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Francesco Ferretti

Professore associato

Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica

Settore scientifico disciplinare: L-FIL-LET/10 LETTERATURA ITALIANA

Contenuti utili

Materiale relativo al seminario dantesco (didattica integrativa complementare al corso del prof. Andrea Battistini)

Corso di Letteratura Italiana (prof. A. Battistini).

Materiale relativo al seminario dantesco (dott. F. Ferretti).

Il testo della Commedia, nell’ed. a cura di Giorgio Petrocchi (Firenze, Le Lettere, 1994), è scaricato da:

http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000019/bibit000019.xml&chunk.id=0&toc.depth=100&brand=bibit

 

Il testo del Convivio, nell’ed. a cura di Franca Brambilla Ageno (Firenze, Le Lettere, 1995), è scaricato da:

http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit001673/bibit001673.xml&chunk.id=0&toc.depth=100&brand=bibit

 

Il testo del De vulgari eloquentia, nell’ed. a cura di Pier Vincenzo Mengaldo (Milano-Napoli, Ricciardi, 1996), è scaricato da:

http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000018/bibit000018.xml&chunk.id=0&toc.depth=100&brand=bibit

 

La traduzione italiana allegata, di Sergio Cecchin, si legge in D. Alighieri, Opere minori, II, Torino, Utet, 1986, ed è disponibile online: http://www.classicitaliani.it/dante/prosa/vulgari_ita.htm

Il testo e la traduzione dell'Epistola a Cangrande attribuita a Dante sono tratte dall'ed. a cura di Enzo Cecchini, Firenze, Giunti, 1995.


De vulgari eloquentia II 4 (tragedia, commedia, elegia).

Ante omnia ergo dicimus unumquenque debere materie pondus propriis humeris coequare, ne forte humerorum nimio gravata virtute in cenum cespitare necesse sit: hoc est quod Magister noster Oratius precipit cum in principio Poetrie “Sumite materiam” dicit.

Deinde in hiis que dicenda occurrunt debemus discretione potiri, utrum tragice, sive comice, sive elegiace sint canenda. Per tragediam superiorem stilum inducimus, per comediam inferiorem, per elegiam stilum intelligimus miserorum. Si tragice canenda videntur, tunc assumendum est vulgare illustre, et per consequens cantionem ligare. Si vero comice, tunc quandoque mediocre quandoque humile vulgare sumatur: et huius discretionem in quarto huius reservamus ostendere. Si autem elegiace, solum humile oportet nos sumere.

 

Affermiamo dunque anzitutto che ciascuno deve adeguare il peso della materia alle proprie spalle, affinché non gli capiti di incespicare e cadere nel fango per avere troppo preteso dalla loro forza: è questo che insegna il nostro maestro Orazio, quando dice al principio della Poetica: Sumite materiam.

Dobbiamo poi distinguere fra gli argomenti che ci si presentano e vedere se debbano essere cantati tragicamente, comicamente o elegiacamente. Per tragedia indichiamo lo stile superiore, per commedia quello inferiore; per elegia invece intendiamo lo stile proprio dei miseri. Se dunque gli argomenti sembrano richiedere di essere cantati tragicamente, si deve allora adottare il volgare illustre e conseguentemente comporre una canzone. Se invece pare che si debbano cantare comicamente, si assuma talvolta il volgare mediocre e talvolta l’umile (quanto alla distinzione fra questi volgari, ci riserviamo di mostrarla nel quarto libro di quest’opera). Se poi ci sembra di doverli cantare elegiacamente, è opportuno che usiamo soltanto il volgare umile.

(trad. S. Cecchin).

 

Dante?, Epistola XIII (a Cangrande della Scala), cap. X (spiegazione del titolo)

28. Libri titulus est: ‘Incipit Comedia Dantis Alagherii, florentini natione, non moribus’.

Ad cuius notitiam sciendum est quod comedia dicitur a ‘comos’, villa, et ‘oda’, quod est cantus,

unde comedia quasi ‘villanus cantus’. 29. Et est comedia genus quoddam poetice narrationis, ab

omnibus aliis differens. Differt ergo a tragedia, in materia per hoc, quod tragedia in principio est

admirabilis et quieta, in fine seu exitu est fetida et horribilis; et dicitur propter hoc a ‘tragos’, quod est hircus, et oda, quasi ‘cantus hircinus’, idest fetidus ad modum hirci; ut patet per

Senecam in suis tragediis. Comedia vero inchoat asperitatem alicuius rei, sed eius materia

prospere terminatur, ut patet per Terentium in suis comediis. Et hinc consueverunt dictatores

quidam in suis salutationibus dicere loco salutis, ‘tragicum principium, et comicum finem’. 30.

