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Laura Dallolio

Professoressa associata

Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie

Settore scientifico disciplinare: MED/42 IGIENE GENERALE E APPLICATA

Temi di ricerca

Parole chiave: Epidemiologia Sanità Pubblica Infezioni correlate all'assistenza sanitaria Mortalità infantile Attività fisica adattata Promozione della salute Pause attive

La mia attività scientifica è fondamentalmente incentrata su tre filoni di ricerca:

1) l'applicazione dei metodi dell'epidemiologia per la valutazione di alcuni temi della salute materno infantile di grande rilevanza anche per la sanità pubblica (mortalità infantile e parto cesareo);

2) la valutazione del rischio infettivo in ambito nosocomiale e comunitario e delle misure di prevenzione e controllo;

3) la valutazione di efficacia di interventi di promozione dell'attività fisica indirizzati a persone sane (prevenzione primaria) e a persone affette da patologia subacuta o cronica (prevenzione terziaria).

 



La mia attività scientifica è attualmente fondamentalmente incentrata su tre filoni di ricerca:

1) l'applicazione dei metodi dell'epidemiologia per la valutazione di alcuni temi della salute materno infantile di grande rilevanza anche per la sanità pubblica (mortalità infantile e parto cesareo);

2) la valutazione del rischio infettivo in ambito nosocomiale e comunitario e delle misure di prevenzione e controllo;

3) la valutazione di efficacia di interventi di promozione dell'attività fisica indirizzati a persone sane (prevenzione primaria) e a persone affette da patologia subacuta o cronica (prevenzione terziaria).

Salute materno-infantile

Mortalità infantile.

Il tasso di mortalità infantile, definito come il numero di bambini deceduti entro il primo anno di vita su mille nati vivi nello stesso anno, oltre a essere un importante indicatore della salute dei bambini e delle loro madri, è ancora oggi considerato una buona misura proxy dello stato di salute dell'intera popolazione. Nonostante la riduzione dei tassi di mortalità infantile sia, in Italia come in tutti i Paesi economicamente più avanzati, uno dei fenomeni epidemiologici più rilevanti emersi negli ultimi cinquant'anni, continuano a persistere nel nostro Paese importanti disparità geografiche con un forte svantaggio nelle regioni meridionali: nel triennio 2006-2009 l'eccesso di mortalità infantile nelle regioni del Sud verso quelle del Nord era ancora del 27%.

I determinanti della mortalità infantile sono numerosi e complessi e vengono tradizionalmente distinti in prossimali (basso peso alla nascita, età gestazionale, infezioni, incidenti, gemellarità, ordine di genitura, genere del bambino, fattori materni), intermedi (accesso all'assistenza sanitaria, alle vaccinazioni, a cibo e acqua) e distali (educazione, occupazione, spesa sanitaria pubblica, reddito nazionale e distribuzione del reddito all'interno del Paese).

La possibilità di condurre stati analitici attraverso flussi informativi correnti (certificati ISTAT di morte nel primo anno di vita e certificati di assistenza al parto-CedAP) che consentirebbe di indagare i determinanti della mortalità infantile e delle disparità geografiche che tuttora persistono in Italia, risulta essere attualmente impossibile a seguito di alcuni cambiamenti legislativi (DPR 403 e la legge sulla privacy). Non essendo possibile condurre studi analitici con dati individuali, l'unica possibilità di indagare tali determinanti è di condurre studi ecologici con dati aggregati a livello regionale.

Nel corso di questi anni ho analizzato i trend temporali e geografici della mortalità infantile in Italia dal 1991 al 2009. I risultati di questi studi, così come la denuncia dell'impossibilità di utilizzare, a fini di ricerca, le cosiddette vital statistics o flussi informativi correnti, sono state oggetto di due pubblicazioni rispettivamente nel 2011 e 2013 nelle riviste Epidemiologia e Prevenzione  e Italian Journal of Pediatrics.

Nel corso di questi anni ho inoltre coordinato uno studio ecologico per indagare a livello italiano l'associazione tra mortalità infantile e alcuni importanti determinanti socio-economici (reddito medio procapite, distribuzione del reddito all'interno del Paese, tasso di disoccupazione femminile, percentuale di donne con più di 8 anni di istruzione).

I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2012 nella rivista International Journal for Equity in Health.

 

Parto cesareo.

