A cosa serve un titolario di classificazione nell'era dell'informatica?

«A che cosa serve la classificazione?».

Questa è una delle domande più frequenti che un archivista si sente rivolgere con sempre maggiore insistenza quando si tratta di sviluppare un sistema informatico, senza alcuna distinzione tra pubblico e privato. Negli ultimi anni, infatti, il mito della ricerca globale sulle banche dati ha fatto ritenere a molti che l'organizzazione archivistica fosse un evento ormai superato dall'ingresso prepotente delle nuove tecnologie e in particolare di quelle di information retrieval. Eppure, a ben vedere, proprio la grande mole di dati e informazioni archiviabili nelle memorie digitali ha amplificato l'esigenza di un'organizzazione archivistica, basata non tanto sui documenti (dai quali ricavare dati e informazioni), quanto piuttosto sulle relazioni stabili (e da mantenere stabilmente) tra i documenti all'interno di un sistema informativo documentale.

Per gli informatici, infatti, il documento può essere rappresentato come un "oggetto" completo in se stesso, in quanto latore di un certo numero di informazioni desumibili dal contenuto e dalle note di riferimento, metadati compresi. In questo senso, trattato come risorsa informativa alla stregua di un libro, il documento diventa un oggetto privo di relazioni stabili e naturali, dove una soggettazione o un abstract possono avere la pretesa di sostituire la classificazione, in considerazione del fatto che prevale l'ordinamento occasionale, o comunque forzoso e artificiale, per materia o in base ad esigenze contingenti. Un documento archivistico, invece, viene prodotto nell'esercizio di una funzione determinata o di un'attività pratica dell'ente produttore, tanto da determinare necessariamente un rapporto stabile tra il documento e la funzione o l'attività esercitata. La conservazione di una banca dati contenente una sequenza di documenti registrati in ordine cronologico e diversi per tipologia e oggetto non riveste, a ben vedere, alcuna utilità pratica nel tempo. Forse, a quel punto, sarebbe più funzionale avere una pila di carte da sfogliare, anziché conservare i documenti nello stesso ordine attribuito dalla registrazione di protocollo, che è, appunto, una sequenza di documenti registrati in ordine cronologico. Un archivio non si basa, pertanto, su dati e informazioni ricavabili dai singoli documenti, ma sulle interrelazioni tra ciascun documento e l'affare o il procedimento a cui si riferisce, e tra quest'ultimi con l'archivio, inteso come complesso organico di documenti all'interno del quale quei documenti devono essere conservati. All'archivista, al soggetto produttore, al giudice e allo storico in futuro infatti non interessa l'informazione di un singolo atto oppure l'informazione in quanto tale come insieme di dati, ma la storia di un procedimento, di un affare, di una pratica e, di conseguenza, la contestualizzazione dell'informazione nel periodo in cui venne prodotta in una visione diacronica dell'intero processo di produzione della catena documentaria.

In una parola: serve il fascicolo come insieme organico di documenti e non il documento singolarmente considerato. Non classificare significa, pertanto, decontestualizzare, cancellare in qualche modo il DNA archivistico che ogni documento necessariamente deve possedere come vincolo intrinseco ("nesso archivistico"), senza l'evidenza del quale i documenti sono destinati a diventare anelli slegati dal contesto generale che li ha prodotti.

Per questi motivi, prima di procedere all'analisi delle specifiche di un sistema informatico, si deve ricercare un medesimo linguaggio, che superi le facili e conflittuali ambivalenze della terminologia, tipiche di quelle parole che in informatica assumono un significato e in archivistica un altro completamente diverso, antitetico o, comunque, equivoco. In questa direzione è possibile integrare le competenze informatiche con quelle archivistiche nella consapevolezza critica della distinzione e della necessaria sequenzialità dei ruoli.