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Jacopo Lorenzini

Senior assistant professor (fixed-term)

Department of History and Cultures

Academic discipline: GSPS-03/B History of Political Institutions

Useful contents

Breve vademecum per la scrittura di una tesi di laurea triennale

Ovvero: cose delle quali è bene tenere conto prima di mandare al docente un capitolo scritto con i piedi.

 

Premessa

La tesi triennale è prima di tutto un esercizio di scrittura accademica. Il vostro obiettivo primario non è produrre un testo per il pubblico, ma dimostrare al docente (e alla commissione di laurea) di aver adeguatamente approfondito l’argomento scelto, e di saper utilizzare le pratiche e gli strumenti (ricognizione bibliografica, note a piè di pagina) che distinguono la scrittura accademica da quella divulgativa o di fiction.

NB – questo vademecum non è sostitutivo di un seminario sulla scrittura della tesi (che vi consiglio caldamente di frequentare), né di manuali più strutturati: è più una checklist che vi aiuti a verificare di non aver dimenticato alcuni passaggi fondamentali.

 

 

Prima di iniziare a scrivere

 

Scegliere un argomento

Spesso capita che ci si presenti nello studio del docente senza un’idea chiara sulla direzione da dare al lavoro di tesi. Non c’è nulla di male, anzi: il nostro lavoro è anche quello di facilitare il chiarimento delle vostre (e delle nostre) idee mediante la discussione vis-à-vis. Tuttavia mi permetto di dare un suggerimento preventivo: non arrovellatevi nello scegliere per forza un argomento trendy, o uno ponderosamente serio, se il vostro istinto vi spinge in altre direzioni. Scegliete un argomento che vi appassioni: non c’è nulla di più noioso dello scrivere di storia senza passione. Last but not least, ricordate sempre che non dovete coprire ogni singolo aspetto dell’argomento che avete scelto: ponete alla bibliografia e/o alle fonti una domanda storiografica chiara, e cercate di darle una risposta. Non state scrivendo un manuale, ma una tesi triennale.

 

Scegliere una relatrice o un relatore

La scelta di quale docente approcciare non è secondaria. Andate sulle loro pagine istituzionali e guardate di cosa si occupano, quali sono i loro campi di ricerca, che libri hanno scritto. Non ha senso proporre una tesi di storia contemporanea ad un docente di storia medievale, così come non è furbo fare una tesi di storia della tecnica con un docente che si occupa di storia delle istituzioni politiche: non potrà aiutarvi a migliorare le vostre conoscenze sull’argomento che avete scelto, e cercherà di farvi scrivere di istituzioni politiche anche se non ne avete minimamente voglia. Non per cattiveria, ma perché si occupa di quelle. Choose wisely.

 

Scegliere una tipologia: tesi compilativa o di ricerca

Si tratta di scegliere se scrivere una tesi sulla base della bibliografia esistente (e in quel caso si parla di tesi compilativa), oppure se si intende sondare e utilizzare fonti più o meno inedite (e allora di parla di tesi di ricerca). Una fonte non è per forza un documento d’archivio mai visto prima: può essere una fonte bibliografica coeva, una fonte archeologica o iconografica, una fonte orale, eccetera. La differenza fra le due modalità di tesi risiede piuttosto nel fatto che la compilativa si limita a discutere ciò che altri storici hanno scritto su un determinato argomento, mentre quella di ricerca discute direttamente fonti relative all’argomento in questione. Non c’è una tipologia di tesi migliore dell’altra, o che garantisca un punteggio più alto. Almeno per il sottoscritto, una tesi di ricerca scritta e strutturata male è certamente peggio di una tesi compilativa fatta bene. Bisogna valutare il tempo a disposizione, lo sforzo che si è disposti a sostenere (anche logistico: raramente gli archivi sono sul pianerottolo di casa propria), e soprattutto la propria personale inclinazione: quale delle due tipologie di tesi vi piacerebbe di più scrivere?

