L'attività di ricerca si è prevalentemente rivolta ai problemi
di misura del rischio nei mercati finanziari, alla distribuzione
delle attività finanziarie delle famiglie, ai modelli di
distribuzione del reddito (con particolare riferimento al modello
di Dagum) e alla misura della disuguaglianza (approfondendo il
ruolo dell'indice di Gini e alla sua scomposizione).
Variabili latenti e mercati finanziari
Il punto di partenza dell'analisi è rappresentato dal concetto di
variabile latente, che consente di studiare le principali
caratteristiche dei mercati finanziari, in primis il rischio, sulla
base di ben note metodologie statistiche, quali l'analisi dei
fattori.
Il modello usato come riferimento per l'interpretazione dei
rendimenti finanziari è l'Arbitrage Pricing Theory (APT) di
Ross.
Viene proposto uno studio Monte Carlo, nel quale la struttura
fattoriale dei dati simulati è nota a priori, con l'obiettivo di
valutare la distanza tra il "vero" numero di fattori e le
indicazioni offerte dai vari metodi. I risulati ottenuti
suggeriscono che, in presenza di una struttura monofattoriale, il
criterio di informazione di Akaike e il rapporto di verosimiglianza
sovrastimano il numero di fattori, mentreil criterio di
informazione di Schwarz indica il numero corretto. D'altra parte,
al crescere del numero di fattori, il criterio di Akaike sembra
essere il metodo più preciso per valutare la dimensione della
struttura fattoriale.
Un metodo alternativo per identificare la struttura fattoriale è
rappresentato dalla regressione a rango ridotto, che permette di
analizzare la relazione tra i fattori latenti e le variabili
macroeconomiche. Viene suggerito un numero di fattori sensibilmente
inferiore a quello indicato dall'analisi fattoriale: nel mercato
azionario italiano, solo 2-3 fattori sembrano essere rilevanti per
la spiegazione della variabilità dei rendimenti.
Inoltre, usando una rappresentazione state-space e il filtro di
Kalman, non vengono individuati fattori dinamici per il mercato
azionario italiano.
Nella successiva parte della ricerca viene proposto un nuovo
criterio di informazione. Come i criteri di informazione
tradizionali, anche il nuovo criterio è basato su due componenti:
la prima, il massimo della log verosimiglianza, fornisce una
valutazione empirica della bontà del modello, mentre la seconda, il
prodotto tra il numero dei parametri e un coefficiente alfa,
rappresenta la penalizzazione per l'aumento del numero di
parametri, in linea con il principio di parsimonia. Nel nuovo
criterio, il coefficiente alfa non è una costante, come nel
criterio di informazione di Akaike, nè semplicemente una funzione
del numero di osservazioni, come nei criteri di Schwarz e Hannan e
Quinn, ma è una funzione di tutte le informazioni disponibili, e
cioè, nel caso del modello fattoriale, del numero di variabili
osservabili e del numero di osservazioni.
Nel contesto del mercato azionario italiano, lo studio Monte Carlo
indica la presenza di una relazione diretta tra il numero di
osservazioni ed alfa e di una relazione inversa tra il numero di
variabili osservabili ed alfa. Allo scopo di formalizzare tali
relazioni vengono proposti due percorsi. Il primo si muove
nell'ambito delle reti neuronali, che sono in grado di approssimare
la relazione non lineare incognita tra insiemi di variabili. Il
secondo percorso riguarda, inoltre, una specificazione lineare,
dove alfa è ottenuto come una funazione del numero di osservazioni
e del numero di variabili. In entrambi i casi il nuovo criterio
risulta più efficient e preciso rispetto ai metodi classici.
Nell'ultima parte della ricerca viene mostrato come una delle
ipotesi più forti del modello fattoriale, e cioè l'indipendenza
cross-section dei termini di errore, non è adeguata per
rappresentare i fenomeni finanziari. Di conseguenza, si propone di
analizzare i dati finanziari nel contesto del modello fattoriale
approssimato, che rende più debole l'ipotesi di indipendenza dei
termini di errore. I metodi classici di misura del numero dei
fattori non sono più validi e quindi è necessario sviluppare metodi
alternativi, nell'ambito dei quali solo due fattori sembrano essere
rilevanti per spiegare la variabilità dei rendimenti nel mercato
azionario italiano.
Sebbene di grande importanza, la misura del rischio non esaurisce
il tema della non osservabilità nell'analisi dei dati finanziari.
Un capitolo ulteriore, importante, e tuttora aperto, riguarda le
scelte di portafoglio, dove le decisioni di investimento sono
osservabili, mentre il processo decisionale rimane non osservabile.
La proposta è di affrontare il problema della non osservabilità
nelle scelte di portafoglio ricorrendo ai modelli a classe latente.
L'obiettivo di questa metodologia è identificare classi latenti che
rappresentino gruppi di investitori soggetti a vincoli non
osservabili rispetto alle proprie strategie di investimento. Tali
classi latenti sono determinate attraverso le relazioni tra un
insieme di variabili categoriche osservabili relative a
caratteristiche socio-demografiche ed economiche degli investitori,
e una variabile manifesta relativa alle effettive scelte di
portafoglio.
Questa metodologia è applicata alle decisione di investimento
internazionale allo scopo di analizzare il problema dell'equity
home bias puzzle, la distorsione delle scelte di portafoglio verso
investimenti nazionali. L'idea base è classificare la popolazione
di investitori che non possiedono investimenti esteri in due
gruppi: il primo costituito da investitori che possono investire
all'estero, il secondo da investitori che hanno dei vincoli che
precludono l'acquisto di titoli esteri.
