A partire dal secolo XI fino alla formazione degli Stati
moderni, la Chiesa è l'unica a legiferare sul matrimonio. Il secolo
dei Lumi segnerà la fine di tale monopolio e la divaricazione dei
modelli matrimoniali, civile e canonico. La ricerca si muove lungo
due direttrici: da un lato ripercorrendo criticamente quelle tappe
che, nell'età della Controriforma, hanno condotto alla
giuridicizzazione del matrimonio culminata nella rigida
architettura disegnata dalla codificazione canonica del 1917;
dall'altro proponendo un ripensamento dell'insegnamento del
Concilio Vaticano II e delle strutture, più propriamente
giuridiche, che la codificazione latina del 1983 ha disegnato in
materia matrimoniale. Su queste basi la ricerca si propone di
elaborare nuove ipotesi ricostruttive e di indagare le possibili
prospettive del matrimonio canonico, interrogandosi sulla stessa
sopravvivenza dell'istituto matrimoniale e dei divieti dettati dal
tabù del sangue negli ordinamenti a base religiosa.
Tale pista di indagine apre al più vasto tema del sangue e delle
sue accezioni antropologiche e giuridiche dentro allo ius
Ecclesiae. Non solo dunque il tema che dal matrimonio si
allarga ad indagare i divieti basati sul vincolo del sangue, ma
anche il recupero di tutto il retroterra simbolico che sostanzia
sia il sacramento eucaristico sia il rispetto per l'intangibilità
della persona ed il conseguente divieto di versare sangue umano. Il
diritto, la liturgia e la teologia divengono così tasselli di un
grande mosaico nel quale prende forma la cultura della societas
christiana, che innerva modelli di comportamento
incidenti fin nei gesti della quotidianità e popola l'affresco
della Ecclesia triumphans delle reliquie e del sangue dei
martiri.
La razionalizzazione e la personalizzazione progressiva promosse
dalla Chiesa nell'interpretazione sia della realtà
psico-fisica del matrimonio sia del retroterra antropologico
concernente i tabù del sangue hanno costretto il diritto canonico a
fare i conti con l'incidenza delle nuove scienze - soprattutto con
quelle della psiche - emerse nel corso del Novecento. L'indagine
sull'influsso esercitato per un verso dalle tecnoscienze e per
altro verso dalla psicanalisi sullo ius Ecclesiae apre una
nuova pista d'indagine che si vuole perseguire.
Proprio il confine sottile che segna l'incidenza delle scienze
entro il recinto del diritto, e del diritto canonico matrimoniale
in specie, fa emergere come, giorno dopo giorno, sia proprio il
dato giurisprudenziale ad accogliere varianze significative
nell'ordinamento giuridico. Per quanto riguarda, in questa
prospettiva, il matrimonio canonico, è del tutto evidente come
l'esame della giurisprudenza rotale sviluppatasi nel corso del
Novecento e dei primi anni del terzo millennio, rivesta
un'importanza capitale per disegnare l'evoluzione di un diritto che
si è progressivamente aperto alle istanze introdotte da epistemi
scientifiche del tutto spurie rispetto alle coordinate
metagiuridiche sulle quali appoggia il diritto della Chiesa.
In realtà, e a ben vedere, ci si accorge di come la Chiesa
stessa viva oramai in una temperie culturale circostante dominata
da un ritorno al paganesimo trainato dall'evoluzione tecnica ma,
più ancora, dai sistemi di comunicazione. Non è certo un caso che i
temi oggi dominanti nella scienza canonistica mostrino delle
ricorsività sorprendenti con quelli dibattuti al
tempo della Chiesa nascente.
Più in generale, il tema di un ritorno alle origini tocca non
solo il cristianesimo, ma anche le altre confessioni religiose, in
specie quelle più dogmaticamente strutturate: vale a dire
l'ebraismo e la religione musulmana. Questa pista di
indagine si sdoppia in due direzioni ben distinte: la
prima riguarda lo spazio di sopravvivenza del sacro e soprattutto
le spinte fondamentaliste che in esso si affacciano; la seconda
concerne le modalità con le quali le entità statuali, esaurito
il processo di secolarizzazione, interpreteranno il diffuso bisogno
del sacro che ancora si avverte.
