Inserendosi nella lunga tradizione bolognese della dissezione anatomica, Malpighi portò a compimento, non senza subire illazioni e rivalità, il radicale inserimento della disciplina medica nel mondo delle scienze sperimentali, attraverso l’indagine microscopica e iatromeccanica.
Marcello Malpighi nacque a Crevalcore, nella provincia bolognese, nel 1638 in un’agiata famiglia di possidenti.
Nel 1645 fu mandato a Bologna per ultimare gli studi dalle Scuole Pie e l’anno seguente si iscrisse alla Facoltà di Filosofia.
La morte improvvisa dei genitori e il dover provvedere agli otto fratelli lo spinsero a immatricolarsi in Medicina, sotto consiglio del professor Francesco Naldi.
Fin da subito Malpighi si affiliò al ‘Coro anatomico’: un gruppo accademico che si radunava nella casa del medico e professore Bartolomeo Massari, dove si investigava, attraverso la dissezione di animali e, raramente, di cadaveri, l’anatomia del corpo, pratica che a Bologna vantava una lunga tradizione, risalente ai tempi di Mondino dei Liuzzi, maestro dello Studio tra il XIII e il XIV secolo.
Nonostante la grande stima che Malpighi aveva nei confronti del Massari, di cui tra l’altro sposò la figlia, il giovane discepolo rigettò immediatamente le idee teoriche del precettore, ancora legate ad una concezione medica filosofico-galenica e astrologica, avvicinandosi invece ad una nuova consapevolezza scientifica della disciplina.
Queste posizione rivoluzionarie, in un’università quale quella bolognese, non aggiornata sulle innovazioni europee, costò a Malpighi accese accuse e critiche provenienti sia da compagni sia da accademici come i professori Tommaso Sbaraglia, Agostino Cucchi e Ovidio Montalbani, che cercarono in tutti i modi di ostacolare l’addottoramento del rivale e, più in generale, le sperimentazioni praticate nel ‘Coro anatomico’.
I loro piani fortunatamente non bastarono e Malpighi, nel 1653, riuscì a laurearsi, ottenendo tre anni più tardi perfino la cattedra di Logica.
Nel 1656, a soli pochi mesi dalla nomina, tuttavia, il giovane professore trovò più conveniente trasferirsi nella medicea università di Pisa come docente di Medicina teorica.
L’atmosfera culturale toscana, sotto il granduca Ferdinando II, era tra le più frizzanti d’Europa e accolse Malpighi con tutti gli onori nella prestigiosa Accademia del Cimento, associazione galileiana attenta all’utilizzo di nuove tecnologie e aperta a un più felice dibattito interno.
Fu proprio in questo periodo che Malpighi si avvicinò con sempre più passione allo strumento del microscopio.
Socio dell’Accademia era anche il professore di matematica Alfonso Borelli, che prese sotto la sua protezione il giovane bolognese, instradandolo alla iatromeccanica, ovvero alla concezione degli esseri viventi come costituiti da un insieme di macchine (organi) distinti e assemblati: dottrina medica elaborata da William Harvey, ma che avrebbe avuto proprio in Malpighi il suo più illustre esponente.
Nel 1659 l’ormai affermato Malpighi tornò a Bologna, dove aveva mantenuto la cattedra di Logica, che ora sostituì con quella di Medicina teorica.
Con la pubblicazione nel 1661 delle due Epistolae de polmonibus, fece scoppiare nuovamente polemiche sul suo conto da parte dei rivali galenici. Illustrando per la prima volta la struttura di un organo attraverso il microscopio, riuscì a smontare la teoria per la quale si credeva i polmoni formati da sangue coagulato, attraverso il quale il pneuma veniva dato al cuore. Malpighi riuscì invece a capire la natura alveolare e cava dell’organo e a ipotizzare consequenzialmente la teoria respiratoria. Nella seconda trattazione, poi, ispezionando i polmoni delle rane, decretò la natura circolatoria dei vasi sanguigni, supposta già nel 1628 da Harvey.
