Habitat collettivi e femminismi
Collage di carta, collage digitali: concetti di architettura a confronto
Rivelare il non visibile: spazi e allestimenti
Sculture in calcestruzzo dal Novecento a oggi
Louis I. Kahn, Towards the Zero Degree of Concrete, 1960-1974, ricerca svolta nel quadro del progetto: The surfaces of cement and reinforced concrete. A history of the formworks and processing of the surface, 1870-2008, EPFL, Losanna. Progetto finanziato dall'European Research Council
Le Corbusier: Beton Brut and Ineffable Space (1940-1965). Surface Materials and Psychophysiology of Vision, ricerca svolta nel quadro del progetto: The surfaces of cement and reinforced concrete. A history of the formworks and processing of the surface, 1870-2008, EPFL, Losanna. Progetto finanziato dall'European Research Council
Le Corbusier et la technique du canon à ciment, ricerca svolta nel quadro della borsa di studio messa a disposizione dalla Fondation Le Corbusier di Parigi
Le Corbusier e la superficie, dal rivestimento d'intonaco al « béton brut », ricerca svolta nel quadro deldottorato di eccellenza in Storia dell'Architettura e della Città, Scienza delle Arti, Restauro, SSAV, Venezia
PERCORSO DI RICERCA
L’inzio delle mie ricerche sulla storia dell’architettura è avvenuto nell’ambito della scuola in « Histoire et conservation du patrimoine architectural et environnemental », fondata da Manfredo Tafuri. Per la discussione della tesi finale ho scelto di compiere una ricerca sulle architetture di Giuseppe Samonà costruite per conto dell’INAIL nell’Italia dell’immediato secondo dopoguerra, in modo da poter verificare le implicazioni nel processo di progetto del ruolo della committenza pubblica. La scelta del tema si inquadrava nella linea culturale tracciata da Tafuri e ancora operante quando ho discusso la tesi, per quanto già in corso di riconsiderazione alla luce di una maggiore attenzione prestata agli aspetti costruttivi delle opere che lo stesso Tafuri aveva incoraggiato nel fondare quella scuole. Per certi versi la mia tesi su Samonà rifletteva il dibattito in corso a Venezia sulla eredità di Tafuri e sui modi del suo superamento. Quella tesi ha significato per me l’inizio di un confronto scientifico con il metodo storico, e la necessità di fondare ogni argomentazione sullo studio di tutti i documenti d’archivio e delle opere così come costruite. Inoltre, il fatto che la scuola avesse un indirizzo verso il restauro e la conservazione, ha comportato uno studio delle opere di Samonà che comprendeva anche gli interventi di manutenzione dopo il loro completamento.
È sempre a Venezia, ma nel quadro della scuola di dottorato in Storia dell’Architettura e della Città, Scienza delle Arti e Restauro, che ho conseguito il mio dottorato in storia dell’architettura, sotto la guida di Marco De Michelis, con il tema “Le Corbusier e la superficie, dal rivestimento d’intonaco al Béton Brut”. Lo studio dell’opera di Le Corbusier è avvenuto attraverso una indagine sistematica di tutti i documenti d’archivio relativi a una questione scelta per contemplare al tempo stesso i miei interessi per l’arte, che avevo già maturato nel corso degli studi, e le mie competenze tecniche affinatesi con i corsi scientifici. Mentre quei corsi scientifici erano finalizzati alla formazione di architetti specializzati nel restauro dei monumenti storici, io ho deciso di sfruttare quelle competenze per indagare in profondità un aspetto sino ad allora mai studiato in termini storici e tecnici secondo la prospettiva da me proposta nella tesi di dottorato. Quindi la superficie delle architetture di Le Corbusier quale valore artistico e quale risultato di tecniche e materiali è diventata il soggetto perfetto per arrivare alla dimostrazione della possibilità di una storia dell’architettura che contemplasse al tempo stesso valori artistici e questioni tecniche. Dal mio punto di vista, la tesi di dottorato dimostrava a me stessa in modo definitivo la ricchezza di un transfer, nella storia dell’architettura, del metodo di analisi e delle conoscenze tecniche che si erano cristallizzate nella disciplina del restauro in cui lo stesso Tafuri, alla fine della sua vita, tendeva a rifuguarsi.