Il problema centrale diventa, di prospettiva, un problema
narrativo: ed è interessante andare a ricercare le ricorsività che
nelle letterature si rinvengono allorquando trattano - come avviene
negli universi poetici, ad esempio - dei temi connessi alla
condizione umana ed al suo perpetuo interrogarsi in ordine alle
ragioni ultime della storia. Così, allo stesso modo, i diritti a
base religiosa non possono abbandonare al dominio del diritto
privato le decisioni riguardanti il mistero dell'esistenza che,
nella loro visione, assumono sempre una dimensione collettiva.
In questa prospettiva, dunque, essi hanno saputo fondare una
mirabile composizione tra la dimensione pubblica e quella privata.
Se oggi la parabola del principio di eguaglianza sembra essere
arrivata, nei diritti statuali, al massimo della sua espansione,
ciò che invece sembra interrogare il nostro universo giuridico nel
prossimo futuro sta insito nella domanda di tutela delle identità e
delle diversità, insidiate da una omologazione ormai
dominante.
Di qui un rinnovato interesse per alcuni principi tipici
dell'universo canonistico, primo fra tutti quello della
inaequalitas. La diversità funzionale di ruoli ai quali
ogni soggetto di diritto dell'ordinamento è chiamato, fonda
l'ineguaglianza dei suoi membri, cui va nondimeno riconosciuta una
pari e impreteribile dignità.
Questa ispirazione si riflette in molti aspetti peculiari, e in
modo non secondario sul principio di responsabilità. Nei
diritti statuali esso tende ad aprirsi ad una nozione lata di
responsabilità oggettiva; nello ius Ecclesiae esso
non rinuncia a manifestarsi quale espressione di un
diritto dove l'uomo non può cessare di essere individuato come il
dominus delle proprie azioni.
La ricerca, che prosegue sul terreno di indagine individuato
dallo scrivente fin dallo scorso anno, ha per oggetto il matrimonio
canonico, la sua attualità e la sua evoluzione nella realtà
contemporanea, dominata da modelli di organizzazione sociale e
familiare assai diversi da quelli proposti dalla tradizione
cristiana. La divaricazione tra esercizio della sessualità umana e
procreatica porta al cambiamento netto, nella percezione generale
di istituti, quali quelli del matrimonio e della famiglia, sia nel
campo dei diritti secolari che nel campo dei diritti a base
religiosa. Per quanto concerne lo specifico del diritto canonico,
diviene urgente verificare il grado di resistenza delle categorie
normative che informano l'istituto del matrimonio canonico ai
valori dell'indissolubilità e della procreazione. Si può ancora
parlare di fini e proprietà del matrimonio come se ne è parlato
sino ad ora? La teoria degli impedimenti o la casistica dei vizi
del consenso risponde ancora alle esigenze, soggettive o
collettive, di una società complessa? Qual è oggi il rapporto fra
matrimonium in fieri e matrimonium in facto esse,
e cioè, per traslato, tra rapporto di coppia e famiglia alla quale
esso dovrebbe dare origine? Le domande che sono sottese al disagio
di civiltà che stiamo vivendo (e che concernono ormai il quotidiano
di tutti) implicano una ridefinizione del corpo, della sessualità,
dei legami di parentela e filiazione. Queste problematiche
investono anche gli altri ordinamenti giuridici a base religiosa
soprattutto per quel che concerne la regolamentazione del sangue e
degli impedimenti che da essa derivano. Il tema del sangue è dunque
centrale per orientare una larga parte della riflessione in materia
matrimoniale. Queste problematiche tendono ad investire temi
collegati: il sistema successorio e le previsioni normative che
riguardano le moderne policy sia degli Stati che della
Chiesa cattolica. Come rispondono il diritto matrimoniale canonico,
ebraico ed islamico? Con quale strumentazione giuridica e
metagiuridica, con quale capacità di riattualizzare il loro nucleo
irrinunciabile e di declinarlo rispetto a questi nuovi bisogni e
disagi? La ricerca, che non può prescindere da uno studio
preliminare interdisciplinare, si appunterà poi su un ripensamento
complessivo delle direttrici propriamente giuridiche del matrimonio
canonico così come delineato dalla nuova codificazione del 1983 e
dall'evoluzione della giurisprudenza degli ultimi quindici anni. Il
punto d'arrivo è rappresentato da una sintesi che apra ad una
comprensione originale di questo comparto delicato e fondamentale
del diritto della Chiesa da rappresentare in un lavoro monografico
appositamente dedicato. Sul versante delle realtà secolari,
attraverso la raccolta e lo studio dei più rilevanti contributi
della dottrina, della giurisprudenza di merito e di legittimità
nonché delle prospettive de iure condendo, troverà spazio
un ripensamento complessivo della normativa (per il vero
frammentaria e non poco confusa) che regola e disciplina - in
Italia - la materia del matrimonio religioso con effetti
civili.
