La mia attività scientifica è fondamentalmente incentrata su tre
filoni di ricerca:
1) l'applicazione dei metodi dell'epidemiologia per la
valutazione di alcuni temi della salute materno infantile di grande
rilevanza anche per la sanità pubblica (mortalità infantile e parto
cesareo);
2) la valutazione del rischio infettivo in ambito nosocomiale e
comunitario e delle misure di prevenzione e controllo;
3) la valutazione di efficacia di interventi di promozione
dell'attività fisica indirizzati a persone sane (prevenzione
primaria) e a persone affette da patologia subacuta o cronica
(prevenzione terziaria).
La mia attività scientifica è attualmente
fondamentalmente incentrata su tre filoni di ricerca:
1) l'applicazione dei metodi dell'epidemiologia per la
valutazione di alcuni temi della salute materno infantile di grande
rilevanza anche per la sanità pubblica (mortalità infantile e parto
cesareo);
2) la valutazione del rischio infettivo in ambito nosocomiale e
comunitario e delle misure di prevenzione e controllo;
3) la valutazione di efficacia di interventi di promozione
dell'attività fisica indirizzati a persone sane (prevenzione
primaria) e a persone affette da patologia subacuta o cronica
(prevenzione terziaria).
Salute materno-infantile
Mortalità infantile.
Il tasso di mortalità infantile, definito come il numero di
bambini deceduti entro il primo anno di vita su mille nati vivi
nello stesso anno, oltre a essere un importante indicatore della
salute dei bambini e delle loro madri, è ancora oggi considerato
una buona misura proxy dello stato di salute dell'intera
popolazione. Nonostante la riduzione dei tassi di mortalità
infantile sia, in Italia come in tutti i Paesi economicamente più
avanzati, uno dei fenomeni epidemiologici più rilevanti emersi
negli ultimi cinquant'anni, continuano a persistere nel nostro
Paese importanti disparità geografiche con un forte svantaggio
nelle regioni meridionali: nel triennio 2006-2009 l'eccesso di
mortalità infantile nelle regioni del Sud verso quelle del Nord era
ancora del 27%.
I determinanti della mortalità infantile sono numerosi e
complessi e vengono tradizionalmente distinti in prossimali (basso
peso alla nascita, età gestazionale, infezioni, incidenti,
gemellarità, ordine di genitura, genere del bambino, fattori
materni), intermedi (accesso all'assistenza sanitaria, alle
vaccinazioni, a cibo e acqua) e distali (educazione, occupazione,
spesa sanitaria pubblica, reddito nazionale e distribuzione del
reddito all'interno del Paese).
La possibilità di condurre stati analitici attraverso flussi
informativi correnti (certificati ISTAT di morte nel primo anno di
vita e certificati di assistenza al parto-CedAP) che consentirebbe
di indagare i determinanti della mortalità infantile e delle
disparità geografiche che tuttora persistono in Italia, risulta
essere attualmente impossibile a seguito di alcuni cambiamenti
legislativi (DPR 403 e la legge sulla privacy). Non essendo
possibile condurre studi analitici con dati individuali, l'unica
possibilità di indagare tali determinanti è di condurre studi
ecologici con dati aggregati a livello regionale.
Nel corso di questi anni ho analizzato i trend temporali e
geografici della mortalità infantile in Italia dal 1991 al 2009. I
risultati di questi studi, così come la denuncia dell'impossibilità
di utilizzare, a fini di ricerca, le cosiddette vital
statistics o flussi informativi correnti, sono state oggetto di
due pubblicazioni rispettivamente nel 2011 e 2013 nelle riviste
Epidemiologia e Prevenzione e Italian Journal of
Pediatrics.
Nel corso di questi anni ho inoltre coordinato uno studio
ecologico per indagare a livello italiano l'associazione tra
mortalità infantile e alcuni importanti determinanti
socio-economici (reddito medio procapite, distribuzione del reddito
all'interno del Paese, tasso di disoccupazione femminile,
percentuale di donne con più di 8 anni di istruzione).
I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2012
nella rivista International Journal for Equity in
Health.
Parto cesareo.
La proporzione di parti con taglio cesareo (TC) sul totale dei
parti è un importante indicatore di qualità dell'assistenza. Negli
ultimi trent'anni questo indicatore ha subito un costante
incremento in molti paesi ad alto e medio reddito, tra questi
spicca l'Italia che da anni presenta uno dei valori più elevati al
mondo (36,7% nel 2012).