Le continue vessazioni portarono Malpighi, nel 1662, a trasferirsi in un’altra università, questa volta a Messina dove, grazie all’intercessione di Borelli, ottenne una cattedra in Medicina pratica, retribuita ben di più di quella teorica bolognese. Durante questo breve soggiorno (tre anni), continuò le sue ricerche, che in parte confluirono nel Tetras anatomicarum epistolarum, pubblicato assieme a Carlo Fracassati nel 1665 e composto dai trattati De lingua, De cerebro e De omento, pinguedine, et adiposis ductibus.
Ma anche a Messina Malpighi trovò rivali e oppositori, che lo convinsero a tornare in patria (1665), dove gli venne convalidata la cattedra in Medicina pratica e dove riuscì finalmente ad imporsi sui suoi detrattori.
Nel 1668 uscì il De viscerum structura, contenente gli scritti già iniziati in Sicilia (De Hepate, De cerebri cortice e De renibus) e quelli appena ultimati durante il nuovo soggiorno bolognese (De liene e De polypo cordis). L’immenso volume venne pubblicato dalla londinese Royal Society, che affiliò Malpighi tra i suoi membri e prese il posto di sua guida intellettuale fino ad allora occupata dal Borelli, col quale l’ormai famoso medico aveva reciso i rapporti dal 1663.
La Royal Society pubblicò le successive ricerche del maestro, a partire dal 1669 con De bombyce: indagine entomologica che fa grande uso del microscopio e segue fedelmente la concezione iatromeccanica dei corpi (gli organi escretori degli insetti sono ancora chiamati ‘tubi malpighiani’, e sono simili ai ‘corpuscoli di Malpighi, glomeruli nei reni animali). Seguirono: nel 1673 il De formatione pulli in ovo, sull’indagine embriologica ornitologica, e le due edizioni botaniche Anatomes plantarum del 1675 e del 1679.
Nel 1683 un incendio distrusse la villa di Malpighi a Corticella, incenerendo tutti i suoi scritti e i suoi costosi strumenti di lavoro (c’è chi sostiene sia stato lo stesso Sbaraglia con i suoi seguaci).
Nonostante questo danno irreparabile, nel 1686, sempre la Royal Society, pubblicò l’Opera omnia, con la quale si decretava definitivamente l’apoteosi internazionale dello scienziato bolognese.
Nonostante la fama e le ricchezze, continuarono comunque a esserci anche all’interno dello Studio, oppositori di prim’ordine come il botanico Giovan Battista Trionfetti, il medico Giovanni Girolamo Sbaraglia, il cancelliere e arcidiacono Anton Felice Marsili e persino alcuni allievi dello stesso Malpighi.
Nel frattempo, però, il professore era protetto e supportato in città dal legato pontificio Antonio Pignatelli che, divenuto papa Innocenzo XII, nel 1691, convinse l’anziano Malpighi, suo medico di fiducia, a trasferirsi a Roma come suo archiatra.
Durante il periodo romano, in accordo con la Royal Society, Malpighi non pubblicò nulla, in previsione di un’Opera posthuma, uscita dopo la sua morte, avvenuta nel 1694. In questo testamento scientifico, edito nel 1697, a fare da cornice agli ultimi studi, è l’autobiografia del grande anatomista, che finalmente potette difendere le sue teorie con insolita passione, attaccando per la prima e ultima volta i suoi rivali.
Oggi il ricordo del grande scienziato è più che mai vivo nella città che tanto ha amato ma che tanto lo ha ostacolato. Nel Palazzo dell’Archiginnasio la ‘memoria’ dedicatagli dal pittore classicista Marcantonio Franceschini nel 1683-87, fa da contraltare luminoso e gioioso a quella realizzata poco distante da Donato Creti per l’antagonista Giovanni Girolamo Sbaraglia, malinconica e trasognante.
I due nemici si ritrovano ancora una volta vicini nel Teatro anatomico dello stesso edificio accademico: statue lignee che assieme agli altri grandi nomi della medicina, hanno osservato per due secoli le dissezioni anatomiche dai loro posti privilegiati.
Ma mentre lo Sbaraglia non ottenne mai nulla dalla città, a Malpighi oggi è intitolata una grande piazza e un’intera sezione del Policlinico universitario Sant’Orsola-Malpighi: Forse questa la ricompensa più grande ottenuta dal grande medico e professore.