Bilancio di genere 2019

L’indice UGII (University Gender Inequality Index) che consente di stimare, attraverso un unico valore, la distanza che si frappone tra la situazione di genere rilevata nell’Ateneo e l’ipotetica situazione di perfetta parità fa riscontrare quest’anno, rispetto agli anni scorsi, un leggero miglioramento, e di questo mi compiaccio, ma troppe sono ancora le ragioni di apprensione e insoddisfazione. Prima, tra tutte, la perdita di talenti. Chiunque abbia voglia di leggere con attenzione il presente documento troverà nelle sue pagine dati contrastanti: come mai nonostante la maggiore percentuale di iscritte al primo ciclo di studi, malgrado i migliori risultati in termini di voto di laurea triennale delle studentesse rispetto ai colleghi, a dispetto della maggiore propensione femminile a cogliere opportunità di mobilità e scambio internazionale, e sebbene il tasso di abbandono femminile sia più basso, gran parte delle nostre lauree magistrali vede un calo nelle iscrizioni delle studentesse? Perché in alcune realtà, peculiarmente quelle cosiddette STEM, benché le ragazze che si iscrivono ottengano eccellenti risultati, il genere femminile è così fortemente sottorappresentato? E come mai in ambito umanistico, e più in particolare in quei corsi che preparano alle cosiddette professioni di cura, gli studenti sono così pochi? Per quale stortura il nostro mondo produttivo continua a far registrare una differenza nella retribuzione media a 1, 3 e 5 anni dalla laurea tra laureati e laureate se queste ultime hanno concluso gli studi con un voto in media migliore? Per quale ragione si avvicinano alla carriera di ricerca e partecipano al bando per l’iscrizione al dottorato più studenti che studentesse? Dobbiamo chiederci se possiamo davvero dirci immuni da stereotipi e visioni pregiudizievoli, o se in maniera magari inconscia non contribuiamo quotidianamente a veicolare e perpetuare modelli e formule rassicuranti perché radicate, che sacrificano il talento femminile con un danno evidente per l’intera comunità.

C’è un’altra ragione di preoccupazione, e in questo caso parlerei, più che di perdita di talenti, di mancata valorizzazione degli stessi. Faccio riferimento alla distribuzione per genere nei tipici percorsi di carriera accademica: nei ruoli iniziali, come il Bilancio dimostra, si è vicini alla parità, ma a mano a mano che si procede verso ruoli apicali la distanza si allarga, evidenziando una divaricazione che penalizza gravemente le donne e dunque tutti noi. Anche in questo caso gli interrogativi sono d’obbligo: pensiamo davvero che il reclutamento che continua a premiare, per il ruolo di ordinari, in netta prevalenza gli uomini possa riflettere una reale differenza nel merito? Sul serio pensiamo che con l’aumentare dell’esperienza e delle responsabilità nella ricerca e nella didattica la risposta maschile sia migliore? Anche per ragioni statistiche la risposta non potrebbe essere affermativa. Dobbiamo chiederci se quella forchetta non dipenda piuttosto da profonde ragioni sociali (in particolare una suddivisione ancora non equa nei ruoli di cura) e da pregiudizi culturali troppo radicati in noi, a dispetto delle posizioni politicamente corrette che siamo sempre pronti ad abbracciare.

Per contrastare la perdita di talenti dobbiamo parlare ai e alle giovani, ancor prima, forse, che arrivino nelle nostre aule. Cerchiamo un maggior legame con le scuole, facciamo sì che il nostro orientamento, già così efficace, venga finalizzato anche a una maggiore apertura critica, a offrire pari opportunità di scelta, indipendentemente da schemi sociali ed economici ormai superati e non più produttivi. Per ovviare alla mancata valorizzazione dei talenti femminili nella carriera universitaria impegniamoci fin d’ora a pensare al reclutamento scevri da pregiudizi e preconcetti. Nei prossimi mesi ci aspetta un lavoro molto serio per la selezione di un numero rilevante di RTDb: sono i nostri prossimi ricercatori e le nostre prossime ricercatrici, che nel giro di pochi anni ricopriranno però i ruoli di associati e associate, costituendo il bacino per i ruoli apicali della futura comunità docente universitaria. Il momento è dunque fondamentale e strategico: dobbiamo ricercare il cambiamento perché lo meritiamo come persone, perché la valorizzazione delle differenze è l’unica strada per continuare a migliorarci, perché i talenti non vanno sciupati.

Francesco Ubertini
Rettore

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