TERRITORI DI CONFLITTI, CONVIVENZE, MIGRAZIONI | "Scienze del Territorio", call for papers
Scienze del Territorio, volume 12, numero 1
TERRITORI DI CONFLITTI, CONVIVENZE, MIGRAZIONI
a cura di Ilaria Agostini, Enzo Scandurra e Diletta Vecchiarelli
Call for papers – scadenza: 15 gennaio 2023
Le convivenze multispecie e multietniche pongono interrogativi sostanziali sull’antropocentrismo che ha segnato il nostro rapporto con l’ambiente naturale e dato forma al capitalismo globale che oggi altera equilibri ambientali, causa conflitti bellici e genocidi, e innesca imponenti flussi migratori.
Una imponente muraglia costruita dal capitale – scrive Mike Davis – separa i Paesi ricchi dalla maggioranza povera della Terra: una metà del pianeta è separata da una linea di frontiera, lunga circa dodicimila chilometri, militarizzata e perciò micidiale per i disperati che tentano di oltrepassarla. Dodicimila chilometri, una vera e propria “frattura del genere umano” – si legge nel Rapporto Last Twenty 2022 – “che, se dovesse continuare ad approfondirsi, creerebbe un abisso tra gli umani che abitano questo pianeta”.
Linea di frontiera che tuttavia risulta inefficace per quanto attiene ai movimenti del vivente non umano che, nota lo scrittore Paolo Cognetti, non conosce frontiere. Ma che risulta inefficace anche – stavolta per la Ragione di mercato – nel libero movimento dei flussi finanziari e, in parte, del loisir turistico globale.
Lungo i confini che l’Europa ha ‘esternalizzato’ a Turchia, Marocco, Libia ecc. si sta combattendo una ‘guerra invisibile’. Una guerra contro ‘nemici’ animati dall’intenzione – nella loro ricerca di un mondo nuovamente abitabile – di far valere il diritto all’uguaglianza tra umani. L’inalienabile diritto, antecedente a qualsiasi giurisdizione, di una vita degna prima di una degna sepoltura è, per voce di Antigone, espresso nelle parole di Sofocle: “non ho ritenuto che i tuoi decreti avessero tanto potere da far trasgredire a un mortale le leggi non scritte”.
Eppure, i movimenti migratori – al pari dell’introduzione di specie viventi alloctone che divengono pericolo sociale, e del ‘salto di specie’ di un virus capace di bloccare il funzionamento del pianeta – sono interpretati come ‘invasioni’. Invasioni mai sufficientemente messe in relazione con il saccheggio dei paesi di provenienza, operato dal ricco Nord del mondo. Questo saccheggio è oggi, peraltro, perpetrato anche al di qua delle frontiere in nome della Transizione ecologica che, in parte, rimette in causa la “brutale corsa fuori dall'Europa”. Con tale espressione il filosofo Achille Mbembe ha definito, nella sua Critica alla ragione negra, la colonizzazione ‘bianca’ che oggi rivolge lo sguardo persino alle risorse del Vecchio continente per trarne profitti attraverso rinnovati strumenti di dominio: violenza e accaparramento di beni comuni e nuove ‘terrae nullius’, finalizzati all’installazione di infrastrutture, megastrutture energetiche, minerarie e produttive, e alla privatizzazione di risorse primarie (acqua, servizi, suolo, ecc.).
Alterità antropologiche e ambientali pongono interrogativi in merito alla dimensione locale. Appartenenze territoriali, culturali e di specie sono rimesse in discussione dalla contesa di risorse finite (terra, lavoro, energia, welfare, ecc.), dalla ininterrotta riformulazione e sperimentazione di nuove convivenze possibili, ma segnatamente dall’alterità di cui la figura migrante è portatrice, dallo sguardo di chi arrivando da fuori richiede legittimi diritti, dallo scontro tra accoglienza e respingimento, tra fratellanza/sorellanza e conflitto, tra nuova cittadinanza e clandestinità.
Intensificatisi negli ultimi decenni, i movimenti migratori narrano di regioni desertificate dalle guerre, di morti senza più identità, di land grabbing e catastrofi ecologiche, ingiustizie ambientali, sociali ed economiche, di slums e favelas in cui si ammassano popolazioni rurali in fuga verso le megalopoli, di impoverimenti alla scala “mesoregionale” (categoria capace di superare le rigide divisioni geografiche imposte dai colonizzatori, che prendiamo a prestito da Bruno Amoroso). L'origine dei flussi globali è determinata da un sistema “economico‐finanziario‐militarizzato” – così lo definisce Alex Zanotelli – altamente iniquo che soffoca il Pianeta, arricchisce una minoranza, mentre depreda i molti Sud del mondo.