Proprio partendo dal peso che i tabù del sangue hanno
nell'economia del modello matrimoniale canonico, prende corpo una
linea di riflessione che intende indagare in termini più
generali la centralità della nozione di "sangue" dentro
l'ordinamento della Chiesa. Tale immagine - che celebra proprio nel
sangue del sacrificio di Cristo la propria fondazione eucaristica -
si staglia in primo piano nella edificazione di tutto l'edificio
cristiano. La nuova alleanza tra Dio e gli uomini celebrata
sull'altare del sacrificio implica, sin dal tempo delle origini
della Chiesa, il rifiuto della guerra e della violenza: rifiuto che
si incarna, per quel che riguarda nello specifico il ceto
clericale, nel divieto di impugnare le armi e nella impossibilità
di partecipare ai processi che implicano l'irrogazione della pena
capitale. Ma è tutta un'antropologia, normata dal diritto, che si
disegna sui divieti segnati dal sangue: dalle prescrizioni
alimentari all'impurità della donna nel suo rapporto con la
ritualità, dalle liturgie del sangue alla incontaminazione che deve
caratterizzare i luoghi sacri. Da ultimo, come noto, il diritto
canonico investe anche l'ordine dei rapporti tra la terra e il
cielo: ed è qui che il sangue attinge la sua dimensione gloriosa
nel momento della resurrezione e nel trionfo dei santi e dei
martiri che si staglia oltre la soglia dell'ultimo
giorno.
L'emancipazione progressiva dal regno dell'alchimia e della
magia perseguita dalla Chiesa proprio per rendere credibile
il suo rapporto con le realtà oltremondane apre all'ingresso
delle nuove scienze dentro il recinto segnato dal diritto.
Attraverso l'interpretazione del sangue e dei suoi tabù - non
ultimo quello che colora di rosso martiri e santi - sono le
scienze mediche e fisiche a fare il loro ingresso, assai
contrastato in passato, nell'universo culturale e giuridico tipico
del diritto canonico. Questo dato di realtà si è esteso assai
rapidamente fino ad investire tutta la materia matrimoniale toccata
in maniera non secondaria nella sua evoluzione, sia
giurisprudenziale che normativa, dai progressi della scienza medica
e dall'avvenuta affermazione delle scienze della psiche. Fino a
partire dagli anni Trenta una lunga teoria di pronunce
giurisprudenziali hanno scavato nella direzione di rendere
possibile la cittadinanza della psichiatria e della psicologia nei
ragionamenti giudiziari volti a definire la validità o non di un
determinato matrimonio canonico. Questo indirizzo ha subito una
notevolissima accelerazione dopo gli anni Sessanta tale da
determinare mutamenti profondi nell'interpretazione dello ius
Ecclesiae aprendo così la strada a quelle trasformazioni
segnate dal Concilio Vaticano II e raccolte, in una nuova
impostazione personalista, in tutto il nuovo Codice di Diritto
Canonico del 1983 e soprattutto nel canone 1095. Tale direzione
d'indagine costituisce dunque un ulteriore tassello teso ad
arricchire l'indagine relativa sia al matrimonio nell'età della
tecnica sia al quadro interpretativo di un'antropologia cristiana,
legata al sangue ed ai suoi significati simbolici, che sta mutando
di segno nel tempo presente.