Similiter differunt in modo loquendi: elate et sublime tragedia; comedia vero remisse et

humiliter; sicut vult Oratius in sua Poetria, ubi licentiat aliquando comicos ut tragedos loqui, et

sic e converso:

 

Interdum tamen et vocem comedia tollit,

Iratusque Chremes tumido delitigat ore;

Et tragicus plerunque dolet sermone pedestri

Telephus et Peleus etc.

 

31. Et per hoc patet, quod comedia dicitur presens opus. Nam si ad materiam

respiciamus, a principio horribilis et fetida est, quia Infernus, in fine prospera, desiderabilis et

grata, quia Paradisus; ad modum loquendi, remissus est modus et humilis, quia locutio vulgaris,

in qua et muliercule comunicant. 32. Sunt et alia genera narrationum poeticarum, scilicet carmen

bucolicum, elegia, satira, et sententia votiva, ut etiam per Oratium patere potest in sua Poetria;

sed de istis ad presens nihil dicendum est.

 

[28] II titolo del libro è: 'Comincia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi'. Per la sua comprensione si deve sapere che la commedia è detta così da 'comos', villa, e 'oda', che vuoi dire canto, dunque commedia è quasi 'canto villereccio'. [29] Ed è la commedia un genere di narrazione poetica che differisce da tutti gli altri. Quanto all'argomento differisce dunque dalla tragedia in ciò, che la tragedia all'inizio è assai gradevole e quieta e alla fine o nell'esito fe­tida e orribile; e per questo trae il suo nome da 'tragos', che è il capro, e 'oda', quasi 'canto di capro', cioè fetido come il capro; come si vede da Seneca nelle sue tragedie. Invece la commedia presenta all'inizio una situazione perturbata, ma la sua vicenda si conclude felicemente, come si vede da Terenzio nelle sue commedie. E da questo alcuni dettatori hanno tratto la consuetudine di dire nelle loro salutazioni, al posto dell'augurio di buona salute, 'principio tragico e fine comica'. [30] Similmente differiscono nel modo dell'esposizione: la tragedia si esprime con linguaggio altisonante e sublime, la commedia invece con linguag­gio sommesso ed umile, come vuole Orazio nella sua Arte Poetica, dove autorizza i comici ad esprimersi talvolta come i tragici, e viceversa:

 

Ma ogni tanto la commedia alza il tono

e Cremete adirato inveisce con voce gonfia,

e nella tragedia spesso si dolgono in forma dimessa

Telefo e Peleo...

 

[31] E pertanto è evidente che la presente opera è detta Commedia. Infatti, se guardiamo all'argomento, all'inizio essa è orribile e fetida, dato che si tratta dell'Inferno, ma alla fine è prospera, desiderabile e gradita, dato che si tratta del Paradiso; se guardiamo al modo di espri­mersi, questo è dimesso ed umile, poiché è linguaggio volgare, nel quale comunicano anche le donnette. Così dunque è chiaro il perché sia detta Commedia. [32] Esistono anche altri generi di narrazioni po­etiche, come il carme bucolico, l'elegia, la satira e il carme votivo, come si può anche vedere da Orazio nella sua Arte Poetica; ma su ciò ora non è necessario dire nulla.

(trad. di E. Cecchini).

 

 

I brani della Commedia in cui Dante allude al titolo e al genere del poema

[“Comedìa”]

Inf. XVI 124-132

   Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna

de' l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote,

però che sanza colpa fa vergogna;

   ma qui tacer nol posso; e per le note

di questa comedìa, lettor, ti giuro,

s'elle non sien di lunga grazia vòte,

   ch'i' vidi per quell' aere grosso e scuro

venir notando una figura in suso,

maravigliosa ad ogne cor sicuro.

 

[“Comedìa” dantesca vs. “Tragedìa” virgiliana]

Inf. XXI 1-3

   Così di ponte in ponte, altro parlando

che la mia comedìa cantar non cura,

venimmo; e tenavamo 'l colmo, quando…

 

Inf. XX 112-114

Euripilo ebbe nome, e così 'l canta

l'alta mia tragedìa in alcun loco:

ben lo sai tu che la sai tutta quanta.