 

Leggere, leggere e ancora leggere: la ricognizione bibliografica

La tesi non serve ad annunciare urbi et orbi la vostra opinione sul tema che avete scelto (anche perché nella maggior parte dei casi la legge una sola persona: io), ma deve dimostrare che quel tema lo conoscete davvero – e dunque, prima di ogni altra cosa, che avete letto ciò che altre storiche e storici hanno scritto al riguardo. È la cosiddetta ricognizione bibliografica, cioè la ricerca, la lettura e la critica di ciò che di significativo è stato scritto su un determinato argomento[1]. Si tratta di un passaggio fondamentale: se non lo si fa, o lo si fa male e con sciatteria, la tesi è condannata fin da subito a risultare banale e vacua, e ad essere valutata di conseguenza.

Quanta bibliografia è necessario utilizzare per una tesi triennale? Come abbiamo detto sopra, potenzialmente tutto ciò che di significativo è stato scritto sul tema. Il che non significa che dovete per forza utilizzare veramente TUTTO quel che è stato scritto in ambito accademico su un determinato argomento: sarebbe impossibile, non lo facciamo nemmeno noi quando scriviamo un libro. È proprio qui che entrate in gioco voi, con la vostra capacità di critica della fonte – in questo caso bibliografica. Quali sono i testi fondamentali che sono stati scritti sull’argomento che avete scelto? E quali hanno successivamente rinnovato la discussione storiografica sul tema? Ci sono articoli o libri particolarmente recenti che aprono ulteriori filoni di ricerca o che danno un’immagine nuova dell’argomento? Sta a voi capire quali opere vale la pena utilizzare per la vostra tesi e inserire nella bibliografia, e quali no: ma sempre giustificando adeguatamente la vostra scelta.

Detto questo, se alla fine la vostra bibliografia conta cinque o sei titoli in tutto, i casi sono due: o avete scelto un tema troppo specialistico, forse non adatto ad una tesi triennale, oppure è il caso di tornare in biblioteca e trovarne altri – perché ce ne sono, ve lo garantisco.

 

 

Come strutturare una tesi? A cosa servono le varie parti?

Una tesi di laurea si compone di indice, introduzione, corpo, conclusione, bibliografia – ed eventualmente, ma non obbligatoriamente, di una o più appendici documentarie, statistiche o iconografiche.

La redazione dell’indice dovrebbe sempre essere il primo passo nella scrittura di una tesi. L’indice serve sia a chi scrive, per chiarirsi le idee su quali aspetti specifici dell’argomento scelto intende approfondire, sia a chi legge (e valuta) per collocare ogni singolo capitolo nel quadro più ampio della tesi. Ovviamente l’indice può cambiare in corso d’opera, ma definirne una prima bozza prima di iniziare a scrivere il resto della tesi è comunque una buona pratica.

L’introduzione serve a dichiarare quale sarà il contenuto del resto della tesi, a quali fonti si è fatto ricorso per scriverla e, nel caso di una tesi di ricerca, quali metodologie storiografiche sono state applicate. È qui che si dichiara la natura del lavoro svolto, e che si inizia a dare conto della ricognizione bibliografica: chi ha già scritto su questo argomento prima di voi? che interpretazioni ha proposto? come vi posizionate voi rispetto a queste ultime? Se la tesi è compilativa, le risposte a queste domande costituiranno poi il corpo del lavoro (vedi oltre), ma intanto è bene darne una veloce anteprima.

Il corpo della tesi può essere composto da due o più capitoli, e costituisce lo svolgimento di quanto è stato annunciato nell’introduzione. Questa è la parte dove potete sbizzarrirvi di più, e dare davvero dimostrazione del lavoro di ricerca e lettura critica che avete svolto: si possono scrivere capitoli di ricostruzione cronologico-tematica (dimostrando di aver sviscerato l’argomento della tesi in profondità); capitoli di discussione storiografica (quali fra le interpretazioni proposte da chi ha trattato l’argomento prima di voi vi convincono di più, e perché?); capitoli di esposizione della ricerca svolta in archivio o altrove (nel caso di una tesi di ricerca); eccetera. Ogni capitolo può essere diviso in paragrafi, ma evitate ulteriori partizioni a matrioska (sottoparagrafi, sotto-sottoparagrafi etc) che creano solo confusione.