La stella polare di riferimento per chi voglia ricostruire un
profilo credibile del percorso suindicato, non può solo limitarsi
all'esame analitico di qualche sentenza di un tribunale
ecclesiastico: egli deve prendere in considerazione in un
arco lungo di tempo la parabola disegnata dal tribunale di
riferimento che, nella massima competenza matrimoniale, non può che
essere individuato nel Tribunale della Rota romana. Esaminando le
sentenze emanate già nei primi decenni del Novecento ci si
avvede dello spostamento di un asse di riflessione che comincia a
muoversi da un luogo eminentemente teologico ad una
sensibilità antropologica via via più accentuata: fino ad
accogliere progressivamente, ai fini della nullità, disagi di
ordine psicanalitico e medico tali da impedire il corretto
dispiegarsi del matrimonio in facto esse. Lo stesso
magistero pontificio, nel secondo dopoguerra, incentiva l'utilizzo
peritale degli strumenti elaborati dalla psicanalisi e dalla
psicologia, dando così origine ad un nuovo allargamento
dell'indirizzo della Rota. Il tema diviene sensibile a partire
dagli anni Sessanta: anni nei quali le scienze della psiche umana
imboccano indirizzi spesso incomponibili con la visione tipica
dell'antropologia cristiana. Questa discrepanza provoca uno
sbilanciamento del sistema in senso divorzista che ha sollecitato
ulteriori interventi del magistero pontificio in chiave
restrittiva. Lo studio di questo tema diventa paradigmatico
rispetto alla tendenziale inconciliabilità tra la tradizione
teologica della Chiesa e l'evoluzione contemporanea delle
tecnoscienze.
D'altronde questo assunto investe considererazioni di
profilo assai generale, trovandosi la Chiesa a dover fare i conti
con l'affermazione di una civiltà che non solo non riconosce il
sacro come principio fondante ma che tende a liquidare le vecchie
culture di provenienza attraverso un oblio promosso e interpretato
dai sistemi di comunicazione di massa. Per la prima volta, dunque,
dal suo apparire nella storia, la Chiesa torna a fare i conti con
un paganesimo aggressivo che la costringe a mettere in discussione
alcuni pilastri del suo procedere antropologico non meno che
istituzionale. I temi che toccano il celibato ecclesiastico,
la questione femminile e, più in generale, la famiglia generata dal
matrimonio rappresentano solo degli avamposti sui quali la Chiesa
si trova oggi ad affermare in maniera contrastata la propria
visione del mondo. Ad essa si pone un'urgenza educativa, come la
catechesi si poneva agli esordi, dal momento che le domande intorno
alla vita e alla sua trasmissione non meno che quelle intorno alla
cessazione della vita e all'eutanasia rappresentano solo ambiti di
una visione più ampia che si sta affermando al di fuori di una
percezione religiosa. La Chiesa non potrà che interpretare in
continuità la sua storia ricollegandosi ad un tempo, quello delle
origini, al quale l'età della tecnica sembra volerla
ricondurre.
Emerge in maniera sempre più chiara il distinguo tra chi
propugna una visione religiosa del mondo e chi la esclude: e per
questa ragione la ricerca di un dialogo interconfessionale ed
interreligioso potrà conoscere nel prossimo futuro nuovi sviluppi.
Vi è dunque in prospettiva un orizzonte che abbraccia un
destino condivisibile tra le famiglie cristiane, l'ebraismo e la
religione musulmana. Il dato comune nella presente fase storica
è il manifestarsi con forza in queste fenomenologie
religiose di una tendenza fondamentalista volta a marcare il
profilo identitario che il processo di globalizzazione in atto
tende viceversa a sbiadire. D'altro canto le entità statuali, in
una secolarizzazione ormai conclusa, hanno preso definitivamente il
posto occupato dalle religioni nei processi educativi e di
welfare ponendosi così il problema di quali spazi gli
Stati e gli ordinamenti sovranazionali, nella loro
ispirazione laica, possano ancora riservare alle esplicazioni del
sacro.
