro, nel sagrato della chiesa di San Procolo, storico luogo di culto il cui convento benedettino veniva usato per le assemblee degli studenti legisti ultramontani.

Mentre a Bologna il suo lascito non venne considerato tanto quanto quello degli altri tre dottori, in parte anche per via della parallela Scuola di Graziano che offriva una più approfondita didattica sul Diritto canonico, i precetti di Martino, grazie all’allievo Piacentino, trovarono maggiore accoglienza nelle Scuole giuridiche di Montpellier e poi in quelle della Francia del Nord, dove l’equità gosiana trovò un terreno più florido nel quale fiorire.