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Carlo Berti

Professore associato confermato

Dipartimento di Scienze Giuridiche

Settore scientifico disciplinare: IUS/01 DIRITTO PRIVATO

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Materiali lezione 24.10.2019: Cass. 1259/1999

Cassazione civile sez. I - 15/02/1999, n. 1259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Pellegrino SENOFONTE Presidente

Dott. Giammarco CAPPUCCIO Consigliere

Dott. Giovanni VERUCCI Rel. Consigliere

Dott. Laura MILANI Consigliere

Dott. Luigi MACIOCE Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

RCS EDITORI SPA incorporante per fusione la RCS EDITORIALE QUOTIDIANI

SPA, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma Via di Porta Pinciana 6, presso l'avvocato

Michele Giorgianni, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Marcello Franco, Maurizio Fusi, Giuseppe Sena, Paola

Tarchini, giusta procura speciale per Notaio Giovanni Ripamonti di

Milano rep. n. 128854 del 13.2.1997

Ricorrente

contro

IL GIORNALE DI SICILIA EDITORIALE POLIGRAFICA SPA, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Tibullo

10, presso l'avvocato M. Furitano, rappresentato e difeso dagli

avvocati Alessandro Algozini, Girolamo Bongiorno, Agostino Equizzi,

giusta procura a margine del controricorso;

Controricorrente

avverso la sentenza n. 995-96 della Corte d'Appello di Palermo,

depositata il 27-11-96;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09-11-98 dal Consigliere Dott. Giovanni Verucci;

udito per il ricorrente, l'Avvocato Sena, che ha chiesto

l'accoglimento del ricorso;

uditi per il resistente, gli Avvocati Algozini e Fazzalari, che hanno

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Guido Raimondi che ha concluso per l'accoglimento del primo e secondo

motivo, l'assorbimento del terzo motivo del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto notificato l'11 gennaio 1990, la R.C.S. Editoriale Quotidiani S.p.A., editrice del quotidiano "Corriere della Sera", conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, la S.p.A.

Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica, editrice del quotidiano "Giornale di Sicilia", esponendo che nel gennaio 1989 il Corriere aveva lanciato un concorso a premi, denominato "Replay - il gioco che ti rimette in gioco", che consentiva ai possessori di biglietti non vincenti di lotterie nazionali (in particolare, della Lotteria Italia) di partecipare a successive estrazioni dei biglietti medesimi, effettuate dal quotidiano con il controllo dell'amministrazione finanziaria. La società attrice faceva, altresì, presente che il concorso aveva avuto un rilevante effetto favorevole per l'incremento delle vendite del Corriere proprio in regioni, quale la Sicilia, in cui aveva minore diffusione: nel giornale di Sicilia del 9 gennaio 1990 era stato pubblicato un annuncio reclamizzante, con lo slogan "Provaci ancora", un'iniziativa promozionale del tutto identica a quella del gioco "Replay", sia nell'idea che nelle modalità di attuazione. Sostenendo che l'iniziativa del Giornale di Sicilia costituiva limitazione della campagna promozionale realizzata dal Corriere della Sera e, quindi, una forma di concorrenza parassitaria, la R.C.S. chiedeva che, dichiarata l'illiceità di tale condotta, ne venisse inibita la prosecuzione e che la società convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio.

Su ricorso della stessa R.C.S., il giudice istruttore, con provvedimento ex art. 700 c.p.c. in data 19 gennaio 1990, ordinava la sospensione del concorso promosso dal Giornale di Sicilia e della relativa pubblicità.

Costituitasi, la convenuta chiedeva il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, che la R.C.S. venisse condannata al risarcimento dei danni subiti a causa dell'azione temeraria e del provvedimento cautelare ottenuto.

Il Tribunale adito, con sentenza del 18 febbraio 1991, accoglieva le domande avanzate dalla R.C.S., ritenendo che l'iniziativa promozionale del Giornale di Sicilia avesse integrato un atto di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598 n. 3 cod. civ.

L'impugnazione proposta dalla Soc. Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica veniva accolta dalla Corte d'Appello di Palermo con sentenza non definitiva del 27 novembre 1996, rigettando le domande avanzate dalla R.C.S. Editoriale Quotidiani (poi incorporata dalla R.C.S. Editori S.p.A. e condannandola al risarcimento dei danni, per la cui liquidazione rimetteva la causa in istruttoria con separata ordinanza.

