Giovanni Pico Della Mirandola

Umanista, Filosofo, Accademico (Mirandola, MO, 24 febbraio 1463 – Firenze, 17 novembre 1494).

Come molti altri aristocratici anche Giovanni Pico della Mirandola si iscrisse all’Alma Mater Studiorum senza conseguire la laurea. L’antica università di Diritto ancora attraeva da tutta Europa giovani studenti, magari, come nel caso del Pico, offrendo loro l’occasione di entrare in contatto con filosofi, medici e astronomi, docenti della più moderna e aggiornata Università delle Arti.

Giovanni Pico Della MirandolaGiovanni Pico dei conti della Mirandola e della Concordia, noto universalmente come Giovanni Pico della Mirandola, nacque nella capitale di un piccolo ma strategico staterello vicino Modena, Mirandola, dal signore di quella città, nonché conte di Concordia, Gianfrancesco I Pico e da Giulia Boiardo, figlia di Feltrino, conte di Scandiano.

A soli quattro anni Giovanni perse il padre e, ultimogenito, venne istruito in casa assorbendo una cultura eclettica e vivace tipica delle corti padane di fine Quattrocento.

Appena quattordicenne, nel 1477, si iscrisse all’università bolognese per studiarvi Diritto canonico. Il soggiorno non lo portò alla laurea e solo due anni più tardi, nel 1479, Pico si trasferì prima a Ferrara, dove conobbe Savonarola e il Guarini, poi, dal 1480 al 1482 a Padova, dove si avvicinò alla filosofia aristotelica e alla sua interpretazione averroistica.

Nel 1482 fu la volta di Pavia, città nella quale ampliò le sue conoscenze filosofiche e si avvicinò alla lingua greca. A Firenze invece ebbe modo di conoscere nel 1484 Ficino, col quale strinse subito un rapporto di affinità intellettuali, che lo avrebbe portato successivamente a divenire protagonista dell’Accademia neoplatonica locale.

Dopo un breve soggiorno in Francia (1485), si diresse a Roma, dove voleva realizzare un importante convegno, radunando filosofi, religiosi e intellettuali di tutte le discipline, con l’obbiettivo di arrivare a siglare un punto comune di una cultura universale, faro per l’intera umanità di concordia e pace. Durante questo periodo ne approfittò per apprendere l’ebraico e il caldaico, anche grazie alla sua proverbiale memoria.

Stese dunque 900 tesi che sarebbero state discusse nel 1486 se, una volta stampate, non fossero state ritenute pericolose da parte di una commissione papale. Questa ne censurò 13, considerandole eretiche, e pretese una ufficiale rinuncia da parte di Pico che, al contrario, pubblicò nel 1487 un’Apologia, con la quale accusava i suoi giudici e si inimicava in tal modo lo stesso papa Innocenzo VIII.

Tentò così di scappare dalla curia romana, che lo raggiunse invece in Francia e lo fece arrestare nel 1488. Solo grazie all’intermediazione di Lorenzo il Magnifico, Giovanni Pico venne liberato e finalmente trovò a Firenze il suo luogo elettivo. Nella villa di Fiesole in cui il signore della città lo aveva accolto, avrebbe scritto le sue opere più importanti.

Tra queste si ricordano: l’Heptaplus (1489), un sofisticato approfondimento filosofico e cabalistico sulla cosmogonia attraverso l’interpretazione dei primi 26 versi della Genesi; l’Expositiones in Psalmos (1489), ancora una volta un testo di approfondimento filosofico e religioso; il De ente et uno (1491), dedicato a Poliziano, apice di quella speculazione che cerca di coniugare il platonismo con l’aristotelismo; le Epistole (1492), attraverso le quali il Pico si proponeva come mentore al nipote Giovanni Francesco; e la Disputationes adversus astrologiam divinatricem (1493), nella quale si distingue per la prima volta la scientificità dell’Astronomia dalla menzogna dell’Astrologia.

Quest’ultimo scritto era necessario come corollario dell’orazione De hominis dignitate (1486), che avrebbe dovuto aprire il congresso filosofico romano. In essa, di certo lo scritto più importante di Pico, l’uomo viene elevato a microcosmo, al centro dell’universo, dotato di libero arbitrio e quindi capace di elevarsi all’angelo e a Dio, o di corrompersi verso la bestialità. Lo spirito umano lega così i due estremi opposti, l’anima e il corpo, in una volontà che tende a ricongiungersi a Dio.

Sebbene in Pico sia latente il concetto di concordia ficiniana e quello di Dio platonico, inteso come principio e fine, il suo pensiero si contamina gioiosamente con l’averroismo aristotelico, la cabala ebraica, la patristica e la scolastica cristiane, fin anche con le suggestioni esoteriche, magiche ed ermetiche.

Questa costante tensione verso l’unione e l’armonia tra le filosofie e le religioni di tutti i tempi, poco alla volta si stempera durante il soggiorno fiorentino, soprattutto da quando Pico entra in contatto intimo con Savonarola e la sua riforma spirituale. Allora l’ideale universale si fa circoscritto al presente della città e l’obbiettivo del saggio diventa coincidente con quello del santo. Turbamenti e privazioni irrompono nell’idillio umanistico, allontanando sempre più il pensiero di Pico da quello di Ficino.

Se non fosse infatti sopraggiunta precocemente la morte nel 1494 (Pico aveva solo 31 anni), probabilmente il filosofo del Rinascimento avrebbe preso i voti e si sarebbe legato all’ordine domenicano.