Nella conclusione, si tirano le somme di quanto è stato scritto nel resto della tesi – e se la tesi è di ricerca, si sottolinea quali sono i dati nuovi che il materiale raccolto ha permesso di evidenziare.

Nella bibliografia si includono, in maniera formalmente corretta (vedi oltre), tutte le fonti bibliografiche (analogiche e digitali) utilizzate per la scrittura della tesi. Se la tesi è di ricerca, oltre alla bibliografia va inserito un compendio delle fonti non bibliografiche. La bibliografia si colloca in fondo alla tesi, ma andrebbe composta per prima, assieme all’indice: solo sapendo fin da subito su quali testi state lavorando, il docente può eventualmente consigliarvene altri.

Prima di inserire eventuali appendici, specie se iconografiche, domandarsi sempre: serve a meglio comprendere il contenuto della tesi o a valorizzare la documentazione inedita che ho raccolto? Se la risposta ad entrambe le domande è negativa, evitate: ve ne saranno grati il vostro portafogli, la popolazione vegetale del pianeta e il docente – e la gratitudine del docente che valuta il vostro lavoro è sempre un asset di una certa importanza.

Quanto deve essere lunga una tesi triennale? Non ho una risposta tassativa a questa domanda. Se volete un range di massima, indicativamente dovrebbe aggirarsi tra le 50 e le 100 cartelle. In caso di sforamento verso il basso (sotto le 50 cartelle) scatta l’interrogativo sul perché abbiate scelto un determinato argomento se poi non siete in grado di svilupparlo adeguatamente. Le eccezioni sono invece ammesse verso l’alto (oltre le 100 cartelle), ma devono essere sempre adeguatamente giustificate: potete scrivere in 100 cartelle quello che vi verrebbe da scrivere in 200? Allora forse è il caso di scriverne 100. La tesi è anche un esercizio di chiarezza e di sintesi, usate il buon senso.

 

Aspetti formali

I testi accademici hanno alcune caratteristiche formali che li distinguono da altre tipologie di scrittura, e che dovete dimostrare di saper padroneggiare. Anzitutto, ogni volta che si riporta qualcosa che avete tratto da un testo altrui, è obbligatorio darne conto con una nota a piè di pagina. Questo vale sia per le citazioni letterali, sia per concetti o argomentazioni altrui che volete richiamare e utilizzare anche voi. Il corpo del testo e le note a piè di pagina devono essere formattati in modalità giustificata. Curare l’aspetto formale della vostra tesi non è solo una parte sostanziale del vostro lavoro: consente anche a chi la legge di concentrarsi sul suo contenuto.

 

Citazioni letterali

Quando si cita letteralmente, lo si può fare in due modi. Quando il passo utilizzato è breve (meno di due righe) va inserito infra testo utilizzando le virgolette basse («») e «inserendo una nota al termine della citazione»[2].

Quando invece il passo è più lungo di due righe, va distaccato dal resto del testo con un rientro di paragrafo, senza utilizzare alcuna virgoletta, né alta né bassa, e inserendo una nota al termine della citazione e dopo l’ultimo segno di punteggiatura.

 

Riferimenti bibliografici

Un libro si cita con la formula: Autore, Titolo del libro, Editore, Luogo Anno[3].

Un saggio in un volume collettaneo si cita con la formula: Autore, Titolo del saggio, in Curatore (a cura di), Titolo del libro, Editore, Luogo Anno, pagine di inizio e fine del saggio[4].

Un articolo invece si cita con la formula: Autore, Titolo dell’articolo, in «Titolo della rivista», Numero/Fascicolo, Anno, pagine di inizio e fine dell’articolo[5].

Una fonte digitale si cita con la formula: Autore, Titolo, (URL, consultato in data Giorno Mese Anno).

Quando state facendo una citazione letterale, va aggiunto il numero di pagina al quale poterla rintracciare. Quando invece fate riferimento ad un concetto sviluppato da altri, alla citazione va premessa la particella Cfr.

