Nella sua autobiografia lo stesso Cardano dice “sono poco rispettoso e non ho peli sulla lingua”. Questa sua franchezza lo caratterizzò per tutta la vita causandogli spesso scontri e accuse da parte di colleghi, studenti e della stessa Inquisizione. Nonostante un’esistenza travagliata e difficile, restano di lui innumerevoli opere speculative, dove il Rinascimento trova la sua ragion d’essere attraverso la ricerca del tutto nel singolo.
Gerolamo Cardano nacque a Pavia fuori dal matrimonio. Suo padre Fazio, giurista e rinomato matematico milanese, si era innamorato della vedova Chiara Micheri, già madre di tre figli. Questi ultimi morirono di peste e la donna tentò di abortire, come ricorda lo stesso Gerolamo nella sua autobiografia.
L’infanzia fu molto travagliata, ma il giovane riuscì comunque a perseguire i suoi interesse e dopo essersi inscritto all’università di Pavia, poi a quella di Mantova e di Padova, si laureò in Arti Liberali nello Studio veneziano, addottorandosi nel 1526 in Medicina.
Il suo essere nato illegittimo gli impedì di entrare nel Collegio dei Nobili Fisici di Milano nel 1529 e solo dieci anni più tardi, grazie al sostegno dei Borromeo, che erano statui suoi pazienti, ottenne un posto nel Collegio dei Medici milanesi.
Dal 1543 al 1562 fu docente in Medicina presso l’Università di Pavia.
In quegli anni, trovò spesso rivalità con colleghi e con docenti di altri atenei. Lo scontro più celebre fu quello a seguito della pubblicazione, nel 1545, dell’Ars Magna, nella quale si andavano a risolvere e spiegare le equazioni di terzo e quarto grado. Il Cardano non nascose nel suo scritto la paternità di queste soluzioni, attribuendole rispettivamente a Niccolò Tartaglia, allora professore a Verona, e a Ludovico Ferrari, suo allievo e assistente. Il Tartaglia lo accusò di aver divulgato senza il suo permesso la sua scoperta, ma il Cardano gli ribatté che secondo alcune voci era stato il bolognese Scipione del Ferro a trovare per primo la risoluzione di quella equazione. Tra i due scoppiò un vero e proprio caso mediatico, che si risolse infine con l’intitolazione della formula in Cardano-Tartaglia.
Nel frattempo non mancarono inviti e commissioni all’ormai celebre medico, che si recò addirittura presso le corti di Scozia e Inghilterra. Si dice che proprio in occasione della sua visita a Edoardo VI Tudor, lasciò un così indelebile ricordo, da aver ispirato il mago Prospero, protagonista de “La Tempesta” di Shakespeare.
Nel 1560, la sua vita costellata di successi e minata da accuse e calunnie, venne colpita bruscamente dalla condanna a morte del figlio Giovanni Battista, medico anch’egli, reo di aver avvelenato la moglie fedifraga.
Nel 1562, tormentato da illazioni su presunte sue relazioni illecite con alcuni studenti, Cardano abbandonò dopo quasi vent’anni la cattedra di Pavia, per prendere quella di Bologna, dove trovò il sostegno di Carlo Borromeo, ai tempi legato pontificio e protettore dello Studio.
Ma anche nella città emiliana dovette affrontare insidie accademiche e problemi familiari.
Il figlio Aldo, dopo averlo derubato, lo apostrofò pubblicamente, ma venne condannato e cacciato dalla città.
In quello stesso periodo si fecero sempre più minacciose le voci di eresia nei suoi confronti, certamente suffragate dalle strette amicizie del Cardano con illustri pensatori protestanti e con le correnti cattoliche italiane non ortodosse. Di sicuro non era passato inosservato l’audace oroscopo che aveva fatto di Gesù, né l’ammirazione che aveva riversato su Nerone, considerato dalla Chiesa come sterminatore di cristiani. Così, si arrivò al 1570, al suo arresto e, l’anno seguente, alla sua abiura.
Il valore intellettuale del reo confesso gli permise tuttavia di riparare a Roma, sotto la protezione di Pio V e poi di Gregorio XIII, quest’ultimo suo grande estimatore bolognese. Per ringraziare i suoi benefattori il Cardano diede alle fiamme più di 120 scritti, troppo lontani dalle verità cattoliche.
Nel 1575 riuscì a entrare nel Collegio dei Medici di Roma ma, ormai anziano e deluso dal mondo, si ritirò sempre più a vita privata, dedicando l’ultimo anno della sua vita alla stesura della sua biografia, che sarebbe uscita postuma solo nel 1643.
Nel 1663 venne infine pubblicata la sua immensa Opera Omnia: dieci volumi con più di duecento scritti, nei quali si vede la passione e lo sforzo dell’erudito neoplatonico nella ricerca della Verità nel molteplice, i suoi legami con l’astratto e l’immanente e la continua verifica dei limiti dell’uomo.