 

[“Sacrato poema”]

Par. XXIII 61-63

   e così, figurando il paradiso,

convien saltar lo sacrato poema,

come chi trova suo cammin riciso.

 

[“Poema sacro”]

Par. XXV 1-9

   Se mai continga che 'l poema sacro

al quale ha posto mano e cielo e terra,

sì che m'ha fatto per molti anni macro,

   vinca la crudeltà che fuor mi serra

del bello ovile ov' io dormi' agnello,

nimico ai lupi che li danno guerra;

   con altra voce omai, con altro vello

ritornerò poeta, e in sul fonte

del mio battesmo prenderò 'l cappello;

 

 

Dante?, Epistola XIII (a Cangrande della Scala), cap. XV (sul fine del poema).

[39] Finis totius et partis esse posset et multiplex, scilicet propinquus et remotus; sed, omissa subtili investigatione, dicendum est breviter quod finis totius et partis est removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis

 

[39] II fine del tutto e della parte potrebbe essere molteplice, cioè vi­cino e lontano; ma, lasciando da parte un'indagine minuta, va detto brevemente che il fine del tutto e della parte è rimuovere i viventi in questa vita dallo stato d'infelicità e condurli allo stato di felicità.

(trad. di E. Cecchini).

 

 

 

Le investiture profetiche nel “Purgatorio” e nel “Paradiso”, risposta alla domanda formulata da Dante personaggio in Inf. II 31: “Ma io perché venirvi?”

1. Purg. XXXII 103-105 (Beatrice)

Però, in pro del mondo che mal vive,

al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,

ritornato di là, fa che tu scrive.

 

2. Purg. XXXIII 52-54 (Beatrice)

Tu nota; e sì come da me son porte,

così queste parole segna a' vivi

del viver ch'è un correre a la morte.

 

3. Par. XVII 127-132 (Cacciaguida)

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,

tutta tua visïon fa manifesta;

e lascia pur grattar dov' è la rogna.

Ché se la voce tua sarà molesta

nel primo gusto, vital nodrimento

lascerà poi, quando sarà digesta.

 

4. Par. XXI 97-99 (san Pier Damiani)

E al mondo mortal, quando tu riedi,

questo rapporta, sì che non presumma

a tanto segno più mover li piedi.

 

5. Par. XXV 40- 46 (san Giacomo)

Poi che per grazia vuol che tu t'affronti

lo nostro Imperadore, anzi la morte,

ne l'aula più secreta co' suoi conti,

sì che, veduto il ver di questa corte,

la spene, che là giù bene innamora,

in te e in altrui di ciò conforte,

dì quel che ell’è […]

 

6. Par. XXVII 64-66 (san Pietro):

e tu, figliuol, che per lo mortal pondo

ancor giù tornerai, apri la bocca,

e non asconder quel ch'io non ascondo.

  

Convivio, trattato II, cap. 1 (i quattro livelli delle scritture).

Dico che, sì come nel primo capitolo è narrato, questa esposizione conviene essere litterale ed allegorica. E a ciò dare a intendere, si vuol sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi.

L'uno si chiama litterale, e questo è quello che [e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sono le favole de li poeti. L'altro si chiama allegorico], e questo è quello che si nasconde sotto 'l manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice Ovidio che Orfeo facea colla cetera mansuete le fiere, e li arbori e le pietre a sé muovere: che vuol dire che lo savio uomo collo strumento della sua voce faccia mansuescere ed umiliare li crudeli cuori, e faccia muovere alla sua volontade coloro che non hanno vita di scienza e d'arte; e coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre. E perché questo nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo trattato si mosterrà. Veramente li teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che mia intenzione è qui lo modo delli poeti seguitare, prendo lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato.

Lo terzo senso si chiama morale, e questo è quello che li lettori deono intentamente andare apostando per le scritture ad utilitade di loro e di loro discenti: sì come apostare si può nello Evangelio, quando Cristo salio lo monte per transfigurarsi, che delli dodici Apostoli menò seco li tre: in che moralmente si può intendere che alle secretissime cose noi dovemo avere poca compagnia.

Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora che sia vera eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa delle superne cose dell'etternal gloria: sì come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che nell'uscita del popolo d'Israel d'Egitto Giudea è fatta santa e libera: che avegna essere vero secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s'intende, cioè che nell'uscita dell'anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate.