Le ricadute del fenomeno migratorio si manifestano anche nei territori e nelle città di transito e di arrivo. Qui le popolazioni migranti – portatrici di ottiche culturali e spirituali ‘altre’ – forniscono, in forza della propria alterità, lo spunto per innovative analisi e interpretazioni dei contesti attuali. Il ‘popolo nuovo’, se messo nelle condizioni di assumere un ruolo attivo nell'evoluzione territoriale, potrebbe contribuire alla costruzione di scenari futuri di coabitazione e condivisione della ‘rete della vita’ (lifenet) utili per l’elaborazione di un’auspicata liberazione dalle gerarchie territoriali, patriarcali e capitaliste.
In Italia – impervio approdo alla Fortezza Europa – si riscontra una forte difficoltà e resistenza all’ inclusione. Questa ‘umanità in eccedenza’ è trattenuta ai margini della società, nella sospensione dei diritti, in una condizione di ‘scarto’ caratterizzata da: discriminazione razziale e di genere; sfruttamento lavorativo e insicurezza sui luoghi di lavoro; tratta dei corpi; reclusione in campi istituzionali (CPT, CIE, CPR ecc.) e precarietà abitativa in insediamenti informali, i cosiddetti ‘ghetti’; ipermobilità legata alle scarse opportunità e alla stagionalità del lavoro; difficoltà di accesso alla sanità pubblica e ai servizi; precarietà delle condizioni giuridiche, sanitarie e psichiche (a esito di un’irreparabile “rottura esistenzial‐politica”, ha scritto Donatella Di Cesare); impedimenti linguistici determinanti afonia nella persona migrante.
Il lavoro e l’abitare, in particolare, rappresentano due ambiti tematici di estrema importanza.
Innanzitutto, il lavoro migrante in quei territori le cui produzioni hanno carattere di specializzazione monoculturale (agricoltura, agroindustria, industria tessile, logistica, terzo settore ecc.). In queste “fabbriche del razzismo” (Mbembe) il lavoro migrante è sottoposto a sfruttamento e caporalato, divisione etnica delle mansioni, “profughizzazione” (così Caruso e Omizzolo definiscono la strutturazione del lavoro su determinati tipi sociali), scarsa sindacalizzazione, ecc. Questa condizione diffusa e reiterata di gerarchie e sfruttamento lavorativo non può dirsi slegata dalla funzionalizzazione dei flussi migratori, ovvero dalla selezione in entrata in base alle funzioni lavorative, che avviene attraverso politiche e dispositivi di controllo, legali e spaziali.
Secondo, la questione dell’‘abitare migrante’, segnata dal perdurante e strutturale approccio emergenziale al fenomeno migratorio (un esempio fra molti: l’assegnazione degli alloggi popolari ai residenti da più di cinque anni nei Comuni). La condizione instabile dell’abitare rispecchia così l’esclusione della persona straniera dallo Stato, dalle sue istituzioni e amministrazioni, condizione che le conferisce cittadinanza incompleta, di rango inferiore, costruita prioritariamente – secondo le riflessioni di Jacques Rancière – attraverso “la criminalizzazione dei non‐cittadini indesiderati”.
Con la presente proposta miriamo dunque a far luce su pratiche e ricerche attinenti all’approccio territorialista incentrate su: convivenze solidali interspecie; comunità interetniche e multiculturali; informalità abitativa e nuove forme di coabitazione; inclusione socio‐spaziale e partecipazione comunitaria e territoriale; pratiche di superamento delle discriminazioni di genere legate al mondo migrante; informalità lavorativa e nuove economie cooperative, mutualistiche e ambientalmente responsabili; innovazione territoriale capace di reinventare coesione sociale, comunità di territorio, nuovi saperi territoriali condivisi che divengano pratiche istituzionali e comuni.
Scadenza e procedura di trasmissione Gli articoli – redatti e da pubblicare, se accettati, in lingua italiana, inglese, francese o spagnola – dovranno essere somministrati esclusivamente tramite inserimento sulla piattaforma online dedicata, accessibile, previa registrazione, da https://oajournals.fupress.net/index.php/sdt/about/submissions
La scadenza per l’invio è il 15 gennaio 2023. Gli articoli dovranno conformarsi rigorosamente alle linee‐guida scaricabili dall’indirizzo https://bit.ly/SdT_guidelines2022‐IT [https://bit.ly/SdT_guidelines2022%E2%80%90IT], con particolare riferimento alla parte concernente l’oscuramento dei dati personali, e contenere ogni elemento addizionale ivi richiesto. Fin dal primo invio è richiesta una versione inglese dell’abstract. [https://bit.ly/SdT_guidelines2022%E2%80%90IT]Per ogni ulteriore informazione: rivista@societadeiterritorialisti.it.
Pubblicato il: 03 luglio 2023