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Faezeh Mardani

Professoressa a contratto

Dipartimento di Storia Culture Civiltà

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Nimā Yushij, il padre della Poesia nuova

 

Nimā Yushij, il padre della Poesia nuova

Il lungo e sorprendente cammino della Poesia nuova persiana ha inizio con l’uscita di un poema intitolato Afsāné (La fiaba), considerato, già dopo pochi decenni dalla sua pubblicazione, la pietra miliare e il decisivo punto di svolta di una nuova stagione poetica.

Nimā Yushij, nome d’arte di ‘Ali Esfandiari, il suo autore, nasce nel 1895 a Yush, piccolo paesino della regione del Māzandarān. Giovanissimo, prosegue gli studi superiori a Tehran presso la scuola francese Saint Louis, inizia a poetare e nel 1920 pubblica il suo primo volume di poesia, La storia d’un pallido volto (Qesseye rang-e paridé), poema di cinquecento versi in forma mathnavi. Vivendo nella capitale, frequenta importanti poeti e intellettuali dell’epoca, grandi sostenitori della rivoluzione costituzionale, come Bahār, Nezām-vafā, ‘Eshqi, che Nimā considera suoi maestri. Poco dopo, sotto l’influenza dei cambiamenti culturali d’inizio secolo, nel 1921 compone il poema Afsāné (La fiaba).

Afsāné è un poema dai contenuti romantici fatti d’immagini descrittive, similitudini e metafore. È un lungo e intimo dialogo tra l’io narrante – l’innamorato perso e solitario – e un essere leggendario che rappresenta la metafora mitologica del compagno invisibile dell’uomo, a tratti guida e a tratti fato. L’opera, nel suo insieme, segnala nuove e inusuali sperimentazioni tematiche e formali. La dettagliata, intimistica descrizione e personificazione della natura, l’adozione di nuove immagini per raccontare la grande metamorfosi individuale e collettiva in atto, la creazione di un’atmosfera magica in cui è difficile distinguere la realtà dall’esperienza onirica, la fluente descrizione di sentimenti di irrequietezza e il disinganno relativi alle dinamiche politico-sociali dei primi del Novecento in Iran, sono alcuni aspetti di questa innovazione poetica.

Una tale varietà di temi trova collocazione in una struttura linguistica flessibile, miscelata di elementi inusuali e poco adottati dai poeti del passato. La simmetria metrica dei versi, il ritmo e la rima pur rimanendo relativamente fedeli a quelli tradizionali, rispecchiano tuttavia una volontà di uscita dalla gabbia di regole prestabilite, limitanti da un punto di vista creativo. Le inedite descrizioni poetiche, l’adozione coraggiosa di nuove parole fino ad allora considerate non dotte e non poetiche, la creazione di un’atmosfera scenico-teatrale attraverso l’uso del dialogo, fanno di questo poema un’opera di considerevole portata comunicativa, tanto da far scaturire un’accesa reazione da parte dei tradizionalisti.

Afsāné non propone tuttavia un’esperienza totalmente nuova. Gran parte degli elementi elencati erano già stati introdotti in poesia dagli autori del periodo costituzionale che avevano cercato, adottando nuove tematiche e strutture prosodiche più semplici, di creare una poesia che potesse essere l’interprete dello spirito del cambiamento. Senza dubbio i loro esperimenti costituiscono i rudimenti basilari su cui Nimā Yushij costruisce il suo poema. Il nostro Autore aggiunge più libertà e flessibilità nella forma, più universalità del pensiero e, soprattutto, la ricerca di una complessiva armonia fra il contenuto e la struttura metrico-formale. Il dialogo e il linguaggio teatrale di Afsāné – come afferma lo stesso Autore – sono strumenti utili per poter esprimere più liberamente «il senso e la specifica natura di ogni cosa». La semplicità e l’immediatezza, generate da questa flessibile forma linguistica, sono, secondo il poeta, i fattori essenziali di una nascente versificazione.

