Foto del docente

Faezeh Mardani

Professoressa a contratto

Dipartimento di Storia Culture Civiltà

Contenuti utili

Ahmad Shāmlu, il «bel gigante» e i «draghi infuocati» della Storia

Ahmad Shāmlu, il «bel gigante» e i «draghi infuocati» della Storia

La poesia di Ahmad Shāmlu esplora i solchi più profondi della continua e spesso amara metamorfosi politico-culturale che traccia e contraddistingue il cammino della storia contemporanea dell’Iran. La sua costante e decisiva presenza nel panorama culturale del Paese fa della sua eredità letteraria una testimonianza ricca e appassionata dai molteplici strati interpretativi. Una voce distinta che distilla in un linguaggio poetico sperimentale e innovativo le grandi trasformazioni della sua terra e del suo tempo.

Nato nel 1925, il poeta conosce fin da giovane la durezza dell’autoritarismo del primo regno Pahlavi (1925-1941) e i sogni infranti della Rivoluzione costituzionale (1906-1911) che avrebbe dovuto porre fine a un sistema monarchico millenario, tanto da rischiare la morte già a metà degli anni Quaranta quando, insieme al padre ufficiale dell’esercito, a Orumiyeh, rimarrà per ore con gli occhi bendati di fronte al plotone di esecuzione dei separatisti filosovietici ⎼ contro la cui ingerenza aveva iniziato a combattere appena quindicenne ⎼ in attesa di ordini superiori, fortunatamente mai sopraggiunti. La fase formativa della sua scrittura vede così luce in concomitanza con l’aggressiva presenza degli eserciti stranieri sul suolo iraniano durante la seconda guerra mondiale.

Come delineato nell’introduzione, mentre gli eventi politico-sociali fanno vacillare le redini di un vecchio impero impallidito dalla modernità incalzante, precipita il solenne e ora più che mai fatiscente palazzo della versificazione classica persiana, basata sulla metrica quantitativa, con la nascita della Poesia nuova proposta da Nimā Yushij. Ahmad Shāmlu sarà tra i primi e sicuramente più audaci sostenitori della scuola di Nimā, l’unica, tra l’altro, a nutrirsi in questi anni di influenze europee, per poi passare ad altri esperimenti semantici linguistici e formali ⎼ sempre all’interno dei criteri della Poesia nuova ⎼ volti ad ampliare la portata e l’estensione poetica di ogni temine e di ogni prestito dotto o idiomatico, fino a raggiungere un inconfondibile e inimitabile stile personale.

«Porto pietre sulle spalle / pietre di parole /pietre di rime…» [#_ftn1] : la narrazione partecipata, sofferta in prima persona, del destino, dell’universo emotivo dell’uomo moderno e del suo tempo, intesse il filo trasparente che unisce i granelli lucenti color amaranto dell’intera opera poetica del nostro Autore. L’io narrante, il poeta ribelle, dispiega le profondità oscure dei meccanismi storico-sociali della sua epoca, costretto tra gli ingranaggi del passato e del presente. L’inquietudine e l’ansia di libertà e giustizia sociale divengono il leitmotiv di tutta la sua produzione, sotto le varie vesti formali e peculiarità stilistiche.

Le prime tre raccolte poetiche (Melodie dimenticate, Ahanghā-ye farāmush shodeh; Ferri e sentimento, Ahanhā va ehsās; Il manifesto, Qat’nāmeh) date alle stampe tra il 1947 e il 1957, delineano un tenace impegno politico e civile; rispecchiano il decennio in cui la storia iraniana attraversa gli eventi della seconda guerra mondiale, le operazioni belliche condotte dalle Forze alleate, l’inizio del regno del II Pahlavi (1941-1979), la nascita del sistema partitico, la libera espressione ideologico-culturale, la breve stagione e l’illusoria parentesi di democrazia che finisce con il colpo di stato del 1953 contro Mohammad Mosaddeq [#_ftn2], l’avvio della nuova fase dell’oppressione politica e dell’eliminazione fisica dei maggiori esponenti e militanti del partito comunista iraniano Tudé. [#_ftn3] L’insonne attenzione ai temi di denuncia e l’uso strumentale della scrittura di dissenso, fanno della poesia di Shāmlu un vero e proprio manifesto dell’ira nonché grido di dolore contro la tirannia.