La proporzione di parti con taglio cesareo (TC) sul totale dei parti è un importante indicatore di qualità dell'assistenza. Negli ultimi trent'anni questo indicatore ha subito un costante incremento in molti paesi ad alto e medio reddito, tra questi spicca l'Italia che da anni presenta uno dei valori più elevati al mondo (36,7% nel 2012).

Ho annualmente analizzato l'andamento della proporzione di parti cesarei in Italia e i risultati sono stati pubblicati nel Rapporto Osservasalute- Stato di salute e qualità dell'assistenza nelle regioni italiane nelle edizioni degli anni  2010, 2011 e 2012.

Sebbene una parte dell'incremento che si riscontra possa essere attribuito a miglioramenti delle tecnologie sanitarie, importanti determinanti di questa crescita sembrerebbero essere attribuibili a fattori non clinici. Diversi studi hanno dimostrato come l'incremento di TC oltre una certa soglia non sia accompagnato da un ulteriore effetto benefico sulla salute della madre e/o del bambino.

Alcuni studi sembrerebbero suggerire il contrario: l'eccessivo utilizzo di questa procedura, per indicazioni non cliniche, sembrerebbe essere associato ad un aumento della morbidità.

Nel corso della mia tesi di dottorato avevo analizzato, attraverso uno studio epidemiologico condotto in Emilia-Romagna su più di 150.000 donne, l'incidenza di isterectomia peri-partum associata alla modalità di parto. Il rischio di isterectomia è risultato essere significativamente associato alla modalità di parto con taglio cesareo rispetto al vaginale. In particolare il rischio è di 4 volte maggiore nelle donne che avevano partorito con taglio cesareo e di circa 3 volte maggiore nelle donne che avevano partorito con un taglio cesareo ripetuto rispetto a quelle di riferimento (parto per via vaginale). I risultati di questo studio sono stati pubblicati nella rivista Acta Obstetricia et Gynecologica Scandinavica.

Valutazione del rischio infettivo in ambito nosocomiale e comunitario e misure di prevenzione e controllo.

Infezioni da Clostridium difficile in ambito nosocomiale.

Nel 2011 ho condotto uno studio epidemiologico retrospettivo per indagare, da gennaio 2010 a dicembre 2010 nel Presidio Ospedaliero Unico dell'Azienda USL Bologna, l'incidenza delle infezioni da Clostridium difficile e i fattori di rischio associati ai casi gravi.

L'incidenza è risultata essere di 13,65 casi ogni 10.000 pazienti dimessi (IC 95%: 11,12 - 16,58), valore al di sotto della media europea (23/10.000) ed in linea con il tasso riscontrato in nazioni come Francia e Danimarca. Un livello nel sangue di creatinina superiore a 2 mg/dL durante il ricovero è risultato essere il fattore di rischio più importante e significativamente associato allo sviluppo di un caso grave (ovvero un caso per il quale è stato necessario il ricovero in terapia intensiva per complicanze, o un caso per il quale è stato necessario eseguire una colectomia per megacolon tossico o perforazione, o ancora un caso in cui è sopraggiunta la morte).

Durante questo studio è stato inoltre condotto un audit clinico per indagare l'aderenza alle misure di prevenzione e controllo.

I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2012 nella rivista Evidence.

Infezioni da Klebsiella pneumoniae in ambito nosocomiale.

Nel corso del 2011 ho partecipato allo studio di una epidemia da Klebsiella pneumoniae verificatesi in una Unità di Terapia Intensiva Neonatale. L'indagine ha messo in evidenzia come veicolo di infezione dell'epidemia una soluzione orale di glucosio non mono-uso utilizzata per calmare i bambini durante le procedure più invasive. Durante l'epidemia è stata messa a punto una check-list per individuare l'aderenza alle misure di prevenzione e controllo.

I risultati di questo lavoro sono stati pubblicati nel 2013 nella rivista International Journal of Environmental Research and Public Health.

Valutazione di efficacia di diversi protocolli per la disinfezione dei circuiti idrici dei riuniti odontoiatrici.

