Chi se non Carducci poteva aprire i festeggiamenti dell’VIII Centenario dell’Alma Mater Studiorum, l’università che lo aveva chiamato, assieme ad altri giovani studiosi, per essere riportata alle glorie passate? Come la sua poetica risorgimentale ritrovava negli scrittori medievali la classicità di tempi lontani, così l’università entrava nel mondo globale ricordando il suo glorioso passato comunale nel quale si andavano a riscoprire i testi giuridici di Roma. Due missioni quelle di Carducci, quella poetica e quella pedagogica, che a Bologna potevano quindi coincidere.
Giosuè Carducci nacque in Versilia, a Valdicastello, nel 1835. Il padre Michele era un medico condotto, fervente liberale e già carbonaro dei moti indipendentisti italiani.
Le condizioni economiche precarie della famiglia caratterizzarono l’infanzia di Giosuè che dovette spostarsi più volte, approdando infine a Bolgheri, sulla costa maremmana, il cui ricordo selvatico e incontaminato lo avrebbe accompagnato sempre nella sua sensibilità estetica.
Non potendo permettersi gli studi, fu istruito in casa dal padre e dal sacerdote Bertinelli, dimostrando fin da subito propensione al latino e alla poesia in volgare.
Nel 1849 i Carducci si stabilirono a Firenze, dove Giosuè si iscrisse al liceo delle Scuole Pie degli Scolopi di San Giovannino e dove strinse amicizia, poi sfociata in matrimonio, con Elvira Menicucci, sua parente acquisita.
In quegli anni si plasmò la propensione poetica del giovane: patriottica e classicista; critica nei confronti della contemporanea situazione politica.
Presso le scuole Pie Carducci frequentò l’Accademia dei Risoluti e Fecondi grazie alla quale riuscì a farsi apprezzare da Ranieri Sbragia, allora rettore della Scuola Normale Superiore di Pisa, che convinse il giovane, nel 1853, ad iscriversi alla Facoltà di Lettere.
Alla Normale vigevano severe direttive religiose, mal sopportate dall’animo anticlericale di Carducci, che trovò giusto impegno nella collaborazione col giornale Letture di famiglia, la cui appendice, l’Arpa del popolo, avvicinava la gente comune alla letteratura, incarnando gli obbiettivi di D’Azeglio e Cavour di ‘fare gli italiani, una volta fatta l’Italia.
Con la laurea in Filologia, nel 1856, Carducci sanciva nella tesi Della poesia cavalleresca o trovadorica la riscoperta dei classici nella letteratura dei poeti medievali italiani, antenati di quelli risorgimentali. Questi ultimi, se romantici, venivano aspramente criticati dal toscano e dai suoi compagni intellettuali del gruppo degli Amici pedanti.
Rigettando l’insegnamento privato, Carducci, appena laureato, seguì la vocazione pedagogica pubblica trasferendosi a San Miniato al Tedesco, nel cui ginnasio divenne professore di Retorica. L’entusiasmo iniziale lasciò il posto all’insofferenza per il luogo, isolato e gretto, e i debiti che andava accumulando lo spinsero infine a pubblicare, nel 1857, le Rime.
Stanco di San Miniato, Carducci tornò a Firenze (1857) e iniziò la collaborazione filologica e letteraria con l’editore Gasparo Barbera. Ma quando le cose sembravano andar meglio, la vita del giovane fu sconvolta dal suicidio del fratello Dante e dalla morte del padre (1858), che imposero su di lui l’onere del mantenimento della famiglia.
Non appena il Granduca di Toscana fu destituito, circolò la canzone A Vittorio Emanuele II e venne trasformata in opera musicale l’ode Alla Croce di Savoia: iniziava così la notorietà di Carducci che gli permise di ottenere l’insegnamento di greco al liceo di Pistoia.