Le sue iniziali opere tra il 1922 e il 1926 e la stessa Afsāné avrebbero avuto un limitato valore letterario se fossero rimaste confinate alle prime esperienze poetiche, senza un crescente e più definito sviluppo stilistico. L’obiettivo primario di Nimā Yushij è quello di migliorare la qualità poetica dei nuovi elementi tematici e formali, già introdotti in poesia da pochi decenni. La sua ricerca è proiettata verso la creazione di una struttura dove questi elementi possano muoversi in modo armonico. Tra la prima pubblicazione di Afsāné (1921) e la parte centrale della produzione poetica del nostro Autore – dal 1940 in poi ci sono vent'anni di sperimentazione e di studio per stabilire le basi teoriche e pratiche della Poesia nuova attraverso la pubblicazione di numerosi saggi, articoli e lettere.

L’ampia conoscenza della millenaria poesia classica persiana, araba contemporanea e soprattutto dell’eterogenea e rinnovata poesia europea degli inizi del Novecento, sono gli elementi che determinano le profonde radici della ricerca del nostro Autore. Altri fattori, come l’amara delusione degli esiti del moto costituzionale e la contrarietà dei poeti tradizionalisti nei confronti di Afsāné accompagnano e influenzano il suo lavoro. Nimā Yushij a proposito degli anni della sua ricerca stilistica scrive: «Questa fase coincideva con l’inizio di un periodo di pressione e difficoltà per il mio Paese. Il risultato fu quello di poter riordinare lo stile del mio lavoro, uno stile nuovo e senza precedenti per la letteratura persiana. Ho lavorato tutta la vita sotto il carico delle mie idee, delle parole e dello stile classico, ho così preparato e appianato la strada che ora offro alle nuove generazioni». Continua Yushij: «Con grande fatica e precisi calcoli, ogni pietra è stata rimossa e il ponte, dopo giorni e notti di duro lavoro, è stato costruito sul fiume, sì che gli altri possano facilmente attraversarlo e i folli buttarsi nell’acqua dicendo: il ponte non serve!».

Interessante notare come il Poeta sia consapevole del proprio ruolo e sia determinato a compiere la missione di capostipite della poesia moderna persiana. I suoi sforzi sono proiettati a guidare una nuova generazione di poeti in un entusiasmante percorso letterario in cui intravede ampi margini di sperimentazione stilistica e tematica atte a dare una nuova vita alla poesia. I mutamenti teorizzati dal nostro Autore comprendono vari piani di riforma poetica: l’ispirazione, il contenuto e il linguaggio. In un suo saggio Nimā scrive: «Il contenuto della poesia è la vita e scrivere la poesia è una forma del vivere. Il poeta deve essere l’essenza del suo tempo…» E ancora: «In ogni esistenza vi è un momento particolare e in ogni momento una particolare energia. L’onestà e la verità sono, in arte, l’essenza della bellezza. L’arte è una lunga catena. Lunga come la vita stessa dell’essere umano sulla terra, perché nasce dalla sua vita e ritorna alla sua vita. Chi si occupa di arte si occupa della vita così che la vita, nel suo complesso e l’arte nata da essa, diventano chiare e trasparenti. È come tentare di rompere un incantesimo».

L’Autore riesce a intravedere il concetto della poesia come arte con tutte le sue implicazioni moderne e a focalizzare l’identità del poeta come l’interprete di una specifica realtà storica e culturale. Il valore estetico è affiancato al valore semantico e l’impegno e la comunicazione relativi a determinati concetti e ideali sono subordinati a una più profonda visione dell'arte poetica. La sincerità e la verità, che secondo l’Autore sono l'essenza dell'etica, vengono poste come condizioni primarie liberando la poesia da elementi artificiali adottati in funzione dei compiacimenti di certe categorie e di certe esigenze dettate dall'opportunismo. Il poeta è responsabile di fronte alla verità della sua creazione artistica e alla lealtà del suo rapporto con essa. Nimā è intento a biasimare la figura del poeta professionista che scrive su commissione o assecondando specifiche esigenze di una particolare realtà politico-sociale e religiosa – condizione a lungo tempo sperimentata dai poeti di corte in ogni epoca. La sua scrittura mostra un’evidente conflittualità nei confronti della poesia ufficiale, sempre al fianco del potere politico a legittimare le sue regole e i suoi modelli artificialmente costruiti.