Quando si cita di nuovo un testo che avete già citato, si usa la formula: Autore, Titolo abbreviato, pagina o pagine alle quali fate riferimento[6]

Quando citate due volte di fila dallo stesso testo, ma da pagine differenti, si usa la formula: ivi, pagina o pagine alle quali fate riferimento.

Quando invece citate dallo stesso testo e dalla stessa pagina (o dallo stesso documento archivistico), si usa la formula: ibidem.

 

Dove inserisco le note a piè di pagina?

Tranne casi particolarissimi, le note vanno sempre inserite al termine della frase alla quale si riferiscono[7].

Personalmente, vedere note piazzate arbitrariamente in mezzo ad una frase mi suscita[8] irrefrenabile fastidio e prurito – quindi, fossi in voi, eviterei.

Quando si utilizza una stessa fonte[9], magari facendo riferimento alla stessa pagina[10], molte volte di seguito[11], è inutile inserire una nota ogni singola volta che lo si fa[12]: meglio una nota al termine del paragrafo, che sintetizzi l’uso complessivo che avete fatto della fonte in questione[13].

 

 

Qualche consiglio stilistico

Scrivete frasi brevi, indicativamente non più di due-tre righe ciascuna. Se una frase vi esce più lunga di tre righe, spezzatela in due, o in tre. Ricordate però che qualsiasi periodo, per quanto breve, deve comunque avere un soggetto, un verbo e un complemento: cerchiamo di non regredire alla scuola dell’infanzia.

Il testo deve essere prima di tutto comprensibile. Non utilizzate mai un termine desueto o barocco quando potete sceglierne uno semplice e diretto. Non state concorrendo al Premio Strega, per quanto vi auguri prima o poi di farlo: state scrivendo una tesi triennale.

RILEGGERE, RILEGGERE, RILEGGERE. Farsi sfuggire un refuso non è nulla di grave, ma dieci refusi in un paragrafo non sono ammissibili. A parte la difficoltà oggettiva nel capire cosa ci sia scritto in un testo così disastrato, un gran numero di refusi e frasi sconnesse o mal scritte comunicano a chi legge un’informazione che non volete gli/le arrivi: che non ve ne frega nulla del lavoro che gli/le state presentando – il che può avere serie conseguenze sulla valutazione della vostra tesi di laurea.

Se avete la fortuna di laurearvi nella stessa sessione di una vostra compagna o di un vostro compagno di corso, una buona pratica sarebbe quella di scambiarvi le tesi, e correggervele a vicenda prima di consegnarle ai rispettivi relatori o relatrici. Quando si legge un testo altrui, è molto più facile vedere gli errori e le frasi mal costruite rispetto a quando leggiamo qualcosa che abbiamo scritto noi.

Buon lavoro!

 

 

 

 

Note

[1] Al di là delle valutazioni contenutistiche, significativo = testi scientifici: no letteratura di fiction (a meno che la tesi non tratti specificamente di interazioni fiction-non fiction), no articoli o testi divulgativi (a meno che la tesi non tratti di storia della divulgazione), no opinioni di mio cugino sul gruppo facebook Sei di Scienze Storiche Se (a meno che la tesi non tratti di utilizzo della storia sui social network).

[2] Così.

[3] Esempio: J. Lorenzini, Pensieri profondissimi, Libri Profondi, Bologna 2030.

[4] Esempio: J. Lorenzini, Altri pensieri profondissimi, in L. Jacopini (a cura di), Antologia del pensiero profondo, Libri Profondi, Bologna 2031.

[5] Esempio: J. Lorenzini, Saranno poi davvero profondissimi questi pensieri?, in «Rivista del pensare profondamente», 12, 2030, pp. 13-17.

[6] Esempio: Lorenzini, Pensieri…, p. 13.

[7] Come in questo caso.

[8] Come in questo caso.

[9] J. Lorenzini, Pensieri profondissimi, Libri Profondi, Bologna 2030, p. 13.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, p. 14.

[12] Ibidem.

[13] J. Lorenzini, Pensieri profondissimi, Libri Profondi, Bologna 2030, pp. 13-14. Come vedete, le quattro note precedenti erano inutili e bastava inserire questa.

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