Antonio Cortesi Urceo (noto come Codro)

Umanista, poeta, pedagogo e docente di Grammatica, Eloquenza e Greco (Rubiera, RE, 1446 – Bologna, 1500).

Figura anticonvenzionale e bizzarra, Urceo Codro rappresenta un particolare tipo di cortigiano rinascimentale, grato ai suoi benefattori, ma sempre indipendente e fieramente fedele a se stesso. Amatissimo dai suoi studenti per il particolare modo di insegnare, aperto e avvincente, fu capace di trasmettere loro, pur con un lessico basso, la complessa cultura del periodo, arricchita dalla riscoperta della classicità greca.

Antonio Cortesi Urceo (noto come Codro)Nato nel 1446 nei pressi di Reggio Emilia, Antonio Cortesi Urceo (da Orzi Novi, villaggio d’origine della famiglia presso Brescia), dopo un breve periodo formativo a Modena, nel 1465 ebbe la fortuna di essere mandato a Ferrara. Qui divenne allievo di Battista Guarini, figlio dell’illustre pedagogo Guarino Veronese, dal quale assimilò l’amore per il greco e le moderne metodologie didattiche, fino ad allora riservate ai rampolli delle prestigiose corti rinascimentali.

Nel 1469, grazie all’intermediazione di un altro suo maestro, Luca Ripa, iniziò la pubblica docenza a Forlì, dove ripristinò l’Accademia dei Filergiti, fondata nel 1370 da Giacomo Allegretti. Fin da subito venne apprezzato per le sue doti pedagogiche, tanto da meritarsi la cittadinanza (viene chiamato da molte fonti ‘forlivese’) e da essere assunto dal signore della città, Pino III Ordelaffi, come precettore del figlio Sinibaldo.   

Quando però, nel 1480, Forlì venne data da Sisto IV al nipote Girolamo Riario e a sua moglie Caterina Sforza, l’Urceo decise di trasferirsi a Bologna.

Anche all’università felsinea l’umanista reggiano fu rapidamente apprezzato tanto dai suoi studenti (tra cui molti stranieri come i polacchi Niccolò Copernico e Andrzej Krzycki e il francese Jean de Pins) quanto dai signori locali, i Bentivoglio, che gli affidarono l’educazione dei giovani di famiglia.

Il successo di Codro (nome che eccentricamente ricavò dalla contrazione del cognome Cortesi e dal recupero di un secondario e sfortunato poeta dell’Età Flavia) era legato soprattutto al suo modo di insegnare: anticonvenzionale e ironico, stimolante e piacevole.

L’uso di un linguaggio ‘basso’ anche per impartire nozioni elevate rivelava la sua passione per Plauto, di cui terminò l’Aulularia con estrema attenzione linguistica e poetica.

Non trascrisse invece nessuna lezione per affidarla alle stampe, come facevano ai tempi Beroaldo il Vecchio e altri colleghi, rimanendo fedele ad un’oralità socratica legata all’idea di un insegnamento spontaneo e colloquiale. Fortunatamente, però, i suoi studenti riuscirono a trascrivere 14 sermones (lezioni orali), che vennero inseriti nella più composita Opera omnia (1502) pubblicata due anni dopo la scomparsa del
maestro (1500).

Gli Epigrammi, le lettere, l’ecloga, la satira e le miscellanee (Sylvea), offrono il variegato pensiero del loro autore, spesso impegnato a lodare i suoi benefattori, ma mai prono a servirli.

Urceo Codro, difatti, fu uno dei pochi dottori a non essere arruolato in politica come cortigiano bentivolesco. Rivendicò costantemente la sua libertà intellettuale e in questo era vicino al giovane Amico Aspertini, che con le sue stravaganti interpretazioni pittoriche, in quegli stessi anni, stava lasciando una sfumatura tutta sua sul Rinascimento locale.

Anche il suo approccio alla lingua greca non seguiva le vie ortodosse degli altri esperti. Urceo non era un filologo e si avvicinava al greco con appassionata curiosità (tre sue traduzioni, oggi conservate alla Biblioteca Universitaria di Bologna, ne sono l’esempio). La disciplina che impartì nello studio bolognese, da pochi decenni promossa dalla riforma culturale e universitaria del cardinal legato Bessarione (1453), riuscì comunque a sedurre i suoi scolari e gli procurò grande stima anche tra alcuni studiosi ben più ferrati nella materia (Poliziano gli chiese consiglio su alcuni suoi epigrammi in lingua e Aldo Manuzio gli dedicò la sua ricca raccolta di epistolografi greci).

La vita stravagante e anticonvenzionale di Urceo Codro si rifletté ugualmente nel suo personale atteggiamento religioso: sincretico, superstizioso e a tratti visionario. Gli vennero mosse accese critiche e accuse persino dai suoi stessi studenti. Il suo linguaggio, a volte ai limiti con la blasfemia, scandalizzava, mentre la concezione del mondo lo avvicinava a idee epicuree, che in realtà rivelano una profondità raramente rintracciata in altri. La realtà per Codro non era altro che illusione e follia in continua metamorfosi, al contrario delle verità della religione, riscontrabili solo attraverso l’occhio della fede.