Insolvenza di uno Stato sovrano
Il tema del fallimento di uno Stato è
tornato prepotentemente alla ribalta a seguito delle piu recenti
politiche pubbliche di salvataggio degli istituti finanziari.
Queste, sommate ad una sfavorevole congiuntura macroeconomica e al
già massiccio ricorso al mercato del capitale di debito da parte
degli Stati, hanno incrementato l'ammontare complessivo di
indebitamento pubblico di molti governi europei fino a raggiungere
livelli pericolosamente elevati.
Il rischio di mancato
pagamento del debito, e quindi di una eventuale insolvenza,
coinvolge ormai molti paesi dell'area euro, compresa l'Italia.
Infatti ha finora colpito l'Irlanda, il Portogallo e la Grecia
mentre enormi sforzi vengono compiuti a livello nazionale ed
europeo per evitare il fallimento dell'Italia e della Spagna.
Con la presente
ricerca ci si propone di investigare il tema della possibile
insolvenza dello Stato italiano, da una duplice prospettiva. Da un
punto di vista ex ante quello che rende lo studio di estremo
interesse è che non vi è una possibile disciplina applicabile.
Infatti, qualora l'Italia non dovesse essere in grado di ripagare i
titoli di Stato in scadenza non vi è alcuna legge che ne regoli le
possibili conseguenze. Piuttosto, la sovranità statale ammette la
possibilità di introdurre una legge che imponga la ristrutturazione
del debito ovvero che cambi la normativa che disciplina quei
contratti con effetto retroattivo. In tal caso, si pongono dei
delicatissimi problemi di protezione dei creditori ovvero dei
possessori di quegli strumenti finanziari che trovano nel diritto
societario la propria fonte principale.
Ciononostante, non
sempre i titoli in questione sono disciplinati dalla legge
nazionale, essendo ormai pratica diffusa quella di far riferimento
alla legge di uno stato estero al fine di isolare i creditori da
possibili cambiamenti legislativi (c.d. "rischio Paese").
In questo secondo
caso però se si considera la materia da un'altra prospettiva,
ovvero quella ex post, viene in rilievo il problema del recupero
del credito da parte dei sottoscrittori dei titoli.
Nel diritto
applicabile alle imprese insolventi, il creditori potrebbero
rivalersi sui beni del debitore. Nel caso dello Stato però i
creditori non possono "attaccare" i beni pubblici che si trovano
sul territorio nazionale, nè possono rivalersi su quelli esteri.
Più precisamente, quei pochi beni che si trovano all'estero (eg.
sedi di ambasciate o altri edifici di rappresentanza) godono tutti
di immunità e non possono quindi essere sequestrati da nessuno.
Quali potrebbero essere quindi le azioni esperibili dai nostri
risparmiatori?
In sintesi, la
ricerca intende valutare i possibili scenari che vengono in
considerazione nel caso di incapacità dello Stato italiano di
ripagare i propri titoli di debito in scandenza. Il che implica da
un lato un'analisi delle alternative di natura regolamentare che
possono essere messe in atto dal legislatore, se vi sia un
possibile ruolo della banca centrale, e quale l'impatto e la
capacità di risposta del diritto societario. Dall'altro lato, si
vuole investigare i rimedi che il diritto commerciale offre a
tutela dei creditori danneggiati dal mancato pagamento del debito
di un soggetto sovrano.
Corporate Social
Responsibility e Etica in Finanza
Sul solco delle
ricerche intraprese lo scorso anno accademico, e alla luce di
alcuni risultati emersi, si intende continuare ad investigare il
tema della responsabilità sociale di impresa.
Particolare
attenzione vuole dedicarsi al settore bancario perchè è emerso
essere tra i pochi che si occupano di CSR in modo strutturato e
organico.
Il campo di indagine
sarà questa volta quello relativo alla coerenza tra la struttura e
l'attenzione alla CSR a livello di governance interna (eg.
esistenza di una funzione ad hoc, ampi poteri del CSR manager,
dialettica endosocietaria, ...) e di rendicontazione esterna (eg
esistenza di piani di sostenibilità, bilanci sociali,certificazioni
sociali, ...) e gli standard di comportamento dei manager nella
gestione dell'attività di impresa.
