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Michele Costa

Professore ordinario

Dipartimento di Scienze Economiche

Settore scientifico disciplinare: SECS-S/01 STATISTICA

Temi di ricerca

Parole chiave: misura della povertà misura della disuguaglianza indice di Gini scomposizione delle misure di disuguaglianza variabili latenti rischio finanziario metodi statistici per i mercati finanziari

L'attività di ricerca si è prevalentemente rivolta ai problemi di misura del rischio nei mercati finanziari, alla distribuzione delle attività finanziarie delle famiglie, ai modelli di distribuzione del reddito (con particolare riferimento al modello di Dagum) e alla misura della disuguaglianza (approfondendo il ruolo dell'indice di Gini e alla sua scomposizione).



Variabili latenti e mercati finanziari
Il punto di partenza dell'analisi è rappresentato dal concetto di variabile latente, che consente di studiare le principali caratteristiche dei mercati finanziari, in primis il rischio, sulla base di ben note metodologie statistiche, quali l'analisi dei fattori.
Il modello usato come riferimento per l'interpretazione dei rendimenti finanziari è l'Arbitrage Pricing Theory (APT) di Ross.
Viene proposto uno studio Monte Carlo, nel quale la struttura fattoriale dei dati simulati è nota a priori, con l'obiettivo di valutare la distanza tra il "vero" numero di fattori e le indicazioni offerte dai vari metodi. I risulati ottenuti suggeriscono che, in presenza di una struttura monofattoriale, il criterio di informazione di Akaike e il rapporto di verosimiglianza sovrastimano il numero di fattori, mentreil criterio di informazione di Schwarz indica il numero corretto. D'altra parte, al crescere del numero di fattori, il criterio di Akaike sembra essere il metodo più preciso per valutare la dimensione della struttura fattoriale.
Un metodo alternativo per identificare la struttura fattoriale è rappresentato dalla regressione a rango ridotto, che permette di analizzare la relazione tra i fattori latenti e le variabili macroeconomiche. Viene suggerito un numero di fattori sensibilmente inferiore a quello indicato dall'analisi fattoriale: nel mercato azionario italiano, solo 2-3 fattori sembrano essere rilevanti per la spiegazione della variabilità dei rendimenti.
Inoltre, usando una rappresentazione state-space e il filtro di Kalman, non vengono individuati fattori dinamici per il mercato azionario italiano.
Nella successiva parte della ricerca viene proposto un nuovo criterio di informazione. Come i criteri di informazione tradizionali, anche il nuovo criterio è basato su due componenti: la prima, il massimo della log verosimiglianza, fornisce una valutazione empirica della bontà del modello, mentre la seconda, il prodotto tra il numero dei parametri e un coefficiente alfa, rappresenta la penalizzazione per l'aumento del numero di parametri, in linea con il principio di parsimonia. Nel nuovo criterio, il coefficiente alfa non è una costante, come nel criterio di informazione di Akaike, nè semplicemente una funzione del numero di osservazioni, come nei criteri di Schwarz e Hannan e Quinn, ma è una funzione di tutte le informazioni disponibili, e cioè, nel caso del modello fattoriale, del numero di variabili osservabili e del numero di osservazioni.
Nel contesto del mercato azionario italiano, lo studio Monte Carlo indica la presenza di una relazione diretta tra il numero di osservazioni ed alfa e di una relazione inversa tra il numero di variabili osservabili ed alfa. Allo scopo di formalizzare tali relazioni vengono proposti due percorsi. Il primo si muove nell'ambito delle reti neuronali, che sono in grado di approssimare la relazione non lineare incognita tra insiemi di variabili. Il secondo percorso riguarda, inoltre, una specificazione lineare, dove alfa è ottenuto come una funazione del numero di osservazioni e del numero di variabili. In entrambi i casi il nuovo criterio risulta più efficient e preciso rispetto ai metodi classici.
Nell'ultima parte della ricerca viene mostrato come una delle ipotesi più forti del modello fattoriale, e cioè l'indipendenza cross-section dei termini di errore, non è adeguata per rappresentare i fenomeni finanziari. Di conseguenza, si propone di analizzare i dati finanziari nel contesto del modello fattoriale approssimato, che rende più debole l'ipotesi di indipendenza dei termini di errore. I metodi classici di misura del numero dei fattori non sono più validi e quindi è necessario sviluppare metodi alternativi, nell'ambito dei quali solo due fattori sembrano essere rilevanti per spiegare la variabilità dei rendimenti nel mercato azionario italiano.
Sebbene di grande importanza, la misura del rischio non esaurisce il tema della non osservabilità nell'analisi dei dati finanziari. Un capitolo ulteriore, importante, e tuttora aperto, riguarda le scelte di portafoglio, dove le decisioni di investimento sono osservabili, mentre il processo decisionale rimane non osservabile. La proposta è di affrontare il problema della non osservabilità nelle scelte di portafoglio ricorrendo ai modelli a classe latente. L'obiettivo di questa metodologia è identificare classi latenti che rappresentino gruppi di investitori soggetti a vincoli non osservabili rispetto alle proprie strategie di investimento. Tali classi latenti sono determinate attraverso le relazioni tra un insieme di variabili categoriche osservabili relative a caratteristiche socio-demografiche ed economiche degli investitori, e una variabile manifesta relativa alle effettive scelte di portafoglio.
Questa metodologia è applicata alle decisione di investimento internazionale allo scopo di analizzare il problema dell'equity home bias puzzle, la distorsione delle scelte di portafoglio verso investimenti nazionali. L'idea base è classificare la popolazione di investitori che non possiedono investimenti esteri in due gruppi: il primo costituito da investitori che possono investire all'estero, il secondo da investitori che hanno dei vincoli che precludono l'acquisto di titoli esteri.
Il modello è applicato ai dati 2002 dell'indagine della Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie. I risultati mostrano che il 90 per cento delle famiglie che non possiedono titoli esteri sono anche vincolate all'acquisto di tali titoli. Tali famiglie rappresentano l'89 per cento dell'intera popolazione; del rimanente 11 per cento senza vincoli verso l'investimento all'estero, il 10 per cento non investe in titoli esteri. Questi risultati implicano che l'equity home bias è completamente spiegata per l'89 per cento delle famiglie, mentre potrebbe essere non spiegata per il rimanente 11 per cento. E' importante sottolineare come, per misurare correttamente l'equity home bias, è necessario individuare gli investitori che non possono operare all'estero (89 per cento del totale delle famiglie). Rispetto alla letteratura corrente, dove gli investitori sono considerati come un solo gruppo e l'equity home bias è misurata in riferimento a tutte le famiglie, viene introdotta una distinzione strategica.
I risultati forniscono, inoltre, stime degli effetti delle caratterisiche sociali, demografiche, economiche e finanziarie degli investitori sulla probabilità di essere investitori in titoli esteri. Complessivamente è possibile definire un profilo di famiglia consistente con un'alta probabilità di poter investire all'estero: età compresa tra 40 e 60 anni, uomo, con una famiglia numerosa, residenti nel nord Italia, con istruzione universitaria.
Una valutazione dell'equity home bias formulata sulla base della distinzione tra investitori vincolati e potenziali investitori all'estero rileva un livello dell'home bias di 73.5, contro l'84.5 delle procedure tradizionali, indicando, così, il ruolo rilevante dei vincoli non osservabili.