Premesso che era in discussione soltanto la configurabilità di un atto di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598 n. 3 c.c. e che, a tal fine, si deve tener conto del principio posto dall'art. 41 Cost., la Corte osservava che, quanto all'addebito di scorrettezza professionale mosso al Giornale di Sicilia, non si vedeva come un'analoga o quasi identica attività promozionale di vendita potesse integrare la disposizione dell'art. 2598 n. 3 c.c., essendo uso normale, per le società editrici dei maggiori quotidiani nazionali, quello di promuovere le vendite con iniziative del tutto identiche a quelle dei concorrenti, quali l'offerta di supplementi, audio e videocassette, ecc. La Corte territoriale precisava che tra i due quotidiani in questione non era ipotizzabile una vera ed effettiva concorrenza, con riferimento sia alla consistenza finanziaria, al livello professionale ed alla diffusione, certamente maggiori e più elevati per il Corriere della Sera, che allo stesso contenuto: il Corriere, infatti, manca quasi completamente di cronaca siciliana, mentre il Giornale di Sicilia è in gran parte dedicato ai fatti locali, con la conseguenza che l'analoga iniziativa promozionale non può mai ritenersi idonea a sviare scorrettamente la clientela del Corriere della Sera; d'alto canto, un danno per quest'ultimo non era configurabile anche sotto un diverso profilo, perché i possessori di biglietti non estratti della lotteria nazionale, acquistando entrambi i quotidiani, potevano partecipare alle estrazioni effettuate dall'uno e dall'altro e soltanto l'estrazione, statisticamente impossibile, dello stesso numero nei due concorsi avrebbe determinato l'imbarazzo di una scelta.

La Corte, infine, affermava che la R.C.S. andava condannata al risarcimento dei danni, a causa del suo colposo ed illecito comportamento ed avendo impedito l'iniziativa promozionale del Giornale di Sicilia.

Per la cassazione di tale sentenza la R.C.S. Editori S.p.A. ha proposto ricorso con tre motivi. Resiste la Soc. "Il Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica" con controricorso. Le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2598 c.c., nonché vizio di motivazione, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per aver escluso che la condotta del Giornale di Sicilia costituisse concorrenza sleale, senza considerare che ci si era lamentati non del fatto che fosse stato organizzato un gioco o concorso a premi, ma dell'intimazione pedissequa e contestuale di quello indetto dal Corriere della Sera, ossia dell'applicazione pratica di un'idea che, in via generale, poteva essere lecitamente utilizzata in altro modo. Secondo la ricorrente, inoltre, la Corte di merito ha omesso del tutto la valutazione di un punto decisivo della controversia, che pur era stato prospettato in entrambi i gradi del giudizio ed ampiamente illustrato negli scritti difensivi, vale a dire la relazione esistente tra l'ipotesi prevista dal n. 3 dell'art. 2598 c.c. e l'art. 13 del Codice di Autodisciplina pubblicitaria, il quale vieta espressamente l'imitazione pubblicitaria servile: sebbene le regole di detto Codice non siano state recepite dall'ordinamento statuale, tuttavia fondano principi di correttezza professionale, la cui violazione ricade sotto la previsione dell'art. 2598 n. 3 c.c.

Con il secondo motivo, la stessa ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2598 c.c., nonché vizio di motivazione, sotto un diverso profilo: rileva, infatti, l'erroneità della valutazione data dalla Corte territoriale circa l'inesistenza di un'effettiva situazione concorrenziale tra i due quotidiani, perché essa - a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata - si verifica quando vi sia, da parte di più imprenditori, il coevo esercizio di attività industriale o commerciale in ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, indipendentemente dalla coincidenza di clientela.

Secondo un ordine logico e giuridico, riveste carattere preliminare l'esame della seconda censura, essendo evidente l'inconfigurabilità di un atto di concorrenza sleale ove non sussista una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori. Al riguardo, va precisato - con riferimento a specifico rilievo della società resistente - che la critica della ricorrente è volta ad ottenere non già un'inammissibile rivalutazione di fatti accertati dal giudice di merito, ma la verifica della congruità e logicità della relativa motivazione e, più ancora, della conformità a diritto dei principi applicati.