Nel 1860 il ministro dell’Istruzione Mamiani, in riconoscenza alla dedica fattagli nelle Rime, propose a Carducci la cattedra di Eloquenza italiana (in seguito sarebbe stata chiamata Letteratura italiana) all’Università di Bologna. Probabilmente l’aspettativa del giovane professore mirava all’ateneo fiorentino, ma pur di stare vicino alla famiglia, accetto l’incarico, che mantenne fino al 1904.
Accolto dal collega Emilio Teza, Carducci abitò nei pressi di Piazza Caprara e, una volta raggiunto dalla famiglia, si traferì nella modesta via di Broccaindosso, dove rimase fino al 1876.
Il progetto di Mamiani era quello di rivitalizzare l’università felsinea, chiamando a raccolta personalità già distintesi nei vari settori (Luigi Cremona, Camillo De Meis, Pietro Ellero, G.B. Gandino, Emilio Teza, Francesco Magni, Giovanni Capellini). L’Alma Mater Studiorum veniva da oltre due secoli di mala gestione e, nonostante ciò, era stata nominata università del Regno di prim’ordine, diversamente da quella di Parma e di Modena. Quando Carducci iniziò i suoi corsi, tuttavia, si trovò quasi senza studenti, lamentando l’interesse dei giovani per altre discipline più accattivanti per i tempi moderni, in un ateneo che, in generale, contava pochissimi iscritti (un terzo rispetto alla concorrente Università di Pavia).
In città Carducci strinse subito ottimi rapporti con gli intellettuali del posto, frequentando con loro i caffè del centro (Caffè Dei Grigioni in via Ugo Bassi, Caffè dei Cacciatori nella scomparsa via del Mercato di Mezzo, Caffè del Pavaglione, sotto l’antica sede universitaria dell’Archiginnasio), e iscrivendosi e fondando lui stesso numerose logge massoniche di indirizzo democratico e garibaldino.
L’entusiasmo per il progresso scientifico e la fascinazione per la natura, per millenni mortificati dalla morale della Chiesa, ispirarono il celebre inno A Satana (1863).
In generale gli anni che seguirono furono sostanzialmente frustranti: il fallimento della spedizione garibaldina su Roma (1862), l’insuccesso della raccolta Levia Gravia (1868), le continue discussioni coi colleghi e con i compagni massoni.
Mentre nelle Levia Gravia aveva volutamente evitato testi politici, tra l’altro nascondendosi sotto lo pseudonimo di Enotrio Romano, nel 1869 accese i suoi scritti contro Pio IX e celebrò l’eroismo di Giovanni Cairoli e di Ugo Bassi (un sonetto è dedicato all’intitolazione al frate barnabita della nuova via centrale di Bologna).
I sentimenti repubblicani e democratici si sentirono anche nel suo intervento al teatro Comunale durante l’incontro organizzato dal prof. di diritto penale Pietro Ellero contro la pena di morte e, successivamente (1880), in occasione del Congresso di mutuo soccorso, dove perorò strenuamente i princìpi del suffragio universale.
Nel frattempo, nel 1865, Carducci era divenuto segretario della Regia Deputazione di Storia Patria, voluta per valorizzare la storia medievale delle province romagnole (dal 1887 ne sarebbe stato presidente)
Nel 1867 iniziò la collaborazione con la libreria Zanichelli, dove si radunò il suo ‘cenacolo’.
Nello stesso anno sostenne il lancio della ‘Rivista bolognese’ di Enrico Panzacchi, e pubblicò i primi Giambi ed Epodi nel giornale repubblicano “L’amico del popolo” (la cui sede era in palazzo Paleotti, in via Zamboni, attualmente impegnato dall’Università)
Nel 1868 venne allontanato dall’insegnamento per aver celebrato l’anniversario della Repubblica Romana, ma questo contribuì a renderlo ancora più eroico agli occhi degli studenti.
L’anno seguente, invece, riuscì a entrare, assieme ad altri accademici democratici, al Consiglio comunale Casarini.