I circuiti idrici dei riuniti odontoiatrici possono rappresentare un veicolo di infezione sia per i pazienti che per il personale. Le fonti di contaminazione dell'acqua dei riuniti possono essere l'acqua di rete stessa, la presenza di biofilm all'interno dei circuiti, la contaminazione retrograda da parte del paziente. Per questi motivi è buona norma procedere alla disinfezione dell'acqua dei riuniti che ha l'obiettivo sia di eliminare tutte gli agenti patogeni penetrati nei condotti idrici sia di contrastare la formazione del biofilm. La disinfezione può essere fatta in continuo, in questo caso il disinfettante viene addizionato al liquido di alimentazione, deve essere compatibile con il cavo orale, non deve esporre a rischi professionali l'operatore e non deve danneggiare il circuito; oppure in discontinuo, in questo caso il disinfettante può essere anche di alto livello e viene utilizzato tra paziente e paziente. L'efficacia dei diversi tipi di disinfettanti e della modalità di uso (in continuo o discontinuo) è stata testata a lungo in laboratorio ma sono pochi gli studi che ne hanno misurato l'efficacia nella pratica reale. Durante questi anni, in collaborazione con l'Azienda Sanitaria Locale di Bologna, ho partecipato ad uno studio il cui obiettivo era quello di verificare l'efficacia di diversi protocolli di disinfezione dei circuiti idrici dei riuniti odontoiatrici nella pratica clinica.

I risultati di questo studio sono descritti in un articolo pubblicato nella rivista International Journal of Environmental Research and Public Health.

 

Valutazione del rischio infettivo negli impianti natatori.

Il nuoto e tutte le attività sportive che possono essere svolte in piscina sono un mezzo molto efficace per mantenere e recuperare la salute psicofisica e il giusto rapporto con il proprio corpo e con l'ambiente. È tuttavia necessario che l'attività sia praticata in ambienti adeguati e idonei sotto il profilo igienico-ambientale. Le piscine, oltre a rappresentare una condizione di rischio per traumi, lesioni e annegamenti, sono infatti impianti particolarmente complessi, possibile fonte di rilevanti rischi igienico-sanitari, fortemente condizionati dalla presenza e dallo stato di manutenzione di sofisticati impianti tecnologici, ma anche dalle caratteristiche di qualità delle acque utilizzate e dal numero e dalle condizioni di salute dei fruitori dell'impianto.

Durante questi anni ho partecipato ad uno studio il cui obiettivo era quello di valutare la qualità microbiologica e chimica dell'acqua delle 80 piscine presenti nell'area metropolitana di Bologna.

I campioni dell'acqua di piscina sono risultati essere non conformi nel 16% dei casi delle piscine al chiuso e nel 25% dei casi delle piscine all'aperto. Nella maggior parte dei casi (65%) i campioni erano non conformi per un solo parametro previsto dalla normativa attualmente di riferimento in Italia (Accordo Stato-Regioni sugli aspetti igienico-sanitari per la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso natatorio 16 gennaio 2003). Solo nell'1,5% dei casi, durante il triennio 2010-2012, è stato necessario un provvedimento di chiusura temporanea dell'impianto per la presenza di non conformità e di un reale pericolo per la salute dei frequentatori.

I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2013 nella rivista Microchemical Journal.

 

Nel 2012, in collaborazione con il gruppo di lavoro di Scienze Motorie per la Salute della Società di Italiana Igiene (SItI) ho contribuito a  mettere a punto e sperimentare, in uno studio pilota nazionale, una checklist per la valutazione delle caratteristiche strutturali, gestionali e igienico sanitarie degli impianti natatori. 

I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2014 nella rivista Microchemical Journal.

 

Valutazione di efficacia di interventi di promozione dell'attività fisica indirizzati a persone sane (prevenzioni primaria) e a persone affette da patologia subacuta o cronica (prevenzione terziaria).

Studi di sorveglianza e di intervento dell'attività motoria nei bambini della scuola primaria.

Secondo i dati più recenti, in Emilia Romagna il 22,1% dei bambini di 8-9 anni è in sovrappeso, il 5,9% è obeso e  l'1,3% è severamente obeso (OKkio alla Salute, 2012).

Per le importanti conseguenze che l'eccesso di peso ha sulla salute non solo dell'infanzia ma anche della futura vita da adulti (si stimano 50.000 morti/anno in Italia attribuiti all'obesità), la prevenzione dell'eccesso di peso è uno dei principali temi su cui si sta concentrando l'attenzione della sanità nazionale. Le evidenze scientifiche dimostrano che gli interventi preventivi più efficaci sono quelli integrati, multicompetenti, che garantiscono continuità nel tempo.