Sul piano compositivo, quella di Shāmlu è una fusione alchemica delle eterogenee forme lessicali e stilistiche sperimentate nel corso della storia, dominata dall’ossessione di concepire strutture poetiche fluide, duttili, in grado di adattarsi a un ampio, policromo ventaglio di sensi, melodie e visioni. Lentamente l’arco tematico della sua scrittura si estende dalla poesia civile all’ambito amoroso, percorre il pensiero mistico, ingloba miti epici, abbraccia le riflessioni filosofiche del Ventesimo secolo nate in Occidente, canta elegie solenni per l’uomo contemporaneo e compie il proprio raggio di comunicazione emotiva e sapienziale con un approccio universalistico. Questa instancabile e appassionata ricerca e sperimentazione stilistica comprende e sfida le sconfinate capacità estetiche e letterarie della lingua persiana avente sulle spalle una millenaria tradizione poetica e narrativa. Sostenuto dalle variegate possibilità formali e metriche messe in campo dalla Poesia nuova, Shāmlu dà così vita a una scrittura che sonda le risorse espressive di plurime varianti linguistiche mescolando linguaggi e generi spesso distanti e avversi tra loro. Esplorazioni che mutano dal solenne arcaismo letterario alla sapiente adozione dell’idioma popolare di strada, adoperando volta per volta neologismi, narrazioni mitologiche, richiami alle sacre scritture e alla tradizione folcloristico-fiabesca, nuove strutture adottate dagli autori europei, pièce teatrali, metafore sceniche e molto altro ancora.

Con le poesie scritte dopo il 1957 e inaugurate dal volume L’aria fresca (Havā-ye tāzeh) la poetica di Shāmlu entra nella fase più estesa e feconda del proprio percorso evolutivo. In tale periodo il fastoso lirismo della poesia classica persiana dischiude le porte a una stagione ricca di esplorazioni formali e linguistiche. L’eco della sua protesta si espande oltre gli stretti confini storici e geopolitici dell’Iran degli anni Sessanta: il territorio della contestazione diviene il mondo intero e il suo obbiettivo di denuncia la misera, infelice e complessa condizione umana di ogni popolo e paese del mondo. Il lirismo si veste d’ira e fa scivolare in profondità ancestrali le inquietudini del Poeta. La paradossale coesistenza del pathos lirico-amoroso e del furore ideologico-civile è il filo conduttore delle raccolte pubblicate in questi anni mentre la società e la cultura persiana sono sottoposte a una patetica e forzata occidentalizzazione di facciata e soggette a un pericoloso e rapido colonialismo culturale che presto sfocerà in un profondo e lacerante smarrimento identitario.

La liricità connaturale al verso di Shāmlu, di stampo espressionistico e sperimentale, è cifra distintiva anche delle più intense opere pubblicate nel decennio consecutivo (1960-70) fino a raffinare, completare e talvolta superare quella caratterizzazione rigorosamente impegnata che già dagli esordi contraddistinse la sua vena poetica. È ancora l’amore ⎼ inteso come linfa vitale dell’esistenza ed elemento di coesione con l’intero universo ⎼ che unisce il poeta al resto dell’umanità, alla sua gente e alla sua musa ispiratrice, a cui dedicherà alcune tra le più toccanti liriche di tutta la sua produzione: «Io e te siamo l’impeto più alto /d’ogni fiamma, né sconfitta /conosceremo mai perché/l’amore ci corazza».

Sotto la feroce morsa della censura degli anni Settanta, che presto sfoceranno nella Rivoluzione iraniana del 1979, nascono altre significative sillogi tra cui, nel 1973, Abramo nel fuoco (Ebrāhim dar āthash). Una successiva e crescente fase di metamorfosi tematica e stilistica dal carattere acuto e tagliente, versata al contempo nell’opposta dinamica di militanza e intimismo, impulso alla ribellione e slancio introspettivo, fiorita in un lessico essenziale, tempestato di richiami onirici e visionari, caratterizza la sua scrittura. Con questa opera Shāmlu offre alla poesia contemporanea persiana un notevole esempio di fusione dei vari temi ed elementi formali sperimentati nel proprio sfaccettato excursus poetico, facendone, nonostante l’esiguo numero di testi contenuti al suo interno, emblematico fulcro e trasparente sintesi. Un percorso narrativo dove i principali tasselli della coesione ritmica e della sfera emotivo-spirituale si muovono in un linguaggio dalla penetrante risonanza armonica generando un’intensa comunicabilità espressiva: «Se invano è d’incanto la notte /perché mai così incanta la notte? /E chi mai così incanta la notte?». [#_ftn4]