Ciò che contraddistingue maggiormente il periodo della maturità, rispetto alle poesie iniziali, è il passaggio da un realismo spoglio ad un contenuto epico e drammatico che trova il suo ‘equilibrio’ in un linguaggio simbolico. L’uccello dell’amen (Morg-e āmin, 1951) è la storia di un uccello mitologico che dialoga, canta e grida insieme alla gente, per denunciare l’ingiustizia e la corruzione politico-religiosa che regnano nel Paese. Il poema è uno degli esempi di maggior successo tra le poesie di impegno civile dell’epoca, a cui seguirà un vasto repertorio di produzione poetica dai temi similari. Ora il nostro Poeta, anziché raccontare, indicare e descrivere i suoi stati d'animo, le sue sofferenze, le sue speranze e le sue intime percezioni della realtà umana, come faceva nelle prime poesie come Afsāné, tende a ‘dipingere le immagini’ utilizzando le metafore, le similitudini, le simbologie e la personificazione degli aspetti mistici della natura lasciando il resto al lettore.

Un elemento tematico che colpisce i nostri sensi durante la lettura di ogni poesia di Nimā Yushij è l’imponente presenza della natura. Questo onnipresente soggetto, nei suoi eterogenei aspetti, è il motivo dominante della sua poetica. La fusione della natura con gli stati d'animo del poeta è uno dei fattori tangibili della scrittura nimaista. La sua appartata vita in mezzo ai boschi e alle valli del Māzandarān, unita alla sua lealtà interpretativa, tingono la sua poesia dei colori tipici dell’ambiente in cui scrive e vive.

Nimā vuole mostrare immagini oggettive, dare una visione ottica, offrire altre dimensioni alla poesia, avvicinarla alla prosa, alla pittura, alla musica e al teatro per poter immettere in essa altre e nuove dimensioni, dense di comunicabilità. Più dimensioni avrà l’espressione poetica, più forti e determinanti saranno il suo impatto emotivo e la sua impronta stilistica. «Il poeta, con l’aiuto di vari strumenti come la musicalità del linguaggio, la fluidità del ritmo, il concatenarsi delle rime..., trasforma le parole, considerate come mezzo di comunicazione collettiva, in un veicolo di comunicazione personale… la sua intenzione è dare un'altra anima alle parole».

Una trasparente vena di angoscia e di pessimismo – eredità della formazione romantica e della perlustrazione della letteratura moderna europea, in particolare francese – attraversano gran parte dell’opere di Nimā Yushij. Durante la sua non lunga vita, il nostro Poeta assapora amare delusioni storiche, politiche e culturali che lasciano segni visibili nella sua parabola poetica densa di malinconia e rimpianto. Gli eventi drammatici della prima metà del nostro secolo, non lasciano spazio alla speranza e alla positività. La poetica di Nimā Yushij, come afferma lui stesso, si è nutrita di sofferenza: «La sostanza della mia poesia è la sofferenza. Io scrivo per la mia sofferenza e quella altrui».

Dopo aver sperimentato il realismo sociale e la scrittura dai temi di impegno civile, come dimostra, tra gli altri, l’opera La famiglia del soldato (un poema che descrive la miserabile condizione di una donna, dei suoi figli e del marito partito per la guerra), Nimā cerca di varcare la soglia limitata dei contenuti legati alla condizione contingente della propria terra e del proprio tempo. L’Autore colloca in poesia l’Uomo nella sua identità ageografica e atemporale. L’universalità del pensiero poetico permette al nostro Poeta di espandere la sua visione filosofica, ideologica e artistica e gli offre la possibilità di una comunicazione estesa e vicina alla poesia pura. Il linguaggio simbolico adottato in questa fase della maturità tematica, accompagnerà le sue poesie più riuscite.