In questa ottica va notato come il bisogno di affrontare la
dimensione misterica dell'uomo sia stato evaso, nella civiltà
postmoderna, anche dalla letteratura e dalla poesia; ed è in questo
senso che risulta assai interessante lo studio del collegamento tra
poesia e diritto così come affiora nel mondo ideale tracciato
da Giacomo Leopardi. In quell'ispirazione lirica sono già inscritte
le sorti del diritto pubblico e l'estensione di una sfera
privatistica che solo nella contemporaneità ultima sembra toccare
il suo apice. Già in questo senso la figura di Giuseppe Caputo,
Maestro dello scrivente, aveva fornito degli spunti di
straordinario rilievo che non possono esser lasciati cadere. La
sollecitazione verso una nuova espansione del comparto privatistico
non può tuttavia assorbire la valenza normativa di quelle "zone di
grigio" chiamate oggi a regolamentare le fasi di inizio e fine
della vita. I diritti a base religiosa non possono infatti
abbandonare al dominio del diritto privato le decisioni riguardanti
il mistero dell'esistenza che, nella loro visione, assumono sempre
una dimensione collettiva.
I confini tradizionali tra diritto pubblico e diritto privato
sono stati ormai valicati nel contesto dei diritti secolari, e si
assiste ad una tendenziale, forte espansione della sfera
privatistica, più versata ad interpretare sia la libera volizione
soggettiva con il corredo dei suoi diritti, sia la progressiva
deregulation imposta da una produzione e circolazione delle merci
sempre più invasiva e globale. Viceversa, i diritti a base
religiosa, ed il canonico in particolare, si segnalano, nella loro
storia millenaria non meno che nella loro vigente positività, come
ordinamenti che hanno saputo fondare e cogliere una mirabile
composizione tra la dimensione pubblica e quella privata:
consentendo uno sviluppo armonico di ogni singola personalità
chiamata ad esprimersi compiutamente in una storia collettiva e in
un contesto comunitario.
In questa prospettiva, mentre si può affermare che i diritti
secolari si sono evoluti – ed oggi evolvono traendo le conseguenze
ultime e radicali dai loro principi ispiratori – sul principio di
eguaglianza, i diritti a base religiosa in generale (e quello
canonico in specie) poggiano le loro fondamenta sull'idea di
inaequalitas: cioè di un ontologico ed irriducibile
principio di individuazione che caratterizza ogni uomo, chiamato ad
esistenza per occupare uno spazio non fungibile dentro ad
una “economia della salvezza”. La conseguente diversità di
ruoli ai quali ogni soggetto di diritto dell'ordinamento è
chiamato, fonda l'ineguaglianza dei suoi membri, cui va nondimeno
riconosciuta una pari e impreteribile dignità. Tutto ciò fonda un
modello giuridico/istituzionale non lontanamente riconducibile a
quello tipico delle organizzazioni statuali, basato non sul
principio di eguaglianza, ma sul riconoscimento di una diversità
funzionale che si riverbera sulla vita e sui destini di
ciascun fedele rendendone unica la sua impronta.
Questa ispirazione si riflette in molti aspetti peculiari del
diritto canonico, e in modo non secondario sul principio di
responsabilità. Esso può essere traguardato oggi come una spia
sensibile e significativa per comprendere i mutamenti in atto. E se
nei diritti statuali esso tende ad aprirsi ad una nozione lata di
responsabilità oggettiva nella quale inevitabilmente si rispecchia
il dislocarsi atopico dei principi decisionali che presiedono
l'attuale organizzazione economico-istituzionale, nello ius
Ecclesiae esso non rinuncia a manifestarsi
quale espressione di un diritto antropologicamente orientato
dove l'uomo – come risulta chiaro dalla teoria morale e giuridica
dell'actus humanus - non può cessare di essere
individuato come il dominus delle proprie azioni.