Quel transfert di metodo ha continuato a orientare le mie ricerche per molti anni, anche in conseguenza del mio trasferimento da Venezia a Losanna, presso l’EPFL, quindi in un clima culturale politecnico segnato da un’attenzione particolare alla costruzione e ai materiali. In quel contesto ho potutto sviluppare al massimo le mie competenze, i miei interessi e il metodo appreso, che è stato applicato, verificato e sfruttato per continuare lo studio dell’opera di Le Corbusier e di quella di altri importanti architetti del XX secolo. Negli anni trascorsi all’EPFL ho proseguito le ricerche di archivio sull’opera di Le Corbusier non più limitandomi alle questione delle superfici. Quindi ho trascorso sei mesi negli archivi di Kahn a Filadelfia, ho visitato tutte le opere di Kahn negli Stati Uniti, in India e in Bangladesh, e ho scritto il saggio Louis I. Kahn, Towards the zero degree of concrete, 1960-1974 (2014). Se i risultati delle ricerche su Samonà e quelli della tesi di dottorato costituivano delle dimostrazioni di un metodo di analisi storica derivato dall’ambito della scuola in « Storia e Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali », anche se condotte con gradi di approfondimento diversi, il saggio su Kahn ha significato il raggiungimento di un punto estremo nel consegumento di risultati scientifici nell’ambito della storia dell’architettura conseguibili secondo la traiettoria prefissatami con quel transfert di competenze, dal restauro alla storia. Porprio perché nello scrivere il saggio su Kahn ho esaminato tutti i documenti di cantiere, i devis, i carteggi con le imprese edili, oltre a verficare di persona nelle opere gli esiti concreti delle decisioni tecniche prese da Kahn e dai suoi collaboratori, sono riuscita a portare quel metodo a un livello tale che ho ritenuto costituisse per me il punto di arrivo e quindi comportasse anche una necessaria svolta critica negli obbiettivi delle mie ricerche storiche. La “crisi” che ho attraversato dopo quel libro - cioè gli interrogativi che si sono dischiusi a seguito di una sorta di esaurimento delle potenzialità di analisi secondo quel metodo e quei temi -, necessariamente ponevano l’interrogativo sugli orientamenti da seguire nella mia ricerca storica, negli anni a venire. Questo non significa che quel metodo e quegli obbiettivi non siano più validi. Le mie ricerche e le mie pubblicazioni hanno continuato a nutrirsi di quel dispositivo ormai a lungo sperimentato, producendo altri risultati (e altri ancora ne verranno, a seguito dei molti materiali di archivio accumulati nel corso degli anni). Tuttavia era per me necessario interrogare la possibilità di quel metodo di aprirsi ad altri temi che da tempo avevo individuato come affini ai miei interessi. Si è quindi verificato una sorta di conflitto tra il metodo così come l’avevo sviluppato sino a portarlo al limite nel caso del libro su Kahn, e il desiderio di dedicarmi a temi di ricerca che non potevano essere affrontati con le strategie messe a punto sino a quel momento.
È in questo frangente che si profila una sorta di fase di transizione in cui quel metodo collaudato nel caso di certi temi viene sperimentato nell’arte, e in particolare nella scultura per il modo in cui questa viene “costruita” con processi e materiali non così diversi da quelli dell’architettura. I vari articoli e libri dedicati alla scultura che ho pubblicato dal 2015 a oggi nascono proprio come via d’uscita possibile entro un metodo storiografico definito, sperimentato e messo a punto nell’ambito delle questioni della costruzione in architettura. Quasi si trattasse di una conseguenza logica del metodo e degli interessi personali, nei saggi che ho scritto sull’arte, l’architettura è comunque sempre presente, sia nella forma del metodo di ricerca storica, che mi ha condotto a privilegiare i processi di costruzione dell’opera d’arte, sia più direttamente nella discussione stessa delle architetture che ho messo accanto alle opere d’arte perché accumunate da analoghi processi creativi e costruttivi.
Il passo che mi appresto a fare negli sviluppi ultimi della mia ricerca storica probabilmente mi condurrà a un affrancamento dai temi che sinora hanno segnato la mia principale produzione di articoli e saggi. Questo non significa che le mie ricerche non avranno più relazioni con i temi sinora studiati. Tuttavia l’esperienza maturata negli studi iniziali da Samonà a Kahn, e poi il confronto con l’arte per sperimentare l’efficacia di un metodo storico, all’origine maturato nella discipilina del restauro dell’architettura e poi verificato nella storia dell’architettura, sono giunti a un punto tale da consentirmi di intraprendere un’altra tappa nel percorso di studiosa di storia dell’architettura che sia ancora più in sintonia con le preoccupazioni che adesso ho identificato nelle questioni dell’habitat contemporaneo alternativo e del potenziale creativo dei fenomeni del femminismo (di quello storico e di quello contemporaneo).