D’ora in poi tale scrittura si avvicina alla purezza lirica tralasciando i confini limitativi del genere per incarnarsi nell’inconsolabile resoconto di una umanità inquieta testimone dei declini ideologici e spirituali del proprio tempo. E, paradossalmente, quando l’obiettivo non è più la produzione di una poetica atta a fungere da catalizzatore e stimolo per la formazione di una coscienza politica e civile, il nostro Poeta riesce a gettare il tanto desiderato ponte di comunicazione con la sua gente così raggiungendo le generazioni che in quel momento storico seguitavano a rincorrere le antiche chimere di progresso e di pace simbolo di tutto il Novecento persiano. Intanto, la grande tradizione mistica del Dodicesimo e Tredicesimo secolo, il mito e l’epica dei classici si fondono nell’esperienza poetica di Shāmlu e trovano la loro attualità nelle nuove riflessioni filosofiche europee degli anni Sessanta e Settanta: egli scopre e sposa l’interpretazione ideologica e filosofica della poesia moderna avvalendosi della metafora messianica del poeta-profeta: «Nella voragine dell’indolenza/ ti farà marcire/ la tua perpetua pazienza./ Tu sei come Giacobbe/ se ti fossi destato/messo prima in cammino/ ad ogni tuo passo/ come sulle orme tracciate da Elia/ sulla terra/ si sarebbero dispiegati/verdi prati,/e il soffio leggero/ della tua veste/ avrebbe partorito un tornado/ da spazzare via/ l’ordine effimero dei cespugli di spine».

Nel breve e fulmineo arco temporale in cui l’Iran apre le braccia a una spiazzante e complessa realtà storica con la Rivoluzione del 1979, Shāmlu pubblica le sue due ultime raccolte poetiche prima del lungo silenzio che farà seguito alla nascita dello stato teocratico della Repubblica islamica e alla conseguente epurazione culturale dei primi anni Ottanta. Pugnale nel vassoio (Deshné dar dis) e Le piccole canzoni di lontananza (Tarānehā-ye Kuchak-e ghorbat) sono opere in cui il tono elegiaco dell’Autore pone in risalto il mormorio lancinante dell’uomo in continua lotta con gli dèi e con i demoni della storia e il presagio di sconfitta degli eserciti che cercarono la resurrezione promessa.

Ahmad Shāmlu non potrà più pubblicare le sue poesie in patria per quasi due decenni. Continuerà a scrivere e lavorare nonostante le dure persecuzioni contro gli intellettuali, poeti e scrittori liberali e dichiaratamente laici, assistendo incredulo al grande esodo della élite culturale iraniana verso l’Europa e gli Stati Uniti. L’autore dedicherà gli ultimi vent’anni della sua vita a un’estenuante e mai rassegnata resistenza contro il potere politico, in concomitanza con la scoperta di una malattia incurabile che lo consumerà lentamente. Un grande coraggio unito a indomita fierezza caratterizza questa battaglia impari tra il bel gigante della poesia contemporanea persiana e i draghi infuocati della storia. Le sue poesie vengono tradotte e pubblicate in inglese, francese, tedesco, spagnolo, svedese, portoghese; prestigiose università di tutto il mondo lo invitano a insegnare e tenere conferenze sulla letteratura moderna persiana. Ma ogni volta, dopo momenti di grande onore e soddisfazione, egli torna alla sua amata terra, per la cui subalterna condizione di libertà politica e culturale si sente di dover continuare a scrivere e senza la quale non potrebbe riconoscersi. Le poesie di questo periodo rivendicano ancora una volta l’indissolubile legame tra il nostro Poeta e le proprie radici biografiche e letterarie, fedeli a quell’originaria supplica espressa agli esordi nel Canto notturno per i vicoli e in seguito mai più abbandonata: «Io sono, da lungo tempo, il cantore del sole/ compongo la mia poesia sull’orbita triste delle stelle cadenti / incenerite dalla troppa sete di luce…» [#_ftn5]

Ciò che determina la peculiarità distintiva della poetica di Ahmad Shāmlu è infatti il suo creativo e libero approccio all’inesauribile flessibilità della lingua persiana. Parrebbe quasi paradossale che un autore ideologicamente impegnato come lui – che insiste sull’urgenza e sulla funzionalità del messaggio sociale nell’arte – possa essere così interessato alle esplorazioni linguistiche e formali. L’universo della parola è ciò che l’Autore, con grande intuito e ostinazione, tenta per tutta la vita di investigare, scolpire e trascendere. In questa ricerca ogni singola parola è accuratamente scelta e collocata all’interno del testo in una posizione ben precisa, creando una struttura particolarmente flessibile e fragile di sequenze che sono collegate l’una all’altra secondo precisi calcoli compositivi, come evidenzia la tipica disposizione spezzata dei versi conferente più movimento visivo alla pagina e più agile resa musicale alla lettura. La voce del dissenso nelle sue ultime liriche si ferma allora a contemplare il percorso limpido del torrente impetuoso di una vita trascorsa a portare pietre di parole sulle spalle… Vita vissuta tutt’uno con la poesia, entrambe incise nell’epopea del mondo con l’indelebile inchiostro di una profetica missione: farsi «ricercatori della gioia/ nello scrigno dei vulcani» [#_ftn6] . Perché il nostro Poeta in cerca dell’amore universale – punto d’unione tra sé e l’universo – illumina con la sua «viva melodia» i tetri scenari dell’eterna lotta tra il bene e il male e magicamente fonde il pensiero e il vissuto in un accordo di arte ed esistenza intrecciate così indissolubilmente da non permetterne più distinzione. «La mia opera» ⎼ amava ripetere ⎼ «è la mia autobiografia. Credo fermamente che la poesia non sia la nostra impressione della vita, ma la vita stessa» [#_ftn7] .

