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Bruno Capaci

Professore associato

Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica

Settore scientifico disciplinare: L-FIL-LET/10 LETTERATURA ITALIANA

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5 Dicembre 2013 "Che per poco che teco non mi risso": antanaclasi all'Inferno

Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,
pur ch'elli avesse avuta l'anguinaia
51tronca da l'altro che l'uomo ha forcuto.
La grave idropesì, che sì dispaia
le membra con l'omor che mal converte,
54che 'l viso non risponde a la ventraia,
faceva lui tener le labbra aperte
come l'etico fa, che per la sete
57l'un verso 'l mento e l'altro in sù rinverte.
"O voi che sanz'alcuna pena siete,
e non so io perché, nel mondo gramo",
60diss'elli a noi, "guardate e attendete
a la miseria del maestro Adamo;
io ebbi, vivo, assai di quel ch'i' volli,
63e ora, lasso!, un gocciol d'acqua bramo.
Li ruscelletti che d'i verdi colli
del Casentin discendon giuso in Arno,
66faccendo i lor canali freddi e molli,
sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
ché l'imagine lor vie più m'asciuga
69che 'l male ond'io nel volto mi discarno.
La rigida giustizia che mi fruga
tragge cagion del loco ov'io peccai
72a metter più li miei sospiri in fuga.
Ivi è Romena, là dov'io falsai
la lega suggellata del Batista;
75per ch'io il corpo sù arso lasciai.
Ma s'io vedessi qui l'anima trista
di Guido o d'Alessandro o di lor frate,
per Fonte Branda non darei la vista. 
...
Io son per lor tra sì fatta famiglia;
e' m'indussero a batter li fiorini
90ch'avevan tre carati di mondiglia".
E io a lui: "Chi son li due tapini
che fumman come man bagnate 'l verno,
93giacendo stretti a' tuoi destri confini?".
"Qui li trovai - e poi volta non dierno - ",
rispuose, "quando piovvi in questo greppo,
96e non credo che dieno in sempiterno.
L'una è la falsa ch'accusò Gioseppo;
l'altr'è 'l falso Sinon greco di Troia:
99per febbre aguta gittan tanto leppo".
E l'un di lor, che si recò a noia
forse d'esser nomato sì oscuro,
102col pugno li percosse l'epa croia.
Quella sonò come fosse un tamburo;
e mastro Adamo li percosse il volto
105col braccio suo, che non parve men duro,
dicendo a lui: "Ancor che mi sia tolto
lo muover per le membra che son gravi,
108ho io il braccio a tal mestiere sciolto".
Ond'ei rispuose: "Quando tu andavi
al fuoco, non l'avei tu così presto;
111ma sì e più l'avei quando coniavi".
E l'idropico: "Tu di' ver di questo:
ma tu non fosti sì ver testimonio
114là 've del ver fosti a Troia richesto".
"S'io dissi falso, e tu falsasti il conio",
disse Sinon; "e son qui per un fallo,
117e tu per più ch'alcun altro demonio!".
"Ricorditi, spergiuro, del cavallo",
rispuose quel ch'avëa infiata l'epa;
120"e sieti reo che tutto il mondo sallo!".
"E te sia rea la sete onde ti crepa",
disse 'l Greco, "la lingua, e l'acqua marcia
123che 'l ventre innanzi a li occhi sì t'assiepa!".
Allora il monetier: "Così si squarcia
la bocca tua per tuo mal come suole;
126ché, s'i' ho sete e omor mi rinfarcia,
tu hai l'arsura e 'l capo che ti duole,
e per leccar lo specchio di Narcisso,
129non vorresti a 'nvitar molte parole".
Ad ascoltarli er'io del tutto fisso,
quando 'l maestro mi disse: "Or pur mira,
132che per poco che teco non mi risso!".
Quand'io 'l senti' a me parlar con ira,
volsimi verso lui con tal vergogna,
ch'ancor per la memoria mi si gira.
Qual è colui che suo dannaggio sogna,
che sognando desidera sognare,
138sì che quel ch'è, come non fosse, agogna,
tal mi fec'io, non possendo parlare,
che disïava scusarmi, e scusava
me tuttavia, e nol mi credea fare.
"Maggior difetto men vergogna lava",
disse 'l maestro, "che 'l tuo non è stato;
però d'ogne trestizia ti disgrava.
E fa ragion ch'io ti sia sempre allato,
se più avvien che fortuna t'accoglia
dove sien genti in simigliante piato:
ché voler ciò udire è bassa voglia".