 

E in dimostrare questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello nella cui sentenza li altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere alli altri, e massimamente allo allegorico […] Io adunque, per queste ragioni, tuttavia sopra ciascuna canzone ragionerò prima la litterale sentenza, e appresso di quella ragionerò la sua allegoria, cioè la nascosa veritade; e talvolta delli altri sensi toccherò incidentemente, come a luogo e a tempo si converrà.


Dante?, Epistola XIII (a Cangrande della Scala), capp. VII-VIII (lettera e allegoria)

VII 20. Ad evidentiam itaque dicendorum, sciendum est quod istius operis non est simplex sensus, ymo dici potest polysemos, hoc est plurium sensuum; nam primus sensus est qui habetur per litteram, alius est qui habetur per significata per litteram. Et primus dicitur litteralis, secundus vero allegoricus, sive moralis, sive anagogicus. 21. Qui modus tractandi, ut melius pateat, potest considerari in hiis versibus: “In exitu Israel de Egypto, domus Iacob de populo barbaro, facta est Iudea sanctificatio eius, Israel potestas eius”. Nam si ad litteram solam inspiciamus, significatur nobis exitus filiorum Israel de Egypto, tempore Moysis; si ad allegoriam, nobis significatur nostra redemptio facta per Christum; si ad moralem sensum, significatur nobis conversio anime de luctu et miseria peccati ad statum gratie; si ad anagogicum, significatur exitus anime sancte ab huius corruptionis servitute ad eterne glorie libertatem. 22. Et quamquam isti sensus mystici variis appellentur nominibus, generaliter omnes dici possunt allegorici, cum sint a litterali sive historiali diversi. Nam allegoria dicitur ab ‘alleon’ grece, quod in latinum dicitur ‘alienum’, sive ‘diversum’.

VIII 23. Hiis visis, manifestum est quod duplex oportet esse subiectum circa quod currant alterni sensus. Et ideo videndum est de subiecto huius operis, prout ad litteram accipitur; deinde de subiecto, prout allegorice sententiatur. 24. Est ergo subiectum totius operis, litteraliter tantum accepti, status animarum post mortem simpliciter sumptus. Nam de illo et circa illum totius operis versatur processus. 25. Si vero accipiatur opus allegorice, subiectum est homo prout merendo et demerendo per arbitrii libertatem iustitie premiandi et puniendi obnoxius est

 

VII [21] Per rendere ben comprensibili le cose che si diranno occorre sa­pere che il senso di quest'opera non è unico, anzi può essere definito polisemo, ossia di più significati; infatti un primo significato è quello che viene prodotto per mezzo della lettera, un altro è quello che vie­ne prodotto per mezzo delle cose significate dalla lettera. E il primo è chiamato letterale, ma il secondo allegorico o morale o anagogico. [21] E tale modo di enunciazione, perché risulti più chiaro, può essere preso in esame in questi versetti: «All'uscita di Israele dall'Egitto, della casa di Giacobbe da quel popolo barbaro, la Giudea divenne il suo santuario, Israele il suo dominio». Se infatti guardiamo alla sola lettera, ci è enunciata l'uscita dei figli di Israele dall'Egitto al tempo di Mosè; se all'allegoria, ci è enunciata la nostra redenzione prodotta per mezzo del Cristo; se al senso morale, ci è enunciata la conversione dell'anima dal lutto e dall'infelicità del peccato allo stato di grazia; se al senso anagogico, ci è enunciata l'uscita dell'anima santa dalla schiavitù della presente corruzione all'eterna libertà dello stato di gloria. [22] E come questi sensi mistici vengono designati con diversi termini, possono tut­ti essere detti in generale allegorici, dato che divergono dal senso lette­rale o storico. Infatti si dice allegoria dal greco 'alleon', che in latino suona 'alienum' o 'diversum'.

VIII [23] Visto ciò, è evidente che duplice deve essere un soggetto in­torno al quale si sviluppino due ordini di significato. E pertanto occor­re definire il soggetto di quest'opera in quanto presa alla lettera, poi il suo soggetto "in quanto la si interpreti allegoricamente. [24] Dunque soggetto dell'intera opera presa soltanto alla lettera è la condizione del­le anime dopo la morte considerata in generale; infatti il corso di tutta l'opera si svolge su di essa e intorno ad essa. [25] Ma se l'opera è intesa allegoricamente, ne è soggetto l'uomo in quanto acquistando meriti e demeriti per effetto del libero arbitrio è esposto alla giustizia del pre­mio e del castigo.

(trad. di E. Cecchini).