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Federico Magnani

Professore ordinario

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari

Settore scientifico disciplinare: AGR/05 ASSESTAMENTO FORESTALE E SELVICOLTURA

Temi di ricerca

Parole chiave: ecologia sostenibilità foreste aridità modellistica cicli biogeochimici fotosintesi ciclo del carbonio selvicoltura

  • Studio delle cause del decremento della produttività forestalein boschi maturi e vetusti
  • Effetti delle deposizioni atmosferiche di azoto sul bilancio del carbonio delle foreste
  • Relazioni idriche degli alberi forestali
  • Analisi dendroecologica della risposta di lungo termine ai fattori di disturbo: effetti dell'erosione costiera
  • Misura e modellizzazione degli scambi gassosi della foresta
  • Modellizzazione su base funzionale della crescita di lungo termine e della sua risposta all'ambiente ed al cambiamento climatico
  • Telerilevamento dello stato funzionale di coperture forestali
  • Produzione di biomasse legnose da colture forestali specializzate
  • Gestione sostenibile dei boschi appenninici


La mia attività scientifica ha sempre ruotato intorno allo studio delle basi funzionali della crescita del bosco, nella convinzione che solo la comprensione dei processi ecologici possa garantire la sostenibilità della gestione selvicolturale di una risorsa potenzialmente rinnovabile come il bosco.

Nell'ambito di questo orizzonte generale di riferimento, le mie ricerche si sono articolate su più scale, dall'autoecologia allo studio dei cicli biogeochimici, spaziando dalle indagini sulle relazioni idriche a livello di tessuto e di singola pianta, alla misura e modellizzazione degli scambi gassosi fogliari, al telerilevamento dello stato funzionale di coperture forestali, allo studio delle basi ecologiche del decremento della produttività nei boschi maturi e vetusti, all'analisi e modellizzazione su base funzionale dei processi di crescita e di fissazione del carbonio e della loro risposta all'ambiente, allo studio degli effetti del cambiamento climatico e delle deposizioni atmosferiche di azoto, all'analisi dendroecologica delle dinamiche  di crescita dei boschi e della loro risposta ai fattori di disturbo.

Nelle mie ricerche ho spesso impiegato modelli matematici di simulazione per combinare le conoscenze ecofisiologiche di dettaglio in una visione complessiva della pianta e del bosco, che tenesse debitamente conto delle proprietà emergenti del sistema, e per estrapolare i risultati alle scale temporali tipiche dei processi forestali.

 Dopo la chiamata all'Università di Bologna è stata infine mia cura affiancare a queste ricerche selvicolturali ed ecologiche anche attività di sperimentazione in campo e di monitoraggio e formazione, così da continuare quell'opera preziosa di servizio al territorio che da sempre ha caratterizzato il Gruppo di Selvicoltura ed Ecologia Forestale dell'Università di Bologna, fin dalla sua creazione ad opera del Prof. Umberto Bagnaresi.

 Le principali tematiche di ricerca da me affrontate verranno di seguito tratteggiate brevemente.

Studio delle cause del decremento della produttività forestalein boschi maturi e vetusti

 Benché noto da tempo a tutti i forestali, il fenomeno del declino con l'età della produttività forestale non ha ancora trovato una spiegazione soddisfacente. Numerose ipotesi ecologiche suggeriscono un ruolo della respirazione, delle limitazioni nutrizionali e delle limitazioni idrauliche derivanti dall'aumento di resistenza idraulica al crescere della pianta. Una recente ri-analisi dell'evidenza scientifica derivante da oltre un secolo di ricerche dimostra come gli effetti dell'altezza delle piante non siano compensati dalle dinamiche con l'età delle caratteristiche anatomiche delle piante, così che altre strategie debbono essere messe in atto per mantenere i tessuti ben idratati nonostante l'altezza sempre crescente, così come dimostrato in un recente studio attraverso l'integrazione di misure dendrologiche, analisi isotopiche e misure ecofisiologiche di dettaglio

Oltre a ridurre gli scambi gassosi della pianta, tali limitazioni idrauliche paiono indurre una modificazione nella allometria funzionale della pianta, alterando il rapporto fra area fogliare e tessuti di trasporto, tanto nel fusto quanto nelle radici. Una nuova ipotesi da me proposta e validata con successo in Pinus sylvestris suggerisce che questo possa essere legato alla capacità della pianta di massimizzare la crescita entro limiti imposti dal rischio di embolismo xilematico dilagante. L'evoluzione con l'età della struttura dei popolamenti forestali, al contrario, non bastano a spiegare le dinamiche di crescita del bosco, contrariamente a quanto da alcuni suggerito.