Per la traduzione del testo originale persiano si è presa a riferimento la seguente edizione: A. Shāmlu, Majmu’e-ye āthār: she’r-hā, Negāh 2004. Per una lettura estesa in lingua italiana dell’opera dell’autore si rimanda invece a: A. Shāmlu, Se invano è bella la notte, a cura di E. Mohades, Edizioni Menabò 2016; Il cavallo selvaggio dell’ira, a cura di N. Norozi, Centro Essad Bey 2017; Abramo nel fuoco, a cura di F. Mardani e F. Occhetto, Ensemble 2021.


[1] [#_ftnref1] A. Shāmlu, Opera omnia: poesie “Majmu’e-ye āthār: she’r-hā”, Negāh, Tehran, 2004, pp. 49-61.

[2] [#_ftnref2] Primo ministro durante il regno di Mohammad Rezā Shāh Pahlavi, importante difensore dei diritti dell’Iran, fautore principale della nazionalizzazione del petrolio iraniano nel 1951; è stato deposto, processato e condannato in seguito al colpo di stato del 1953 in cui il regnante, con l’aiuto di Stati Uniti e Gran Bretagna, rivendicò la propria sovranità.

[3] [#_ftnref3] Partito comunista iraniano istituito nel 1941 e messo al bando nel 1953 con il colpo di stato contro Mossadeq. Dopo questo evento gran parte degli esponenti sono stati giustiziati dalla polizia segreta.

[4] [#_ftnref4] A. Shāmlu, Opera omnia: poesie “Majmu’e-ye āthār: she’r-hā”, pp.713-14.

[5] [#_ftnref5] A. Shāmlu, Opera omnia: poesie “Majmu’e-ye āsār: she’r-hā”, p. 248.

[6] [#_ftnref6] A. Shāmlu, Opera omnia: poesie “Majmu’e-ye āthār: she’r-hā”, p. 783.

[7] [#_ftnref7] A. Shāmlu, Opera omnia: poesie “Majmu’e-ye āthār: she’r-hā”, p. 3.

 

 

 

 

Io e te…

Da «Āydā nello specchio» (1964)

Io e te siamo una bocca sola

che le più belle canzoni

canta a piena voce

Io e te siamo quegli occhi

che in ogni istante

rinnovano il mondo

con uno sguardo

Siamo odio

per ogni cosa che ci ostacola

per ogni cosa che ci imprigiona

per ogni cosa che ci costringe

a voltarci indietro

una temeraria mano

che cancella il fato.

Io e te siamo l’impeto più alto

d’ogni fiamma, né sconfitta

conosceremo mai perché

l’amore ci corazza.

E la rondine che fa il nido sul nostro rifugio

col suo frenetico andirivieni

riempie

la casa

d’un Dio perduto.

 

 

 

 

Notturno

Da: «Abramo nel fuoco» (1973)

Un uomo si aggrappò al cielo

il suo sangue era un grido

la sua bocca serrata.

Uno sfregio sanguinante

sull’incredulo volto celeste! ⎼

Così sono

gli innamorati.

Alle sponde della notte

pianta la tua tenda,

ma quando sale la luna

sfila

la spada

dalla guaina

e posala

accanto a te.

 

 

 

من و تو

من و تو یکی دهانیم
که با همه آوازش
به زیباتر سرودی خواناست.

من و تو یکی دیدگانیم
که دنیا را هر دَم
در منظرِ خویش
تازه‌تر می‌سازد.

نفرتی
از هرآنچه بازِمان دارد
از هرآنچه محصورِمان کند
از هرآنچه واداردِمان
که به دنبال بنگریم، ــ

دستی
که خطی گستاخ به باطل می‌کشد.

من و تو یکی شوریم
از هر شعله‌یی برتر،
که هیچگاه شکست را بر ما چیرگی نیست
چرا که از عشق
رویینه‌تنیم.

و پرستویی که در سرْپناهِ ما آشیان کرده است
با آمدشدنی شتابناک
خانه را
از خدایی گم‌شده
لبریز می‌کند.

 

 

 

 

شبانه

مردی چنگ در آسمان افکند،

هنگامی که خونش فریاد و

دهانش بسته بود.

خنجی خونین

بر چهره ی ناباور آبی!-

عاشقان

چنین اند.

کنار شب

خیمه برافراز،

اما چون ماه برآید

شمشیر

از نیام

برآر

و در کنارت

بگذار.