In ultima analisi, l’esigenza di introdurre nuove tematiche e la ricerca di ‘armonia’ tra forma e contenuto, costringono il poeta a sperimentare nuove strutture linguistiche, adatte a trasmettere tali tematiche. Gran parte dei critici considera la riforma prosodica di Nimā Yushij l’aspetto essenziale del suo lavoro. Ma osservando e analizzando attentamente la totalità della sua produzione letteraria ci si rende conto che la sua rivoluzione formale, nonostante la vitale importanza, non è facilmente scindibile dagli altri aspetti del suo intero lavoro. I mutamenti teorizzati e adottati dal nostro Autore hanno a che fare con una diversa concezione dell'essenza della parola poetica: la visione del poeta, la sua struttura mentale, la funzionalità e la comunicabilità della poesia, le responsabilità del poeta di fronte alla realtà in cui vive e, infine, di tutto ciò che distingue la scrittura poetica dalla prosa.

Nimā Yushij non vede la questione tematica-formale separata dal contenuto poetico-espressivo, né, tanto meno, la sua realtà interiore staccata dalla realtà oggettiva e collettiva in cui vive. Per l’Autore tali elementi devono interagire tra loro e dare vita a una unità complessiva e armonica. Il Poeta vuole ripulire la poesia dagli elementi artificiali. Ogni regola non giustificata dalle esigenze dell’espressione poetica può essere eliminata. Originalità e naturalezza di un pensiero, inserite in una struttura linguistica adatta, sono le caratteristiche di una poesia omogenea e completa, dove nulla, nel contenuto e nella forma, può essere spostato, modificato o eliminato. Nulla di troppo e di puramente ornamentale che non abbia a che fare con la viva espressione dell’istinto poetico può essere inserito nella struttura. Una poesia completa è tale quando lo spostamento di una virgola o di una parola danneggia e spezza la sua fragile e vitale unità armonica.

Il Poeta è intento a costruire una struttura architettonica dove ogni singolo fattore ha la sua esatta funzionalità e la sua esatta collocazione. Ricordiamo che la sua poesia è essenzialmente descrittiva. Egli considera la struttura formale della poesia come la materializzazione del pensiero. La poesia è concepita, nella sua totalità, nella mente del poeta ed egli non fa altro che immettere questa totalità nella sua espressione linguistica più adatta. Nimā Yushij, in cerca della fonte cristallina della poesia pura (Sh’er-e nāb), attraversa vari stadi di sperimentazione stilistica. Comincia con il lirismo romantico di Afsāné, la diretta e spoglia espressione dell'impegno sociale ne Il lavoro del guardiano notturno (Kār-e šhabpā), l'interiorizzazione dei problemi più profondi e universali dell’uomo moderno in La fenice (Qoqnus), la teatralità epica e drammatica de L’uccello dell’amen (Morg-e āmin) e, infine, arriva, nelle sue poesie più brevi a una struttura compressa, rigorosa e quasi improvvisata, dove le metafore e l’apparato simbolico danno luogo a una poesia essenziale, apparentemente semplice e nello stesso tempo ambigua e densa di significati mistici.

Importante ricordare che un’altra forma poetica che sicuramente ha influenzato la prosodia nimaista è la struttura dei canti popolari e folcloristici, anch’essi introdotti in poesia già dal periodo costituzionale. La sua inclinazione verso la natura, la semplicità e l'immediatezza del suo linguaggio, fanno sì che egli amasse questi canti. La musicalità delle filastrocche e dei canti è stata adottata da Nimâ in alcune sue poesie dal contenuto sociale. I salmi e i lamenti religiosi, le elegie, spesso hanno una tessitura poetica molto flessibile e mutabile. Nimâ conosceva bene questo genere poetico e possiamo identificare vari tratti di somiglianza formale tra la sua poesia e queste forme letterarie. Forme meno elaborate, più ritmate e cantabili come Qowl e Tasnif (poesie che venivano composte per essere cantate e/o accompagnate con la musica in specifiche occasioni), per la loro particolare portata e funzionalità erano soggette a una struttura meno rigida. Ciò poteva essere un punto di riferimento per il nostro Autore che tentava di considerare i vari esperimenti formali sulla scia della ricerca delle nuove strutture.