In relazione agli argomenti esposti nella sentenza impugnata a sostegno della ritenuta inesistenza di correnzialità tra i due quotidiani e, quindi, dell'inidoneità del gioco a premi indetto dal Giornale di Sicilia a produrre un danno al Corriere della Sera, si deve osservare:

- la differente "qualità" (rilevabile, secondo la Corte palermitana, dalla consistenza societaria e finanziaria e dal livello del corpo redazionale, oltre che dai collaboratori), nonché la maggiore diffusione del Corriere della Sera rispetto al Giornale di Sicilia non sono, all'evidenza, elementi tali da escludere, alla radice, una situazione di concorrenza, dovendosi, al contrario, rilevare che proprio una "tiratura" diversa rappresenta la ragione per la quale, da un lato, il quotidiano a maggior diffusione nazionale è indotto a penetrare di più e meglio in ambito regionale e, dall'altro, quello diffuso a livello quasi esclusivamente regionale tenta di contrastare siffatta espansione e, al medesimo tempo, di aumentare la sua presenza tra i lettori di tutte le province siciliane;

- anche la parziale diversità di contenuti, riferibile al maggior rilievo dato dal Giornale di Sicilia alla cronaca locale, non vale ad escludere la concorrenza con il Corriere della Sera, soprattutto perché non può negarsi un'identità, almeno potenziale, della platea dei lettori sulla base dell'astratta possibilità di acquisto di entrambi i quotidiani;

- questa Corte, infatti, ha avuto modo di affermare che ad integrare il presupposto della concorrenza sleale è sufficiente il contemporaneo esercizio, da parte di più imprenditori, di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, non dovendo necessariamente sussistere, in concreto, l'identità di clientela (tra le altre, Cass. 5716-88 e 1990-74);

- avuto riguardo alla scarsa diffusione che, complessivamente, la stampa quotidiana ha nella popolazione, l'acquisto di due quotidiani costituisce ipotesi sicuramente infrequente, sulla quale non è legittimo fondare un giudizio di insussistenza di situazione concorrenziale, tanto più che (come ha osservato esattamente la difesa della società ricorrente) la possibilità di acquistare più prodotti finirebbe per escludere sempre una situazione di concorrenza;

- risulta incongrua ed illogica, quindi, l'affermazione della Corte territoriale secondo cui, acquistando entrambi i giornali, i lettori possessori dei biglietti del gioco a premi avrebbero potuto partecipare alle estrazioni effettuate da un quotidiano e dall'altro, senza dover scegliere tra i due premi: dovendosi osservare, anzi, che l'adozione, da parte del Giornale di Sicilia, di un gioco del tutto identico a quello già organizzato dal Corriere della Sera e tuttora in svolgimento ben avrebbe potuto indurre il lettore ad acquistare il primo anziché il secondo, ovvero ad abbandonare quest'ultimo a favore dell'altro (la R.C.S., infatti, aveva sostenuto che l'incremento delle vendite costituiva effetto proprio del gioco "Replay");

- ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, non poteva radicalmente escludersi che il gioco a premi indetto dal quotidiano siciliano fosse idoneo a produrre danni al Corriere della Sera, con valutazione che, prescindendo dalla produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del concorrente, va fatta in esclusivo riferimento alla potenzialità dannosa dell'atto ("ex plurimis", Cass. 12103-95, 1413-83, 2020-82).

Alla stregua delle considerazioni svolte, il secondo motivo del ricorso risulta fondato: si tratta di verificare, allora, la conformità a diritto della valutazione della Corte di merito circa la non riconducibilità dell'attività (di concorrenza) alla previsione dell'art. 2598 n. 3 c.c., che forma oggetto del primo motivo di ricorso.

La premessa di fatto, risultante dalla sentenza impugnata, è che il gioco a premi "Provaci ancora", indetto dal Giornale di Sicilia, era del tutto identico, nell'idea e nelle modalità di attuazione, a quello organizzato sin dall'anno precedente dal Corriere della Sera e denominato "Replay - il gioco che ti rimette in gioco": il primo, infatti, si basava sull'estrazione di biglietti non vincenti delle stesse lotterie nazionali, in particolare della Lotteria Italia, in una situazione in cui il concorso indetto dal Corriere era in svolgimento.