La morte dell’amata madre e del figlio Dante, entrambe nel 1870, lo segnarono profondamente e solo faticosamente il Vate riuscì a riprendersi, anche grazie al successo della pubblicazione antologica delle sue Poesie, voluta da Barbera e suddivisa in Decennali (1860-70), Levia Gravia (1857-70) e Juvenilia (1850-57), seguita nel 1873 dalle Nuove Poesie che, pur suscitando pronte razioni per la loro spiccata condanna politica, ebbero molto consenso in Italia come all’estero, inaugurando la stagione della fama internazionale.
L’interesse di Carducci non si distrasse per questo dalla missione pedagogica che, nel 1871, lo vide presidente della neonata Lega per l’istruzione del popolo, in una città che ai tempi contava il 47% di abitanti analfabeti. Il Comune contribuì a sanare questa situazione bandendo borse di studio per la Facoltà di Lettere, una delle quali fu vinta da Giovanni Pascoli (Carducci nel 1866 aveva avuto solo uno studente, mentre negli anni seguenti era riuscito ad averne a malapena cinque). Il professore sapeva bene che il degrado culturale sarebbe stato debellato solo implementando l’accesso femminile all’istruzione (fu la sua allieva Giulia Cavallari Cantalamessa a ricevere per prima in Italia la laurea in Lettere e Filosofia). In questo caso ebbe grande rilievo la trasformazione in facoltà della Scuola di Magistero (1876), che contribuì all’immatricolazione universitaria di un numero mai visto prima di donne. Carducci fu direttore della sezione umanistica fino al 1896. Per contribuire, infine, in maniera effettiva, dal 1900, avrebbe collaborato con la rivista Strenna universitaria, che raccoglieva fondi per gli studenti meno abbienti.
Famoso, ricco e appagato, Carducci si trasferì nel 1876 nel più decoroso Palazzo Rizzoli, in Strada Maggiore, dove sarebbe rimasto fino al 1890.
Nello stesso anno venne eletto deputato al Parlamento per il Collegio di Lugo di Romagna, carica più onorifica che effettiva.
Era d’altra parte iniziato il tempo delle Odi barbare. Nel 1877 uscirono le 14 odi che esaltano l’immensità della natura e la saggezza della storia. L’ira politica e la critica sociale cedevano il passo alla ricerca del bello.
Le odi non vennero capite, soprattutto dal pubblico, ma le critiche non distolsero Carducci dalla sua nuova passione, quella per Carolina Cristofori Piva, trasfigurata nelle sue opere in Lina e Lidia.
Insieme a lei, un'altra donna colpì poi l’immaginazione del poeta: la regina Margherita di Savoia. Giunta a Bologna col marito Umberto I nel 1878, la sua persona riuscì a sedurre il poeta che venne per questo aspramente accusato dai compagni repubblicani. Tentò tardivamente di giustificarsi con l’articolo Eterno feminino regale (1882), dove si dichiarava seguace dell’amore di patria e non di una qualche ideologica politica: era tuttavia iniziata la sua sempre più convinta adesione alla Monarchia.
Sempre più lunghi e frequenti si fecero i soggiorni romani, nei quali il poeta poteva respirare quella classicità tenuta nell’animo fin dall’adolescenza. Nella capitale incontrò Angelo Sommaruga che lo convinse a collaborare alla sua nuova fortunata rivista letteraria, -in verità più attenta al pettegolezzo che alla critica-: Cronaca Bizantina, inaugurata nel 1881.
Nello stesso anno il vate venne nominato membro del Consiglio Superiore dell’Istruzione.