Vale la pena infine di sottolineare come la comprensione delle basi funzionali dell'invecchiamento del bosco permetta di prevedere anche gli effetti degli cambiamenti climatici di lungo periodo sulle dinamiche di crescita degli alberi forestali, quale fondamento per una corretta gestione forestale adattativa.

 

Effetti delle deposizioni atmosferiche di azoto sul bilancio del carbonio delle foreste

La disponibilità di nutrienti costituisce un altro fattore limitante per la crescita delle piante e del bosco, e di conseguenza per la capacità degli ecosistemi forestali di immagazzinare carbonio atmosferico e di contrastare quindi l'atteso cambiamento climatico. L'azoto, in particolare, costituisce il principale macro-nutriente limitante per le foreste boreali e temperate, così come per le foreste secondarie tropicali.

È stato pertanto suggerito che le deposizioni atmosferiche di azoto, conseguenza ultima delle emissioni antropiche da agricoltura e combustibili fossili, possano spiegare la capacità di fissazione di carbonio degli ecosistemi terrestri. Una recente ri-analisi di un vasto numero di sistemi forestali boreali e temperati ha fornito la prima prova sperimentale di tale ipotesi, mostrando come, quando gli effetti dell'età siano stati debitamente considerati, le deposizioni di azoto siano in larga misura responsabili della capacità di fissazione netta di carbonio degli ecosistemi forestali . Il vivace dibattito che è seguito alla pubblicazione di questi risultati  sta contribuendo a meglio chiarire le basi funzionali del funzionamento degli ecosistemi forestali, nonché il ruolo ambivalente dell'inquinamento atmosferico e di altre componenti del cambiamento globale .

 

Relazioni idriche degli alberi forestali

 Più ancora che dalla disponibilità di nutrienti, la funzionalità e la crescita delle foreste in area mediterranea sono limitate dalla ridotta disponibilità idrica e dalla risposta di lungo termine degli alberi all'aridità . Un importante filone di ricerca ha pertanto riguardato la vulnerabilità degli alberi forestali alla siccità, attraverso la manipolazione della disponibilità idrica nel corso della stagione e studiando gli effetti tanto sulla funzionalità (conduttanza stomatica e del mesofillo, conduttanza idraulica, embolismo xilematico) quanto sulla crescita delle piante. Sono state in particolare messe a confronto tre specie del genere Pinus tipiche di ambienti contrastanti (P. halepensis , P. laricio , P. sylvestris ). Nel caso del P. laricio, in particolare, il trattamento è durato tre anni al fine di esplorare i processi di acclimatazione della pianta, caratterizzati da dinamiche particolarmente lente nelle piante forestali. 

Lo stesso approccio manipolativo a livello di intero ecosistema è stato applicato di recente ad un popolamento di Arbutus unedo, specie tipicamente mediterranea, permettendo di meglio comprendere i meccanismi di risposta di lungo termine a livello di pianta e di intero ecosistema.

Lo studio delle dinamiche stagionali degli stessi parametri ecofisiologici in Fagus sylvatica, una importante specie del bioma temperato, ha messo in risalto la diversa strategia di risposta posta in atto da questa specie tipicamente mesofila, ed in particolare la sua elevata vulnerabilità all'embolismo xilematico in condizioni di ridotta piovosità .

Ad un livello di dettaglio ancora maggiore, un secondo filone di ricerca ha preso in considerazione le relazioni idriche e la risposta all'aridità di semenzali allevati in vaso, al fine di comprendere le basi del successo della rinnovazione in bosco. Particolare attenzione è stata dedicata a tre aspetti ancora non sufficientemente esplorati: le caratteristiche funzionali delle radici fini nell'assorbimento dell'acqua, il controllo stomatico della traspirazione  e le basi funzionali dei processi di foto-protezione, che attraverso la dissipazione della luce in eccesso permettono alle piante di superare gli eventi di aridità tipici del clima mediterraneo senza danni permanenti agli apparati fotosintetici .

 

Analisi dendroecologica della risposta di lungo termine ai fattori di disturbo: effetti dell'erosione costiera 

Oltre che da età, disponibilità di nutrienti e di acqua, la crescita del bosco può essere localmente limitata da altri fattori di disturbo; gli effetti di erosione costiera ed aerosol marini sullo sviluppo dei boschi litoranei, ad esempio, sono stati evidenziati da tempo. Nell'ambito di uno studio su pinete a P. pinaster su litorale tirrenico, tecniche dendroecologiche, analisi isotopiche, misure dendrometriche e strutturali e dati tele-rilevati sono stati combinati per quantificare le dinamiche di lungo termine di tali effetti, comprenderne i meccanismi di azione ed analizzare l'interazione fra erosione e disponibilità idrica in ambiente mediterraneo. L'analisi dendroecologica, in particolare, ha permesso di evidenziare gli effetti benefici sulla crescita di prolungati periodi con precipitazioni elevate, con importanti implicazioni per la risposta dei boschi mediterranei al cambiamento climatico, e di dimostrare l'interazione fra erosione e qualità delle acque nella determinazione dell'intensità del danno42.

