Lezione 27 Ottobre
I' vegno 'l giorno a te 'nfinite volte
e tròvoti pensar troppo vilmente:
molto mi dòl della gentil tua mente
e d'assai tue vertù che ti son tolte.
Solevanti spiacer persone molte;
tuttor fuggivi l'annoiosa gente;
di me parlavi sì coralemente,
che tutte le tue rime avìe ricolte.
Or non ardisco, per la vil tua vita,
far mostramento che tu' dir mi piaccia,
né 'n guisa vegno a te, che tu mi veggi.
Se 'l presente sonetto spesso leggi,
lo spirito noioso che ti caccia
si partirà da l'anima invilita.
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Nera sì, ma se’ bella, o di Natura
fra le belle d’Amor leggiadro mostro.
Fosca è l’alba appo te, perde e s’oscura
presso l’ebeno tuo l’avorio e l’ostro.
Or quando, or dove il mondo antico o il nostro
vide sì viva mai, sentì sì pura,
o luce uscir di tenebroso inchiostro,
o di spento carbon nascere arsura?
Servo di chi m’è serva, ecco ch’avolto
porto di bruno laccio il core intorno,
che per candida man non fia mai sciolto.
Là ’ve più ardi, o sol, sol per tuo scorno
un sole è nato, un sol che nel bel volto
porta la notte, ed ha negli occhi il giorno