Gli anni ’80 furono per Carducci anni di riedizione e di nuove pubblicazioni (Juvenilia, Nuove Odi barbare, Giambi ed Epodi, Rime Nuove, Terze Odi barbare e Opere)
Nel 1886, dopo anni di assenza, Carducci venne rieletto nella giunta comunale ed ebbe modo di fare approvare la data celebrativa dell’VIII Centenario dell’Alma Mater Studiorum, data arbitrariamente proposta dal giovane Corrado Ricci e perorata dallo stesso Carducci e da Cesare Albicini. Iniziò così, ad opera del Comitato universitario, ideato dal giurista Giuseppe Ceneri e presieduto dal rettore Giovanni Capellini, la complessa organizzazione del rilancio accademico.
Il 12 giugno 1888 in un Archiginnasio imbellettato, al cospetto dei sovrani, Carducci decantò le glorie dell’università più antica d’Occidente (il famoso discorso venne subito pubblicato dalla Zanichelli).
Sulla scia del successo di tali celebrazioni, l’anno seguente fu per lui un trionfo alle elezioni comunali, iscritto alla lista dei liberal-democratici.
Sempre nel 1889 divenne presidente della Commissione per i testi di Lingua e per il reperimento e la diffusione degli scrittori italiani del Tre-Quattrocento (rimase in carica fino alla morte).
Nel 1890 si trasferì nella sua nuova abitazione, in via del Piombo, oggi Piazza Carducci, dove rimase fino alla fine della sua vita.
Lo stesso anno venne nominato senatore e fu fervido sostenitore della politica conservatrice di Francesco Crispi (in realtà prese parola solo tre volte, la prima volta, nel 1892, per difendere il ruolo dell’insegnamento secondario)
Le sue posizioni lo allontanarono dagli studenti che, nel 1891, lo contestarono per aver presenziato all’inaugurazione del Circolo Liberale Monarchico universitario e, nel 1895, per aver aderito alle campagne africane.
Nonostante ciò, quando nel 1896 si celebrarono i suoi 35 anni di insegnamento fu salutato con affetto e riconoscenza e gli venne conferita la cittadinanza onoraria, anche per aver rinunciato, nel 1887, alla cattedra dantesca capitolina.
L’ultima sua fatica letteraria uscì nel 1898: Rime e Ritmi.
Partecipò infine con entusiasmo a progetti di riqualificazione cittadina, che vedevano nel neonato Comitato per Bologna Storica Artistica, di cui fu socio onorario dal 1901, un protagonista assoluto nelle decisioni da prendere. Erano gli anni del Primo Piano regolatore (1889-1899), che vedevano anche l’Università programmare la sua espansione e il suo ammodernamento. Carducci stesso, nel discorso che tenne al Senato nel 1899, lamentò l’insufficienza e la precarietà delle strutture universitarie, in un Ateneo che dai 400 iscritti degli anni ’60 ne aveva più che quadruplicati alla fine del secolo.
La piccola aula dove tenne lezione, invece, non venne toccata e tutt’oggi è visitabile in Palazzo Poggi, sede dell’Università.
Quando, nel 1906, vinse il Premio Nobel per la letteratura era da tempo malato e costretto in casa, dove ricevette l’ambito riconoscimento.
La sua cattedra venne assegnata quello stesso anno a Giovanni Pascoli, essendosi suicidato Severino Ferrari, suo allievo e successore designato.
Pochi mesi dopo, sarebbe morto Carducci stesso, nel 1907, in quella casa che venne comprata dalla regina Margherita e che venne ceduta al Comune, che vi conservò gli oggetti e il mobilio originali e l’importante biblioteca e vi trasferì infine (1990) il Museo del Risorgimento. Luogo migliore non poteva esserci, per il cantore della riscossa e della tradizione italiana (Carducci stesso dal 1893 era entrato nella commissione per la musealizzazione della raccolta dei cimeli risorgimentali).
Accanto alla casa-museo si affaccia sulla piazza a lui dedicata il grande monumento onorario realizzato da Leonardo Bistolfi (1908-28). Il poeta di marmo rimane ancora lì, pensieroso e assorto tra le compagne di una vita: la Natura e la Poesia.