Ho annualmente analizzato l'andamento della proporzione di parti
cesarei in Italia e i risultati sono stati pubblicati nel
Rapporto Osservasalute- Stato di salute e qualità
dell'assistenza nelle regioni italiane nelle edizioni degli
anni 2010, 2011 e 2012.
Sebbene una parte dell'incremento che si riscontra possa essere
attribuito a miglioramenti delle tecnologie sanitarie, importanti
determinanti di questa crescita sembrerebbero essere attribuibili a
fattori non clinici. Diversi studi hanno dimostrato come
l'incremento di TC oltre una certa soglia non sia accompagnato da
un ulteriore effetto benefico sulla salute della madre e/o del
bambino.
Alcuni studi sembrerebbero suggerire il contrario: l'eccessivo
utilizzo di questa procedura, per indicazioni non cliniche,
sembrerebbe essere associato ad un aumento della morbidità.
Nel corso della mia tesi di dottorato avevo analizzato,
attraverso uno studio epidemiologico condotto in Emilia-Romagna su
più di 150.000 donne, l'incidenza di isterectomia peri-partum
associata alla modalità di parto. Il rischio di isterectomia è
risultato essere significativamente associato alla modalità di
parto con taglio cesareo rispetto al vaginale. In particolare il
rischio è di 4 volte maggiore nelle donne che avevano partorito con
taglio cesareo e di circa 3 volte maggiore nelle donne che avevano
partorito con un taglio cesareo ripetuto rispetto a quelle di
riferimento (parto per via vaginale). I risultati di questo studio
sono stati pubblicati nella rivista Acta Obstetricia et
Gynecologica Scandinavica.
Valutazione del rischio infettivo in ambito nosocomiale e
comunitario e misure di prevenzione e controllo.
Infezioni da Clostridium difficile in ambito
nosocomiale.
Nel 2011 ho condotto uno studio epidemiologico retrospettivo per
indagare, da gennaio 2010 a dicembre 2010 nel Presidio Ospedaliero
Unico dell'Azienda USL Bologna, l'incidenza delle infezioni da
Clostridium difficile e i fattori di rischio associati ai
casi gravi.
L'incidenza è risultata essere di 13,65 casi ogni 10.000
pazienti dimessi (IC 95%: 11,12 - 16,58), valore al di sotto della
media europea (23/10.000) ed in linea con il tasso riscontrato in
nazioni come Francia e Danimarca. Un livello nel sangue di
creatinina superiore a 2 mg/dL durante il ricovero è risultato
essere il fattore di rischio più importante e significativamente
associato allo sviluppo di un caso grave (ovvero un caso per il
quale è stato necessario il ricovero in terapia intensiva per
complicanze, o un caso per il quale è stato necessario eseguire una
colectomia per megacolon tossico o perforazione, o ancora un caso
in cui è sopraggiunta la morte).
Durante questo studio è stato inoltre condotto un audit clinico
per indagare l'aderenza alle misure di prevenzione e controllo.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2012
nella rivista Evidence.
Infezioni da Klebsiella pneumoniae in ambito
nosocomiale.
Nel corso del 2011 ho partecipato allo studio di una epidemia da
Klebsiella pneumoniae verificatesi in una Unità di Terapia
Intensiva Neonatale. L'indagine ha messo in evidenzia come veicolo
di infezione dell'epidemia una soluzione orale di glucosio non
mono-uso utilizzata per calmare i bambini durante le procedure più
invasive. Durante l'epidemia è stata messa a punto una check-list
per individuare l'aderenza alle misure di prevenzione e
controllo.
I risultati di questo lavoro sono stati pubblicati nel 2013
nella rivista International Journal of Environmental Research and
Public Health.
Valutazione di efficacia di diversi protocolli per la
disinfezione dei circuiti idrici dei riuniti
odontoiatrici.
I circuiti idrici dei riuniti odontoiatrici possono
rappresentare un veicolo di infezione sia per i pazienti che per il
personale. Le fonti di contaminazione dell'acqua dei riuniti
possono essere l'acqua di rete stessa, la presenza di biofilm
all'interno dei circuiti, la contaminazione retrograda da parte del
paziente. Per questi motivi è buona norma procedere alla
disinfezione dell'acqua dei riuniti che ha l'obiettivo sia di
eliminare tutte gli agenti patogeni penetrati nei condotti idrici
sia di contrastare la formazione del biofilm. La disinfezione può
essere fatta in continuo, in questo caso il disinfettante viene
addizionato al liquido di alimentazione, deve essere compatibile
con il cavo orale, non deve esporre a rischi professionali
l'operatore e non deve danneggiare il circuito; oppure in
discontinuo, in questo caso il disinfettante può essere anche di
alto livello e viene utilizzato tra paziente e paziente.
