Clotilde Tambroni

Linguista, Accademica, Poeta, Professoressa di Lingua e Letteratura greca (Bologna, 29 giugno 1758 – Bologna, 2 giugno 1817).

Associata alle migliori accademie europee e accolta nei sofisticati salotti bolognesi come poeta, Clotilde Tambroni fece parte di quel ristretto gruppo di donne che nella seconda metà del XVIII secolo riportarono l’Alma Mater alla notorietà internazionale. Donne alle quali fu permesso salire in cattedra con il chiaro obbiettivo di fare scalpore, più che di iniziare una seria rivoluzione accademica oltre che sociale. Nonostante ciò Tambroni, Bassi, Dalle Donne e Morandi scrissero la Storia, sebbene per un breve tratto.

Clotilde TambroniClotilde Tambroni nacque in un’umile famiglia. Il padre Paolo era il cuoco del monastero di San Procolo, rinomato centro religioso, un tempo sede medievale dell’Università dei Legisti ultramontani.

Quando già era una ragazza in casa Tambroni aveva trovato alloggio il gesuita Emanuele Aponte, professore di Greco presso lo Studio. Secondo un fortunato aneddoto, la giovane, sbirciando alcune lezioni che il maestro impartiva ad alcuni studenti privatisti, apprese con grande facilità la lingua classica, suscitando in Aponte un sentito interessamento, che lo portò a prenderla sotto le sue cure di pedagogo tanto in lingua greca quanto in quella latina (la Tambroni sarebbe stata poi ricordata come un’esperta poliglotta anche per il francese, l’inglese e lo spagnolo). La giovane dovette la sua formazione fuori dal comune anche ad un altro gesuita: lo scrittore di tragedie e melodrammi Juan Bautista Colmes.

All’inizio degli anni ’90 per Clotilde si susseguirono riconoscimenti che presto l’avrebbero emancipata dalla sua condizione familiare e che l’avrebbero resa famosa tra i circuiti intellettuali di tutta Europa. Nel 1790, infatti, il nobile Niccolò Fava Ghisilieri le fu da intermediario per la locale Accademia degli Inestricati, la prima di tante che avrebbero fatto a gara per associarla (tra tutte si ricordi la prestigiosa Accademia romana dell’Arcadia (1792), nella quale la Tambroni prese il nome di Doriclea Sidonia (o Sicionia)).

L’anno della consacrazione definitiva fu invece il 1793 quando, per volere del Senato cittadino, in quel periodo legittimato alla nomina delle cattedre accademiche, Clotilde Tambroni venne assunta come docente di Particulae Grecae, (l’odierna Lingua e Letteratura greca), pur non avendo mai sostenuto l’esame di laurea.

A quei tempi quel particolare corso era fondamentalmente necessario per chi avesse voluto poetare ‘all’antica’, con qualche rudimento elementare di metrica e di lingua greca e, pur non essendo giunte molte informazioni circa le modalità e i contenuti delle lezioni della Tambroni, si suppone che anch’essa abbia avuto un approccio alla materia più letterario che filologico-linguistico.

La carriera della docente subì poi un brusco colpo quando, nel 1798, i professori universitari dovettero giurare fedeltà alla nuova costituzione repubblicana. La Tambroni, assieme ad altri 11 docenti, tra cui Galvani, non si piegò all’imposizione, soprattutto in virtù delle sue convinzioni religiose che diffidavano della compatibilità tra gli ideali democratici e i dogmi cattolici. Venne così allontana dall’insegnamento, ottenendo, di contro, riconoscimenti da parte del pontefice, che le permise in quell’anno di possedere e studiare volumi posto all’Indice.

Fortunatamente l’espulsione fu solo momentanea e già nel 1799 la Tambroni venne reintegrata, non prima che avesse concluso, col sempre presente Aponte, un fortunato viaggio in Spagna, durante il quale venne persino associata all’Accademia reale.

