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Elena Valentini

Professoressa associata

Dipartimento di Scienze Giuridiche

Settore scientifico disciplinare: IUS/16 DIRITTO PROCESSUALE PENALE

Temi di ricerca

Parole chiave: intrecci cautela e merito durata della custodia cautelare pubblicità dibattimentale detenzione amministrativa dello straniero intercettazioni processo penale a carico dello straniero irregolare

1. Il principio di pubblicità e le riprese audiovisive del dibattimento.

2. Gli intrecci tra la procedura principale e la procedura incidentale de libertate.

3. Principio di proporzionalità e durata della custodia in carcere.

4. Il principio della domanda cautelare.

5. Perizia e processo penale



1. Il principio di pubblicità e le riprese audiovisive del dibattimento.

Il principio di pubblicità dibattimentale, nato quale strumento di controllo sull'amministrazione della giustizia, con il tempo ha perso gran parte della sua originaria rilevanza di garanzia anche soggettiva, tanto che l'imputato può oggi considerare l'assenza di pubblicità caratteristica di determinati riti speciali (in primis il giudizio abbreviato) quale mediato effetto premiale, scegliendo di evitare il dibattimento proprio per tutelare maggiore riservatezza nella celebrazione del processo a proprio carico. Alla luce di questa constatazione, sembra oggi importante riconsiderare i rapporti tra riservatezza (delle parti private come pure dei testimoni) e pubblicità dibattimentale, onde valutare se la soluzione adottata dal codice realizzi un equo compromesso, specie considerando che la pubblicità processuale si lega indissolubilmente al diritto di cronaca (attiva e passiva).

Nell'ambito di tale ricerca, che si concentra in primis sull'analisi del dibattimento a porte chiuse (cui peraltro non corrisponde un'adeguata tutela sul versante dei limiti alla pubblicazione degli atti del processo, comunque divulgabili nel loro contenuto), merita approfondimento la disciplina delle riprese audiovisive del dibattimento, onde cogliere eventuali profili di perfettibilità dell'art. 147 disp. att. c.p.p. In particolare, oltre alla necessità di sanare un evidente difetto di coordinamento con l'art. 472 c.p.p., sembra necessario interrogarsi sull'opportunità di mantenere la distinzione tra processi oggetto di rilevante interesse sociale e processi che non sono oggetto di tale tipo di interesse. Si tratta infatti di una distinzione contraddittoria, posto che l'interesse (che meglio sarebbe stato definire «pubblico» piuttosto che «sociale» come fa l'art. 147 disp. att.) alla conoscenza del processo dovrebbe caratterizzare, per definizione, ogni dibattimento penale.

  

2. Gli intrecci tra la procedura principale e la procedura incidentale de libertate.

Questo filone di ricerca si concentra sui recenti sviluppi nei rapporti tra procedimento principale e procedimento di merito; i rapporti tra le due diverse procedure, caratterizzati dall'operatività del cosiddetto principio di assorbimento, hanno sempre stimolato il dibattito attorno all'individuazione delle decisioni, emesse in seno alla procedura principale, idonee ad assorbire la valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; emblematica, in proposito, la vicenda del decreto che dispone il giudizio, dato che a più riprese (in conseguenza delle successive modifiche che hanno investito la regola di giudizio dell'udienza preliminare) è stata riproposta l'operatività di una preclusione in ordine alla valutazione ex art. 273 c.p.p. una volta deciso l'approdo al dibattimento.

Se questo è un fronte tradizionale del dibattito (che ha peraltro trovato una risposta ormai definitiva da parte delle Sezioni unite), con l'introduzione della cosiddetta «richiesta coatta di imputazione» la questione si pone anche nella prospettiva inversa: il trend, inaugurato con l'innesto dell'art. 405 comma 1 bis, si è irrobustito con l'introduzione del giudizio immediato custodiale ad opera del legislatore del 2008. Oggi la ricerca si colora dunque di implicazioni inedite, specie alla luce della declaratoria di illegittimità costituzionale che ha espunto dall'ordinamento l'art. 405, comma 1 bis, c.p.p., in particolare per cogliere in che modo la pronuncia della Corte costituzionale possa riverberare i propri effetti sulla disciplina della nuova forma di giudizio immediato.

  

3. Principio di proporzionalità e durata della custodia in carcere.

Questo filone di ricerca intende approfondire l'operatività del principio di proporzionalità con specifico riferimento alla durata della custodia cautelare in carcere. In particolare, si tratta di chiarire se la previsione normativa di limiti di durata massima della custodia cautelare in carcere escluda la possibilità, per il giudice, di valutare discrezionalmente la proporzionalità della restrizione della libertà personale (valutata con riferimento alla sua estensione cronologica) rispetto alla «gravità del fatto e l'entità della pena che sia stata o si ritiene possa essere irrogata» (così si esprime l'art. 275 comma 2 c.p.p.). A ben vedere, la previsione della caducazione ex lege della misura cautelare per sforamento dei limiti di durata massima della custodia non deve escludere la possibilità, per il giudice, di revocare il presidio cautelare anche prima dello spirare dei termini: il riconoscimento di tale forma di discrezionalità, che peraltro opera in bonam partem, deve infatti ritenersi riconducibile al principio del favor libertatis.

  

4. Il principio della domanda cautelare.

Al di là delle ragioni di carattere sistematico, il motivo anche concreto della rilevanza di uno studio sulla domanda cautelare emerge solo che si pensi agli effetti pragmatici, concreti, dell'esercizio dell'azione cautelare: l'azione cautelare innesca un meccanismo che può portare agli stessi effetti cui tende l'azione penale. Anzi, molto spesso è alla sola azione cautelare che consegue la restrizione della libertà personale dell'imputato. I parallelismi tra questi due necessari atti d'impulso del pubblico ministero sorgono, quindi, spontanei (anche perché va trascurato che, stando alla direttiva n. 36 della legge delega, di fatto rimasta sulla carta, la richiesta di applicazione di una misura cautelare avrebbe dovuto determinare l'acquisizione dello status di imputato in capo al soggetto sottoposto a procedimento penale). Il parallelismo con l'azione penale suggerisce di verificare l'applicabilità di alcune categorie tradizionalmente riferite a tale atto anche all'azione cautelare, onde comprendere se anche questa sia declinabile in termini di obbligatorietà e di irretrattabilità. Inoltre, lo studio della domanda cautelare è particolarmente fecondo poiché impone all'interprete la necessità di ragionare sulla possibilità di individuare o meno dei requisiti necessari della richiesta dell'art. 291 c.p.p., pur nel totale silenzio serbato dal legislatore.

5. La perizia.

Il tema di ricerca è quantomai attuale, specie alla luce della sempre più pesante indicenza degli accertamenti peritali sull'accertamento processuale. L'assenza di studi monografici in tema (con particolare riferimento ai profili dinamici della disciplina dettata dal codice di rito) rendono particolarmente proficui l'approfondimento di questo oggetto d'indagine.