L'efficacia dei diversi tipi di disinfettanti e della modalità di
uso (in continuo o discontinuo) è stata testata a lungo in
laboratorio ma sono pochi gli studi che ne hanno misurato
l'efficacia nella pratica reale. Durante questi anni, in
collaborazione con l'Azienda Sanitaria Locale di Bologna, ho
partecipato ad uno studio il cui obiettivo era quello di verificare
l'efficacia di diversi protocolli di disinfezione dei circuiti
idrici dei riuniti odontoiatrici nella pratica clinica.
I risultati di questo studio sono descritti in un articolo
pubblicato nella rivista International Journal of Environmental
Research and Public Health.
Valutazione del rischio infettivo negli impianti
natatori.
Il nuoto e tutte le attività sportive che possono essere svolte
in piscina sono un mezzo molto efficace per mantenere e recuperare
la salute psicofisica e il giusto rapporto con il proprio corpo e
con l'ambiente. È tuttavia necessario che l'attività sia praticata
in ambienti adeguati e idonei sotto il profilo igienico-ambientale.
Le piscine, oltre a rappresentare una condizione di rischio per
traumi, lesioni e annegamenti, sono infatti impianti
particolarmente complessi, possibile fonte di rilevanti rischi
igienico-sanitari, fortemente condizionati dalla presenza e dallo
stato di manutenzione di sofisticati impianti tecnologici, ma anche
dalle caratteristiche di qualità delle acque utilizzate e dal
numero e dalle condizioni di salute dei fruitori dell'impianto.
Durante questi anni ho partecipato ad uno studio il cui
obiettivo era quello di valutare la qualità microbiologica e
chimica dell'acqua delle 80 piscine presenti nell'area
metropolitana di Bologna.
I campioni dell'acqua di piscina sono risultati essere non
conformi nel 16% dei casi delle piscine al chiuso e nel 25% dei
casi delle piscine all'aperto. Nella maggior parte dei casi (65%) i
campioni erano non conformi per un solo parametro previsto dalla
normativa attualmente di riferimento in Italia (Accordo
Stato-Regioni sugli aspetti igienico-sanitari per la costruzione,
la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso natatorio 16
gennaio 2003). Solo nell'1,5% dei casi, durante il triennio
2010-2012, è stato necessario un provvedimento di chiusura
temporanea dell'impianto per la presenza di non conformità e di un
reale pericolo per la salute dei frequentatori.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2013
nella rivista Microchemical Journal.
Nel 2012, in collaborazione con il gruppo di lavoro di Scienze
Motorie per la Salute della Società di Italiana Igiene (SItI) ho
contribuito a mettere a punto e sperimentare, in uno studio
pilota nazionale, una checklist per la valutazione delle
caratteristiche strutturali, gestionali e igienico sanitarie degli
impianti natatori.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2014
nella rivista Microchemical Journal.
Valutazione di efficacia di interventi di promozione
dell'attività fisica indirizzati a persone sane (prevenzioni
primaria) e a persone affette da patologia subacuta o cronica
(prevenzione terziaria).
Studi di sorveglianza e di intervento dell'attività motoria
nei bambini della scuola primaria.
Secondo i dati più recenti, in Emilia Romagna il 22,1% dei
bambini di 8-9 anni è in sovrappeso, il 5,9% è obeso e l'1,3%
è severamente obeso (OKkio alla Salute, 2012).
Per le importanti conseguenze che l'eccesso di peso ha sulla
salute non solo dell'infanzia ma anche della futura vita da adulti
(si stimano 50.000 morti/anno in Italia attribuiti all'obesità), la
prevenzione dell'eccesso di peso è uno dei principali temi su cui
si sta concentrando l'attenzione della sanità nazionale. Le
evidenze scientifiche dimostrano che gli interventi preventivi più
efficaci sono quelli integrati, multicompetenti, che garantiscono
continuità nel tempo.