Come si evince da numerose lettere, per Clotilde l’insegnamento era una professione, un lavoro come altri, per guadagnare. Era in lei una nuova mentalità che vedeva nell’istruzione una formazione professionale e non solo un arricchimento culturale. Ecco spiegata la sua caparbietà nel far fronte a situazioni precarie, come quando, nel 1803, mandò un’istanza direttamente a Francesco Melzi d’Eril, vicepresidente della Repubblica Italiana, che venne accolta e trasformata l’anno seguente in un aumento di stipendio.

La situazione nella quale tuttavia versava non solo il suo corso, ma l’intera facoltà di Lettere era davvero drammatica. La riforma universitaria voluta da Napoleone aveva esaltato le discipline pratiche e scientifiche con il raggruppamento e il confinamento di quelle umanistiche, ritenute ormai antiquate. Lettere e Giurisprudenza erano state così gemellate nella nuova Facoltà di Giurisprudenza e Belle Lettere.

Ovviamente la Tambroni era contraria a questa riforma e nel 1806, salendo sul palco per pronunciare l’Orazione inaugurale dell’anno accademico, non perse l’occasione per ricordare lo storico sodalizio tra scienza e letteratura.

L’Orazione fu ancor più memorabile per lo sviluppo di un discorso che voleva esaltare il ruolo femminile nel mondo culturale. La Tambroni, difatti, rivendicò l’importanza di alcune donne nel mondo classico, come Ipazia e Aspasia, legando il loro esempio a quello delle sue colleghe bolognesi, Laura Bassi, Maria Gaetana Agnesi, Anna Morandi e Maria Dalle Donne. Di quest’ultima era stata una sorta di madrina quando, nel 1799, l’aveva accompagnata e presentata alla commissione di laurea nel Teatro Anatomico dell’Archiginnasio. Il ruolo che ebbero queste donne fu tanto importante quando insufficiente per conservare il traguardo da loro raggiunto all’interno dell’Ateneo. Esse rappresentano una breve parentesi di apertura che subito venne richiusa: si sarebbe dovuto aspettare, infatti, la fine del XIX secolo per osservare una timida ricomparsa di docenti e di studentesse, questa volta ineluttabilmente destinata a crescere e a non scomparire.

Ma ormai tanto il destino delle donne quanto quello della cattedra della Tambroni era segnato dal mutamento culturale napoleonico. Due anni più tardi, nel 1808, Lingua Greca venne soppressa e Clotilde dovette arrendersi al pensionamento anticipato.

Negli ultimi anni si dedicò con riconoscenza alla cura del suo vecchio maestro Aponte, ormai completamente immobilizzato, senza tuttavia lasciare la composizione poetica (sia in greco sia in italiano) e la frequentazione dei sofisticati salotti cittadini, come quello della contessa Teresa Carniani Malvezzi, in seguito grande amica e amata di Leopardi.

Quando poi, nel 1814, grazie a Murat il corso di Lingua e Letteratura Greca venne reintrodotto, per la Tambroni era ormai troppo tardi. Da tempo malata si era ritirata in casa, in via Barberia 23, dove si spense nel 1817.

La città e l’Università la omaggiarono con una commemorazione in Archiginnasio, durante la quale il canonico Filippo Schiassi le dedicò un elogio funebre. Sempre a lui si devono pure le iscrizioni che ancora ricordano la grecista bolognese: una incisa sulla sua tomba, sormontata dal busto dell’illustre donna eseguito da Adamo Tadolini, sotto la supervisione del Canova, grande affezionato della Tambroni, l’altra sulla lapide commemorativa un tempo collocata in Aula Magna e ora posta proprio sopra il l’ingresso del Museo di Palazzo Poggi.

La fama della Tambroni sopravvisse per tutto l’Ottocento, caricandosi gradualmente di valenze simboliche e romantiche. Nel 1872 l’abate Luigi Taccani pubblicò un curioso manuale pedagogico intitolato Clotilde Tambroni o la più nobile missione della donna, nel quale l’ignara Clotilde si trasformava in maestra di virtù cristiane, figura simile a quella che viene tratteggiata nella biografia della grecista realizzata da Giulia Cavallari Cantalamessa nel 1899.