Il mondo della scuola, essendo il mondo dei saperi, è il contesto più adatto in cui promuovere interventi di questo tipo (School Based Intervention)e in cui è maggiormente possibile fornire conoscenze e/o modificare abitudini rispetto a idonei stili di vita, potenziando gli aspetti preventivi relativi alla salute.

Nel 2006 è stato avviato il progetto SAMBA (Sorveglianza dell'Attivita' Motoria nei BAmbini) conclusosi nel 2009 il cui obiettivo era quello di conoscere le abitudini motorie degli alunni della Scuola Primaria del territorio bolognese e favorire la diffusione della regolare pratica dell'attività fisica, attraverso un intervento strutturato che ha visto coinvolti i dipartimenti di Prevenzione delle ASL, l'Università e la Scuola. Durante questo studio, 247 bambini di 8-9 anni sono stati assegnati a ricevere un intervento strutturato di attività fisica di tipo school-based (gruppo sperimentale) e 250 bambini hanno continuato a svolgere le ore di educazione fisica previste dal Ministero (gruppo di controllo). Durante questo triennio ho partecipato alle analisi di questo studio. Dopo un follow-up di 3 anni, i bambini assegnati al gruppo sperimentale hanno dimostrato di aver incrementato in maniera significativa i livelli di attività fisica quotidiana e hanno inoltre ottenuti punteggi significativamente migliori in alcuni test motori quali il lancio della palla, il salto in lungo da fermo e la corsa di 20 metri. La percentuale di bambini obesi e in sovrappeso non si è modificata, ma in media l'Indice di Massa Corporea dei bambini appartenenti al gruppo sperimentale è risultato essere significativamente più basso.

I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2013 nella rivista Journal of School Health.

Durante questi anni ho inoltre partecipato al progetto SAMBA 2, nato sulla scia del precedente progetto.

Attualmente sono coinvolta nel progetto sperimentale SAMBA3 il cui obiettivo è quello di valutare la fattibilità e l'efficacia di un intervento finalizzato a raggiungere, durante l'orario scolastico, la quota di 4 ore settimanali di attività fisica strutturata di livello intenso/moderato in bambini di 8-10 anni.

 

Esercizio fisico di gruppo per pazienti con ictus.

Dopo la riabilitazione i pazienti con ictus riducono drasticamente l'attività fisica a causa delle limitazioni motorie residue e della bassa offerta di servizi adatti sul territorio. La sedentarietà che ne deriva provoca decondizionamento fisico e aumento della disabilità con conseguente ulteriore riduzione del movimento e della partecipazione sociale. L'efficacia dell'esercizio fisico nel migliorare la funzione motoria e ridurre l'isolamento sociale è stata dimostrata in diverse malattie croniche ma è scarsa l'esperienza di utilizzo di questi interventi nei pazienti con esiti da ictus.

Nel 2009 è stato avviato, presso l'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico S. Orsola-Malpighi, uno studio clinico controllato non randomizzato per valutare, in pazienti a 3-18 mesi dall'evento ictus, l'efficacia di un intervento strutturato comprendente 16 sedute sessioni di esercizio fisico di gruppo (EFG) associate a 3 sedute di educazione terapeutica (ET) finalizzate all'autogestione degli esiti disabilitanti della malattia.

Durante questi anni ho lavorato a questo progetto seguendone gli aspetti più metodologici (data management, analisi dei risultati ad interim, rendicontazione per il comitato etico di ricerca).

Lo studio, conclusosi a maggio 2013, ha dimostrato nel follow-up a 4 mesi come i pazienti assegnati al gruppo sperimentale (N=126) siano significativamente migliorati rispetto al gruppo di controllo (N=103) nella resistenza al cammino, nella funzionalità motoria, nell'equilibrio e nella componente fisica dello score per la misura della qualità della vita.

Lo studio, al momento il più grande a livello italiano e il primo che abbia arruolato pazienti a 3-18 mesi dall'ictus, ha dimostrato come questo tipo di intervento sia efficace e sicuro per questa tipologia di pazienti.

I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista Neurorehabilitation and Neural Repair.

 

Esercizio fisico di gruppo per pazienti con osteoporosi e fratture vertebrali.

Dal 2013 sono coinvolta in uno studio multicentrico il cui obiettivo è quello di valutare i  benefici e la fattibilità di un programma di attività fisica adattata in donne in post-menopausa con fratture vertebrali da osteoporosi.