L’influenza della letteratura locale suggerisce un grande attaccamento alla terra d’origine, confermato dalla biografia dell’autore. Yushij trascorre infatti una vita povera e isolata tra Tehran e Yush, insegnando, collaborando con i quotidiani e le riviste della capitale. Muore a Tehran nel 1959, lasciando una ricca documentazione che, già dopo due decenni, diventa la base teorica e pratica della Poesia nuova, sorgente da cui discendono e a cui si abbeverano tutte le voci poetiche destinate a consolidare la nascente letteratura contemporanea d’Iran. Nel 1994, la sua salma viene trasportata attraverso una carovana di poeti e sostenitori da Tehran a Yushij, amata terra dove tuttora ne è possibile visitare il mausoleo nella casa natale.

 

 

La mia casa è annuvolata

La mia casa è annuvolata

e con lei tutta la terra.

Sul valico, stordito, ebbro e barcollante

turbina il vento e in rovina

manda ogni cosa, pure i miei sensi.

Suonatore smarrito che insegui

la melodia del tuo flauto, dove sei?

La mia casa è annuvolata

e le nubi chiamano la pioggia.

Nel sogno dei perduti giorni radiosi

penso al sole scrutando la distesa del mare.

In questo mondo abbattuto, devastato dal vento,

avvolto da nubi, per il sentiero, il suonatore

che insegue la melodia del suo flauto

prosegue ancora il cammino.

 

 

 

Chiaro di luna

Stilla il chiaro di luna

luccica la lucciola

il sonno non si spezza negli occhi di nessuno

ma la pena dei dormienti

spezza il sonno nei miei occhi bagnati.

È in ansia l’aurora

il mattino mi chiede

di portare lieta novella a questa smarrita gente

ma il mio cuore

s’infrange tra i rovi del viaggio.

Rorida pianta d’un fiore

che teneramente ho coltivato

e dolcemente annaffiato

ahimè, mi si spezza davanti.

Affondo le mani

per aprire una porta

inutilmente insisto

che qualcuno venga

le loro mura, devastate,

mi crollano addosso.

Stilla il chiaro di luna

luccica la lucciola;

dalla lunga strada alle porte del villaggio

un uomo solo, piedi stanchi

e indolenziti, carico sulle spalle

mani alla porta, dice a sé stesso:

la pena dei dormienti

spezza il sonno nei miei occhi bagnati.

 

 

 

خانه ام ابری است

خانه ام ابری است

یکسره روی زمین ابری ست با آن

از فراز گردنه خرد و خراب و مست

باد می پیچد.

یکسره دنیا خراب از اوست

و حواس من!

آی نی زن که ترا آوای نی برده ست دور از ره کجایی؟

خانه ام ابری ست اما

ابر بارانش گرفته ست

در خیال روزهای روشنم کز دست رفتندم

من به روی آفتابم

می برم در ساحت دریا نظاره.

و همه دنیا خراب و خرد از باد است

و به ره، نی زن که دایم می نوازد نی، در این دنیای ابر اندود

راه خود را دارد اندر پیش.

 

 

 

 

می ترواد مهتاب

می ترواد مهتاب

می درخشد شبتاب

نیست یکدم شکند خواب به چشم کس و لیک

غم این خفته ی چند

خواب در چشم ترم می شکند.

نگران با من استاده سحر

صبح می خواهد از من

کز مبارک دم او آورم این قوم به جان باخته را بلکه خبر

در جگر لیکن خاری

از ره این سفرم می شکند.

نازک آرای تن ساق گلی

که به جانش کشتم

و به جان دادمش آب

ای دریغا! به برم می شکند.

دست ها می سایم

تا دری بگشایم

بر عبت می پایم

که به در کس آید

در و دیوار بهم ریخته شان

بر سرم می شکند.

می تراود مهتاب

می درخشد شبتتاب؛

مانده پای آبله از راه دراز

بر دم دهکده مردی تنها

کوله بارش بر دوش

دست او بر در، می گوید با خود:

غم این خفته ی چند

خواب در چشم ترم می شکند.