La Corte palermitana è partita da considerazioni che, in via di principio, possono essere condivise, pur necessitando di alcune puntualizzazioni. Non è revocabile in dubbio che l'art. 2598 n. 3 c.c. sia norma "di chiusura": più volte, infatti, questa Corte ha affermato che rientrano in detta previsione, a carattere aperto, tutte le condotte, ancorché non tipizzate dall'esperienza, comportanti violazione delle regole di correttezza professionale, e che i mezzi previsti dalla stessa norma sono diversi e distinti da quelli indicati nei numeri 1 e 2, onde la concorrenza sleale è configurabile indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti, potendo consistere in qualunque condotta contraria ai principi di correttezza ed idonea a cagionare danni al concorrente (tra le più recenti, cfr. Cass. 5671-98, 3787-96, 1392-94). Va precisato, tuttavia, che proprio in ragione di ciò e della necessità di adeguare la portata della norma alla continua evoluzione dell'attività imprenditoriale e, soprattutto, dei correlativi mezzi di espansione nel mercato, il principio di correttezza professionale non può essere inteso, ai fini della riconducibilità di situazioni concrete al divieto posto dall'art. 2598 n. 3 c.c., in senso restrittivo, riducendone l'applicazione ai casi di violazione di norme giuridiche, ma in senso ampio, ricomprendente ogni comportamento, anche indiretto, che si riveli contrario, in particolare, a regole deontologiche.

Quanto all'incidenza del principio costituzionale di libertà dell'iniziativa economica (art. 41 Cost.) nell'interpretazione ed applicazione dell'art. 2598 n. 3 e, più in generale, in tema di concorrenza sleale, non può che convenirsi con la sentenza impugnata, nel senso della necessità di un'interpretazione che tenga conto di tale principio: ma, anche qui, avendo ben presente che la libertà di iniziativa economica - soggetta, peraltro, ai limiti indicati nello stesso art. 41, comma 2, Cost. - non può comunque escludere l'adozione di criteri ermeneutici riferiti al costume ed a regole del mercato, anche di natura deontologica.

Ciò premesso, va rilevato che l'affermazione della Corte territoriale, secondo cui un analogo o identico mezzo promozionale di vendita di giornali non può integrare un atto di scorrettezza professionale, essendo uso normale delle società editrici di promuovere la diffusione con iniziative del tutto identiche a quelle dei concorrenti, poggia sull'espressa considerazione che si deve far riferimento al concreto comportamento medio degli imprenditori appartenenti ad una medesima categoria: questa premessa, tuttavia, non può essere accettata.

Ed invero, nell'apprezzamento delle situazioni concrete rientranti nel divieto posto dall'art. 2598 n. 3 c.c. occorre aver riguardo non già alla mera prassi commerciale, ad una consuetudine accettata dagli imprenditori di una determinata categoria, ma piuttosto ai principi etici che governano l'attività degli appartenenti; in altri termini, non a condotte normalmente tenute e che, per ciò stesso, possano ritenersi lecite, sibbene ad un costume professionale e commerciale eticamente qualificato ed i cui parametri di valutazione non sono rinvenibili tanto in un generico concetto di onestà, quanto - e soprattutto - in regole deontologiche che gli stessi operatori economici abbiano riconosciuto valide e vincolanti. Si potrebbe dire, in sintesi, che occorre far riferimento al "dover essere" e non all'"essere", atteso che alla frequenza o tolleranza di una condotta non corrispondente necessariamente la sua moralità: con la precisazione, fatta anche in dottrina, che non si tratta di non dover essere "puro", ma di quello etico professionale e commerciale, alla cui tutela è finalizzata la disposizione contenuta nel numero 3 dell'art. 2598 c.c.

In questa prospettiva va considerata la decisività, nell'ambito della controversia insorta tra il Corriere della Sera ed il Giornale di Sicilia, della questione se l'imitazione pedissequa dell'iniziativa promozionale confligga o meno con l'art. 13 del Codice di autodisciplina pubblicitaria: questione che - come risulta dalla sentenza ora impugnata - il Corriere aveva dedotto sin nel primo grado del giudizio ed il cui esame è stato totalmente pretermesso dalla Corte di Appello, sebbene avesse costituito oggetto di argomentazione difensiva.

Non risultano, nella giurisprudenza di questa Corte, precedenti in tema di rilevanza, ai fini dell'individuazione degli atti di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598 n. 3 c.c., delle regole del Codice di autodisciplina pubblicitaria, cui si è dato vita sin dal 1966 (con vari aggiornamenti successivi): profilo, questo, esaminato da alcune decisioni dei giudici di merito e da pur non copiosa dottrina, che ha posto in evidenza come a tali regole non possa negarsi una funzione integrativa del principio di correttezza professionale, rilevante agli effetti dell'applicazione dell'art. 2598 n. 3 c.c. In questa sede, non interessa particolarmente verificare se il Codice di autodisciplina pubblicitaria abbia o meno natura negoziale, se ponga norme meramente deontologiche o giuridiche in senso stretto (per questa seconda soluzione si sono espressi taluni giudici di merito e lo stesso Giurì), sì da costituire un vero e proprio ordinamento giuridico, frutto della libertà di autonomazione riconosciuta dall'ordinamento statuale: il problema non consiste, infatti, nello statuire se il C.A.P. sia stato recepito dall'ordinamento generale, con sua immediata applicabilità da parte del giudice, ma nell'utilizzazione delle norme (o regole) quali parametri di riferimento del principio di correttezza professionale.

