Gaspare Tagliacozzi

Medico e Professore di Chirurgia e Medicina teorica (Bologna, marzo 1545 – Bologna, 7 novembre 1599).

In un’Alma Mater che stava iniziando il suo declino post tridentino, Gaspare Tagliacozzi rappresenta ancora una figura di primo piano nella scena internazionale. Il suo interessamento alle operazioni ricostruttive del volto lo portarono ben presto alla ribalta nelle corti più prestigiose come rinomato chirurgo e anatomista.

Gaspare TagliacozziGaspare Tagliacozzi nacque a Bologna nel 1545 in una ricca famiglia di artigiani nell’industria serica locale.

A quindici anni iniziò a studiare latino e filosofia in una scuola di grammatica cittadina, così da potersi iscrivere, nel 1565, alla facoltà di Medicina presso lo Studio bolognese.

Durante gli anni di formazione, dal 1567 al 1570, fu assistente all’Ospedale di Santa Maria della Morte, limitrofo all’appena costruito Archiginnasio, sede moderna dell’Alma Mater Studiorum (Dopo l’Unità d’Italia ha trovato sede negli spazi dell’Ospedale il Museo Civico Archeologico). Era un apprendistato necessario a quei tempi. Dopo aver studiato su volumi spesso antiquati ci si impratichiva negli ospedali, dove i ‘dottorandi’ svolgevano gli incarichi più disparati: dalla selezione ‘ambulatoriale’ dei pazienti, alle piccole operazioni chirurgiche, dalle visite giornaliere accanto al medico di turno, alla direzione dei barbieri, dalla supervisione della creazione dei farmaci da parte degli speziali all’osservazione delle dissezioni dei cadaveri. Quest’ultima pratica era stata introdotta negli studi universitari proprio a Bologna da Mondino de’ Liuzzi all’inizio del XIV secolo e aveva reso lo Studio cittadino tra i più aggiornati nell’investigazione del funzionamento del corpo umano.

Tagliacozzi ebbe come maestri i migliori professori del periodo: Girolamo Cardano per Medicina teorica, Ulisse Aldrovandi per Storia naturale e Giulio Cesare Aranzi per Anatomia e Chirurgia.

Si laureò quindi nel 1570, divenendo subito assistente anatomista dell’Aranzi e lettore di Chirurgia, carica che ricoprì fino al 1590.

Per poter essere ammesso al Collegio dei medici, però, occorreva che prendesse anche la laurea in Filosofia, cosa che fece nel 1576.

Poco alla volta si fece notare in città, guadagnandosi il rispetto e il plauso delle classi più elevate e venendo eletto per la prima volta nel 1578 come tribuno delle plebe, ruolo politico che interessava la regolamentazione dei prezzi delle derrate alimentari.

Si andò col tempo specializzando sempre più nella cura e nel trattamento di ferite al volto, al tempo frequenti soprattutto tra i nobili e i possidenti, spesso sfregiati durante le campagne militari. Risale agli anni ’80 la prima versione del metodo di ricostruzione delle parti mutile del viso, in particolare nasi, tramite innesto di pelle. Lo scritto venne mandato in forma di epistola al collega padovano Girolamo Mercuriale, che la pubblicò nel 1587 nella seconda edizione del suo De decoratione, trattato inerente i rapporti tra bellezza e medicina.

Nel 1590 gli venne assegnata la cattedra di Medicina teorica, che mantenne fino alla fine della sua vita, conservando in aggiunta il precedente incarico di anatomista. Fu inoltre per più anni sindaco della Gabella Grossa, il dazio sulle merci, ai tempi gestito dall’Ateneo per stipendiare i docenti universitari.

Una ricca clientela gli si fece così attorno, non solo bolognese ma anche proveniente dalle corti centrosettentrionali. Lui stesso accumulò una fortuna, anche grazie al costante aumento dei suoi stipendi accademici, e potette permettersi persino numerosi possedimenti fuori città. Gli ultimi anni segnarono la sua consacrazione nell’olimpo della medicina moderna, tanto che divenne medico personale di importanti figure come il duca mantovano Vincenzo Gonzaga.

A sugellare i suoi studi specialistici e i tanti interventi operati in quasi trent’anni di attività, fu la pubblicazione a Venezia, nel 1597, dei due volumi del De curtorum chirurgia per insitionem (Chirurgia delle mutilazione per mezzo di innesti). Con innovativa lucidità, il Tagliacozzi assorbì le pratiche ricostruttive del viso già sperimentate dal XV secolo e le espose con sorprendente metodologia in un’opera non solo insolitamente riferita a un’unica pratica chirurgica, ma anche mirabilmente illustrata. L’operazione più ricorrente riguardava il naso, per la ricostruzione del quale si tagliava un lembo di pelle nella parte interna del braccio; si accostava la carne viva sulla parte mutila o scarnificata del volto e si fasciava l’innesto (pratica appresa sulle piante nell’Orto Botanico dall’Aldrovandi), in modo tale che le due parti rimanessero in contatto per almeno tre settimane. Una volta suturate le estremità, la degenza poteva durare fino a dodici mesi.

Questo tipo di metodo, tanto articolato e lungo, non sempre dava i suoi frutti, ma di certo stupiva chi da questo ne usciva guarito. Forse per tal motivo, nel 1600, si dice che si tentò invano di aprire un processo inquisitoriale postumo, che vedeva il noto medico accusato di stregoneria. Tale notizia è tuttavia ancora dubbia, vista l’alta considerazione in cui era tenuto il rinomato chirurgo anche dalla Chiesa, che gli aveva affidato per giunta, tramite il Sant’Uffizio, il compito di revisionare l’Indice dei libri proibiti.

Il Tagliacozzi morì nel 1599 e la sua professionalità sopravvisse nella storia dell’Ateneo. Ancora oggi è tra i medici intagliati nel Teatro Anatomico dell’Archiginnasio (ai tempi del Tagliacozzi non ancora stato realizzato), con in mano l’immancabile naso, mentre nella sede di Ateneo, Palazzo Poggi, lo si ritrova in uno dei ritratti più belli della quadreria universitaria, opera di Tiburzio Passerotti, vestito di tutto punto mentre indica soddisfatto i suoi volumi e le illustrazioni delle operazioni che l’avevano reso celebre.