Il mondo della scuola, essendo il mondo dei saperi, è il
contesto più adatto in cui promuovere interventi di questo tipo
(School Based Intervention)e in cui è maggiormente possibile
fornire conoscenze e/o modificare abitudini rispetto a idonei stili
di vita, potenziando gli aspetti preventivi relativi alla
salute.
Nel 2006 è stato avviato il progetto SAMBA (Sorveglianza
dell'Attivita' Motoria nei BAmbini) conclusosi nel 2009 il cui
obiettivo era quello di conoscere le abitudini motorie degli alunni
della Scuola Primaria del territorio bolognese e favorire la
diffusione della regolare pratica dell'attività fisica, attraverso
un intervento strutturato che ha visto coinvolti i dipartimenti di
Prevenzione delle ASL, l'Università e la Scuola. Durante questo
studio, 247 bambini di 8-9 anni sono stati assegnati a ricevere un
intervento strutturato di attività fisica di tipo school-based
(gruppo sperimentale) e 250 bambini hanno continuato a svolgere le
ore di educazione fisica previste dal Ministero (gruppo di
controllo). Durante questo triennio ho partecipato alle analisi di
questo studio. Dopo un follow-up di 3 anni, i bambini assegnati al
gruppo sperimentale hanno dimostrato di aver incrementato in
maniera significativa i livelli di attività fisica quotidiana e
hanno inoltre ottenuti punteggi significativamente migliori in
alcuni test motori quali il lancio della palla, il salto in lungo
da fermo e la corsa di 20 metri. La percentuale di bambini obesi e
in sovrappeso non si è modificata, ma in media l'Indice di Massa
Corporea dei bambini appartenenti al gruppo sperimentale è
risultato essere significativamente più basso.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2013
nella rivista Journal of School Health.
Durante questi anni ho inoltre partecipato al progetto
SAMBA 2, nato sulla scia del precedente progetto.
Attualmente sono coinvolta nel progetto sperimentale SAMBA3 il
cui obiettivo è quello di valutare la fattibilità e l'efficacia di
un intervento finalizzato a raggiungere, durante l'orario
scolastico, la quota di 4 ore settimanali di attività fisica
strutturata di livello intenso/moderato in bambini di 8-10
anni.
Esercizio fisico di gruppo per pazienti con
ictus.
Dopo la riabilitazione i pazienti con ictus riducono
drasticamente l'attività fisica a causa delle limitazioni motorie
residue e della bassa offerta di servizi adatti sul territorio. La
sedentarietà che ne deriva provoca decondizionamento fisico e
aumento della disabilità con conseguente ulteriore riduzione del
movimento e della partecipazione sociale. L'efficacia
dell'esercizio fisico nel migliorare la funzione motoria e ridurre
l'isolamento sociale è stata dimostrata in diverse malattie
croniche ma è scarsa l'esperienza di utilizzo di questi interventi
nei pazienti con esiti da ictus.
Nel 2009 è stato avviato, presso l'Azienda
Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico S.
Orsola-Malpighi, uno studio clinico controllato non randomizzato
per valutare, in pazienti a 3-18 mesi dall'evento ictus,
l'efficacia di un intervento strutturato comprendente 16 sedute
sessioni di esercizio fisico di gruppo (EFG) associate a 3 sedute
di educazione terapeutica (ET) finalizzate all'autogestione degli
esiti disabilitanti della malattia.
Durante questi anni ho lavorato a questo progetto seguendone gli
aspetti più metodologici (data management, analisi dei risultati ad
interim, rendicontazione per il comitato etico di ricerca).
Lo studio, conclusosi a maggio 2013, ha dimostrato nel follow-up
a 4 mesi come i pazienti assegnati al gruppo sperimentale (N=126)
siano significativamente migliorati rispetto al gruppo di controllo
(N=103) nella resistenza al cammino, nella funzionalità motoria,
nell'equilibrio e nella componente fisica dello score per la misura
della qualità della vita.
Lo studio, al momento il più grande a livello italiano e il
primo che abbia arruolato pazienti a 3-18 mesi dall'ictus, ha
dimostrato come questo tipo di intervento sia efficace e sicuro per
questa tipologia di pazienti.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista
Neurorehabilitation and Neural Repair.
Esercizio fisico di gruppo per pazienti con osteoporosi e
fratture vertebrali.
Dal 2013 sono coinvolta in uno studio multicentrico il cui
obiettivo è quello di valutare i benefici e la fattibilità di
un programma di attività fisica adattata in donne in post-menopausa
con fratture vertebrali da osteoporosi.