Misura e analisi della disuguaglianza
a) La misura della disugaglianza "tra" ottenuta nell'ambito della scomposizione dell'indice di Gini consente di superare le principali difficoltà relative alle tradizionali scomposizioni delle misure di disuguaglianza e, contemporanemante, consente di valutare e confrontare correttamente gli effetti di differenti fattori sulla disuguaglianza totale. Quando una popolazione è divisa in due gruppi, l'indice di Gini consente di ottenere una misura immediata e semplice del contributo alla disuguaglianza complessiva riconducibile alle differenze tra i due gruppi: in assenza di transvariazione, questo contributo è dato dalla differenza tra l'ammontare di popolazione del gruppo più povero e l'ammontare di ricchezza (o della variabile di interesse) del gruppo più povero. E' possibile generalizzare questo risultato anche in presenza di transvariazione e di popolazioni suddivise in più gruppi, ottenendo espressioni semplificate sia per la disuguaglianza tra i gruppi, sia per il contributo alla disuguaglianza complessiva riconducibile alla presenza di transvariazione.
b) La nozione di povertà è cambiata radicalmente negli ultimi decenni, dando vita a un ampio dibattito teorico, che indica come reddito e ricchezza forniscano informazioni insufficienti sulla condizione di povertà. L'adozione di una più generale definizione multidimensionale richiede di adeguare gli strumenti di misura della povertà, generalmente ancora in gran parte valutata in funzione solo del reddito.
Rispetto al contesto tradizionale, viene proposto un approccio fuzzy multidimensionale, che consente di ricavare indicatori di povertà per(i) ogni famiglia; (ii) l'insieme delle famiglie nel complesso; e (iii) l'insieme delle famiglie per attributo di povertà. Questi indicatori descrivono accuratamente la condizione di povertà, di esclusione sociale e di privazione dell'insieme dei poveri, e consentono anche di identificare le cause di povertà per ordine di importanza.
Sulla base dei dati del European Community Household Panel viene elaborato un insieme di 7 attributi compositi di povertà per 12 paesi europei. Tra questi attributi, i principali fattori di povertà sono identificati nel livello di istruzione, nella condizione occupazionale e in quella abitativa. E' interessante osservare la forte stabilità della struttura della povertà tra i paesi europei, che condividono le stesse problematiche nel campo dell'esclusione sociale. Soltanto per la Spagna un rilevante fattore di povertà riguarda il riscaldamento e i servizi igienici delle abitazioni, mentre per Paesi Bassi e Irlanda ha maggior peso, rispetto agli altri paesi, la struttura della famiglia e l'attività del capofamiglia.
Identificando i fattori strutturali sottostanti la condizione di povertà, l'apporccio multidimensionale può essere estremamente utile per implementare politiche di lotta alla povertà: tali politiche dovrebbero essere rivolte alla riforma del sistema educativo e del mercato del lavoro e al miglioramento delle condizioni abitative.
Un confronto tra il tradizionale approccio unidimensionale e il nuovo metodo multidimensionale evidenzia come i due approcci definiscano due diversi insiemei di famiglie povere.
Di conseguenza, ogni politica di lotta alla povertà sviluppata sulla base solo delle informazioni relative al reddito è improbabile che raggiunga i risultati desiderati, essendo rivolta a famiglie che, in realtà non sono povere. Solo nel contesto multidimensionale è possibile individuare correttamente le unità povere e formulare politiche efficaci di lotta alla povertà.

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