 

Misura e modellizzazione degli scambi gassosi della foresta

 Gli scambi gassosi del bosco costituiscono il fondamento primo per tutti i processi di crescita e sono stati per questo oggetto dei miei studi. Al fine di meglio comprendere l'uso dell'acqua da parte del bosco ed i suoi effetti sulla crescita, ho analizzato la risposta della traspirazione e della conduttanza di copertura delle stesse specie attraverso misure termoelettriche di flusso linfatico e metodi micro-meteorologici. Questi hanno messo in evidenza la grande sensibilità di tutte le specie studiate all'umidità dell'aria e del suolo , ma anche la capacità di acclimatazione di lungo termine dei tassi massimi di traspirazione, tale da compensare la riduzione di area fogliare in risposta all'aridità.

I dati raccolti hanno anche permesso di sviluppare e confrontare diversi modelli di controllo stomatico e ambientale della traspirazione, evidenziando il ruolo prevalente svolto dalla chiusura stomatica in risposta alla secchezza dell'aria nel controllo della traspirazione anche in una latifoglia mesofila quale il faggio, nonostante il limitato accoppiamento aerodinamico tra chioma ed atmosfera.

Recenti studi in un bosco misto di neo-formazione nella Pianura Padana hanno permesso di evidenziare inoltre il ruolo delle limitazioni non stomatiche e della conduttanza del mesofillo (una componente che sta ricevendo sempre maggior rilievo nella letteratura internazionale) nella risposta all'aridità estiva delle piante forestali. La capacità di fissazione del carbonio di questa “Kyoto forest” di pianura è stata inoltre quantificata attraverso l'integrazione di misure a livello di foglia e di intero ecosistema attraverso l'applicazione di modelli matematici a base funzionale, arrivando a fornire utili indicazioni sul possibile ruolo dell'arboricoltura da legno nel bilancio nazionale del carbonio.

 

Modellizzazione su base funzionale della crescita di lungo termine e della sua risposta all'ambiente ed al cambiamento climatico

Al fine di fondere le conoscenza di dettaglio così ottenute in una visione complessiva del bosco, ho fatto ampio ricorso nelle mie ricerche a modelli matematici di simulazione. La modellizzazione della funzionalità del bosco si basa in primo luogo su una corretta comprensione dei processi di dettaglio coinvolti (fotosintesi, respirazione, relazioni idriche, nutrizione minerale, allocazione, mortalità, fenologia) e della loro risposta all'ambiente. Poiché il tutto non è la mera somma delle parti, altrettanto importante è comprendere come questi processi si combinino in un complesso auto-organizzato, dando origine alle proprietà emergenti del sistema, sia questo la pianta o l'ecosistema stesso.

Al fine di giungere ad una compiuta modellizzazione della produttività forestale di lungo termine, la mia attenzione si è in particolare concentrata sui processi di allocazione, fra i meno compresi nel panorama dell'ecofisiologia forestale. La già menzionata ipotesi di crescita ottimale e limitazioni idrauliche, in particolare, ha permesso di spiegare non solo le dinamiche legate all'età, ma anche la risposta dell'allocazione ai principali fattori ambientali (temperatura, umidità dell'aria e del suolo). Il modello risultante, debitamente validato anche contro dati di scambi gassosi a livello di ecosistema, ha permesso di rendere ragione della variabilità esistente a livello europeo nella produttività di P. sylvestris, mettendo in particolar modo in evidenza il ruolo centrale giocato dall'allocazione al limite caldo dell'areale della specie.

Infine, ho impiegato il modello per predire i futuri effetti sulla produttività forestale dell'aumento della concentrazione atmosferica di anidride carbonica e del cambiamento climatico risultante, tanto su scala europea quanto più in dettaglio per le foreste italiane. Quest'ultima analisi è risultata di particolare interesse, mettendo in risalto la diversa risposta delle formazioni montane e di quelle del piano basale. Queste ultime, in particolare, a causa dell'aumentata temperatura ed evapotraspirazione potenziale non trarrebbero giovamento dal cambiamento previsto, ed al contrario potrebbero esserne danneggiate.