Il modello è applicato ai dati 2002 dell'indagine della Banca
d'Italia sui bilanci delle famiglie. I risultati mostrano che il 90
per cento delle famiglie che non possiedono titoli esteri sono
anche vincolate all'acquisto di tali titoli. Tali famiglie
rappresentano l'89 per cento dell'intera popolazione; del rimanente
11 per cento senza vincoli verso l'investimento all'estero, il 10
per cento non investe in titoli esteri. Questi risultati implicano
che l'equity home bias è completamente spiegata per l'89 per cento
delle famiglie, mentre potrebbe essere non spiegata per il
rimanente 11 per cento. E' importante sottolineare come, per
misurare correttamente l'equity home bias, è necessario individuare
gli investitori che non possono operare all'estero (89 per cento
del totale delle famiglie). Rispetto alla letteratura corrente,
dove gli investitori sono considerati come un solo gruppo e
l'equity home bias è misurata in riferimento a tutte le famiglie,
viene introdotta una distinzione strategica.
I risultati forniscono, inoltre, stime degli effetti delle
caratterisiche sociali, demografiche, economiche e finanziarie
degli investitori sulla probabilità di essere investitori in titoli
esteri. Complessivamente è possibile definire un profilo di
famiglia consistente con un'alta probabilità di poter investire
all'estero: età compresa tra 40 e 60 anni, uomo, con una famiglia
numerosa, residenti nel nord Italia, con istruzione
universitaria.
Una valutazione dell'equity home bias formulata sulla base della
distinzione tra investitori vincolati e potenziali investitori
all'estero rileva un livello dell'home bias di 73.5, contro l'84.5
delle procedure tradizionali, indicando, così, il ruolo rilevante
dei vincoli non osservabili.
Misura e analisi della disuguaglianza
a) La misura della disugaglianza "tra" ottenuta nell'ambito della
scomposizione dell'indice di Gini consente di superare le
principali difficoltà relative alle tradizionali scomposizioni
delle misure di disuguaglianza e, contemporanemante, consente di
valutare e confrontare correttamente gli effetti di differenti
fattori sulla disuguaglianza totale. Quando una popolazione è
divisa in due gruppi, l'indice di Gini consente di ottenere una
misura immediata e semplice del contributo alla disuguaglianza
complessiva riconducibile alle differenze tra i due gruppi: in
assenza di transvariazione, questo contributo è dato dalla
differenza tra l'ammontare di popolazione del gruppo più povero e
l'ammontare di ricchezza (o della variabile di interesse) del
gruppo più povero. E' possibile generalizzare questo risultato
anche in presenza di transvariazione e di popolazioni suddivise in
più gruppi, ottenendo espressioni semplificate sia per la
disuguaglianza tra i gruppi, sia per il contributo alla
disuguaglianza complessiva riconducibile alla presenza di
transvariazione.
b) La nozione di povertà è cambiata radicalmente negli ultimi
decenni, dando vita a un ampio dibattito teorico, che indica come
reddito e ricchezza forniscano informazioni insufficienti sulla
condizione di povertà. L'adozione di una più generale definizione
multidimensionale richiede di adeguare gli strumenti di misura
della povertà, generalmente ancora in gran parte valutata in
funzione solo del reddito.
Rispetto al contesto tradizionale, viene proposto un approccio
fuzzy multidimensionale, che consente di ricavare indicatori di
povertà per(i) ogni famiglia; (ii) l'insieme delle famiglie nel
complesso; e (iii) l'insieme delle famiglie per attributo di
povertà. Questi indicatori descrivono accuratamente la condizione
di povertà, di esclusione sociale e di privazione dell'insieme dei
poveri, e consentono anche di identificare le cause di povertà per
ordine di importanza.
Sulla base dei dati del European Community Household Panel viene
elaborato un insieme di 7 attributi compositi di povertà per 12
paesi europei. Tra questi attributi, i principali fattori di
povertà sono identificati nel livello di istruzione, nella
condizione occupazionale e in quella abitativa. E' interessante
osservare la forte stabilità della struttura della povertà tra i
paesi europei, che condividono le stesse problematiche nel campo
dell'esclusione sociale. Soltanto per la Spagna un rilevante
fattore di povertà riguarda il riscaldamento e i servizi igienici
delle abitazioni, mentre per Paesi Bassi e Irlanda ha maggior peso,
rispetto agli altri paesi, la struttura della famiglia e l'attività
del capofamiglia.
Identificando i fattori strutturali sottostanti la condizione di
povertà, l'apporccio multidimensionale può essere estremamente
utile per implementare politiche di lotta alla povertà: tali
politiche dovrebbero essere rivolte alla riforma del sistema
educativo e del mercato del lavoro e al miglioramento delle
condizioni abitative.
Un confronto tra il tradizionale approccio unidimensionale e il
nuovo metodo multidimensionale evidenzia come i due approcci
definiscano due diversi insiemei di famiglie povere.
Di conseguenza, ogni politica di lotta alla povertà sviluppata
sulla base solo delle informazioni relative al reddito è
improbabile che raggiunga i risultati desiderati, essendo rivolta a
famiglie che, in realtà non sono povere. Solo nel contesto
multidimensionale è possibile individuare correttamente le unità
povere e formulare politiche efficaci di lotta alla povertà.