Infatti l'adozione di
comportamenti etici ha rilievo anche nelle pratiche di mercato in
cui i manager di banche e di altre società operanti nel settore
finanziario si trovano ad operare quotidianamente. Da un punto di
vista etico, i manager dovrebbero adottare alti standard di
professionalità con riferimento alla conoscenza della legge,
all'indipendenza, alla manipolazione del mercato, ai doveri
informativi nei confronti dei clienti e cosi via. Alcuni di questi
sono già codificati nel diritto positivo, ma le più recenti
cronache giudiziarie hanno insegnato che sono molti i casi in cui
l'ente finanziario, e quindi i relativi resposabili, non li
rispettano ovvero che non sono sufficientemente incisivi da
realizzare una adeguata protezione dell'investitore.
Inoltre, vi sono casi
in cui anche il supervisore, ovvero la Banca centrale, sembra voler
suggerire agli enti creditizi l'adozione di stanrdard di condotta
più elevati rispetto a quelli già stabiliti dall'ordinamento.
Ciononostante tali orientamenti mancano di una stringente
vincolatività e non sono quidi utili a sortire l'effetto
voluto.
E' quindi necessario
un diverso approccio al problema, che sia in grado di ottenere un
preciso commitment etico da parte delle società bancarie.
Obiettivo della
ricerca sarà quindi investigare lo status quo con riferimento alle
pratiche adottate del nostro settore bancario e individuare
possibili soluzioni di policy
Le nuove norme
sulla tutela della libertà di impresa
E' di recente entrato
in vigore nel nostro ordinamento il testo di legge recante "Nuove
norme sulla tutela della libertà di impresa" con il quale si
introduce il nuovo "statuto delle piccole e medie imprese".
Nei ventuno articoli si elencano i
principi generali che caratterizzeranno il nuovo statuto
dell'impresa, si definiscono i criteri ai quali l'attività
regolativa si dovrà ispirare attraverso l'Air, Analisi di impatto
della regolamentazione, vietando l'introduzione di nuovi oneri per
le imprese se non compensati da contestuali “alleggerimenti”; si
semplificano e si rendono più trasparenti i rapporti con la
pubblica amministrazione, obbligando il governo a recepire la
direttiva comunitaria sui ritardi nei pagamenti.
Il testo condensa quindi una serie di misure che necessitano una
approfondita analisi e valutazione, anche alla luce del fatto che
questo non può ancora dirsi definitivo poichè devono essere
introdotti i regolamenti di attuazione.
L'idea di fondo è che
riservando alle PMI un trattamento privilegiato si possa
valorizzare il nostro apparato imprenditoriale che ha nella piccola
dimensione il suo tratto caratteristico. Così le micro, piccole e
medie imprese diventano per legge destinatarie del 60 per cento
degli incentivi (con una
quota obbligatoria del 25 per cento alle micro imprese) e vengono
anche facilitate nell'accesso alle procedure di appalto
introducendo, fra l'altro, “modalità di coinvolgimento nella
realizzazione delle grandi infrastrutture” di quelle residenti nei
territori dove sono localizzati gli investimenti. Viene, infine, istituito il “Garante per le micro,
piccole e medie imprese” con il compito di monitorare le politiche
del settore e seguire lo stato di attuazione dei diversi
provvedimenti.
Ciononostante, lo
sviluppo dell'apparato produttivo non può essere affidato solo alla
piccola dimensione, che corre il rischio di essere produttivamente
inefficiente o di essere oggetto di operazioni di fusione o
acquisizione da parte di soggetti esteri. Inoltre, il pericolo di
un sistema che premia la piccola e la micro impresa sulla sola base
di logiche dimensionali è quello di disincentivare la crescita e lo
sviluppo delle imprese che sono invece vitali per la nostra
economia.
La ricerca vuole
quindi valutare se nel complesso tali norme possano effettivamente
contribuire a rendere il nostro ordinamento più funzionale alle
attività d'impresa e a rimuovere gli ostacoli normativi alla
crescita, ovvero se non vi sia il rischio che esse rappresentino un
incentivo distorto che privilegi il mancato sviluppo.