Dopo oltre un decennio di sviluppo e messa a punto, questi modelli a base funzionale dell'ecosistema possono ora essere utilmente applicati per la predizione sia del bilancio del carbonio delle foreste italiane (nell'ambito del progetto FISR CarboItaly, finanziato congiuntamente dal Ministero dell'Ambiente e dal MIPAF) sia della crescita dei boschi dell'Appennino Bolognese (nell'ambito di un progetto finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna). 

   Telerilevamento dello stato funzionale di coperture forestali

 L'analisi modellistica ad ampia scala ha messo in evidenza la necessità di disporre di informazioni diffuse sulle caratteristiche strutturali e funzionali delle foreste italiane ed europee, in particolare sull'indice di area fogliare (espressione del grado di chiusura delle chiome) e sulle potenzialità fotosintetiche delle chiome (legate alla fertilità stazionale). Entrambi i parametri possono essere derivati da dati multispettrali o iperspettrali telerilevati, e verso questa nuova frontiera si è orientato l'ultimo filone di ricerca da me esplorato. In particolare, ho impiegato dati multispettrali da satellite per studiare gli effetti dell'erosione marina sulle chiome delle pinete costiere lungo il litorale toscano e sulla loro produttività. Ho inoltre condotto accurate analisi in ambiente controllato per esplorare la possibilità di stimare l'efficienza di uso della luce e le potenzialità fotosintetiche dei soprassuoli forestali da dati iperspettrali rilevati da aereo e da satellite. Di recente, questi studi di dettaglio hanno trovato applicazione nell'ambito di ricerche mirate finanziate dall'Agenzia Spaziale Europea.

 

Produzione di biomasse legnose da colture forestali specializzate

Un filone di ricerca applicata recentemente avviato riguarda la quantificazione e l'organizzazione della produzione di biomasse legnose, tanto da colture dedicate in ambienti di pianura quanto dalla gestione sostenibile dei boschi appenninici. Queste ricerche applicate, per quanto non siano risultate in pubblicazioni scientifiche di prestigio, svolgono un importante ruolo per lo sviluppo sostenibile del settore forestale nella Regione Emilia-Romagna e nella Provincia di Bologna, rientrando pertanto fra le responsabilità del Gruppo di Selvicoltura.

In particolare, la sperimentazione condotta nelle colture SRF (Short Rotation Forestry) con cloni selezionati del genere Populus ha permesso di quantificare la produttività in pieno campo di queste colture negli ambienti della bassa Pianura Padana e di valutare gli effetti del modulo applicato (turno forestale, densità) e dei diversi cloni impiegati. Nuovi studi stanno valutando inoltre gli effetti della fertilizzazione azotata e dell'aggiunta di ceneri di combustione quale ammendante, oltre a quantificare gli impatti ambientali delle colture SRF (per la fissazione di carbonio, percolazione di azoto), con l'obiettivo di fornire alla Regione Emilia-Romagna precise indicazioni sul modulo colturale appropriato per queste colture nella bassa Pianura Padana.

 

Gestione sostenibile dei boschi appenninici

 Sempre nella stessa prospettiva di ricerca applicata per la salvaguardia e lo sviluppo del territorio, vale infine la pena di menzionare i due filoni di indagine avviati nell'Appennino Emiliano nell'ambito del Progetto Appennino della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.

Il primo filone ha riguardato il recupero e la gestione sostenibile dei castagneti abbandonati. La creazione di un Parco Didattico-Sperimentale nel'alto Appennino Bolognese ha permesso di creare collezioni di cultivar da legno e da frutto e di dimostrare le più adatte pratiche colturali della castanicoltura moderna. Al tempo stesso, si è voluto creare all'interno del Parco un percorso didattico che mantenga viva la coscienza della cultura del castagno, in quanto pilastro portante della montagna appenninica.

Un secondo filone riguarda la gestione selvicolturale sostenibile dei boschi appenninici. La sperimentazione avviata è volta a quantificare da un lato la loro produttività su base locale (attraverso l'integrazione di dati telerilevati e inventariali e modelli a base funzionale), dall'altro l'impatto ecologico delle nuove metodologie di meccanizzazione avanzata recentemente proposte anche per i boschi montani della penisola. Nell'ambito del progetto PROBIO ed in collaborazione con il CNR-IVALSA, si è valutato l'impatto ecologico di alcuni cantieri forestali a meccanizzazione avanzata, in termini di danni alle piante e ai suoli.  I risultati economici ed ecologici rilevati sui cantieri sono stati estrapolati a scala territoriale con metodi GIS, attraverso la messa a punto di procedure automatiche che si spera possano assistere il pianificatore forestale nelle sue scelte di gestione.