Quand'anche si ritenesse che il C.A.P. contenga mere regole deontologiche, non se ne potrebbe comunque escludere l'incidenza nell'interpretazione ed applicazione dell'art. 2598 n. 3 c.c.: se per un verso, infatti, la stessa norma, facendo riferimento ai principi di correttezza professionale, opera sostanzialmente un rinvio anche a parametri extralegislativi, per altro verso le regole del C.A.P. esprimono, per loro stessa natura e formazione, quel "dover essere" dei comportamenti - che forma oggetto - come si è visto - della tutela stabilita dal numero 3 dell'art. 2598 c.c. Non solo, ma esse consentono di adeguare il principio di correttezza professionale all'evoluzione delle esigenze dell'attività imprenditoriale ed alle sue forme di manifestazione: in definitiva, al costume eticamente inteso.

Ne deriva che, allo scopo di valutare se l'atto posto in essere dal Giornale di Sicilia integrasse o meno un'ipotesi di scorrettezza professionale, la Corte palermitana avrebbe dovuto verificare l'eventuale violazione dell'art. 13, comma 1, del Codice di autodisciplina pubblicitaria, a tenore del quale "deve essere evitata qualsiasi imitazione pubblicitaria servile anche se relativa a prodotti non concorrenti, specie se idonea a creare confusione con altra pubblicità": trattasi di questione che, espressamente prospettata dal Corriere della Sera, rivestiva carattere essenziale per la decisione della controversia.

La società resistente ha sostenuto, al riguardo, che la norma disciplina soltanto l'attività pubblicitaria e non anche gli incentivi promozionali utilizzati dalle imprese editoriali, con la conseguenza che l'eventuale violazione di essa potrebbe comportare l'inibizione della propaganda pubblicitaria del concorso a premi, non certo della diffusione ed offerta dello stesso gioco.

La tesi non può essere condivisa: in via generale, perché la pubblicità è uno strumento della politica concorrenziale dell'impresa, che si esprime attraverso messaggi diretti al consumatore (nel nostro caso, al lettore), onde l'idea promozionale dell'offerta di un prodotto omaggio in aggiunta o connessione a quello principale (ai fini che qui interessano, del premio in denaro, previa estrazione dei biglietti non vincenti della lotteria nazionale) può essere un incentivo all'acquisto dello stesso prodotto principale (nella specie, di un quotidiano) e costituire, quindi, una forma di pubblicità; in particolare, perché tra le norme preliminari e generali del Codice di autodisciplina v'è quella secondo cui il termine pubblicità "comprende ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali che siano i mezzi utilizzati".

È fondato, allora, anche il primo motivo del ricorso e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice: resta assorbito, logicamente, il terzo motivo, con il quale si denunciano violazione dell'art. 96 c.p.c. e vizio di motivazione, con riferimento alla condanna al risarcimento dei danni in favore della Soc. Il Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica.

Il giudice di rinvio, designato in diversa Sezione della Corte di Appello di Palermo, procederà a nuovo esame della controversia, attenendosi - in particolare - al principio di diritto secondo cui, nell'apprezzamento delle situazioni concrete rientranti nel divieto degli atti di concorrenza posto dall'art. 2598 n. 3 c.c., costituiscono parametri di valutazione della correttezza professionale le regole contenute nel Codice di autodisciplina pubblicitaria, quali espressione dell'etica professionale e commerciale, alla cui tutela la norma civilistica è finalizzata.

Con riferimento al caso di specie, quindi, il giudice di rinvio dovrà verificare se, in presenza di una situazione di concorrenzialità ed indipendentemente dalla legittimità dell'utilizzazione della stessa idea promozionale attuata dal Corriere della Sera, costituisca o meno atto non conforme a correttezza professionale - perché eventualmente vietato dall'art. 13 del Codice di autodisciplina pubblicitaria - l'applicazione concreta che di tale idea ne ha fatto il Giornale di Sicilia, mediante l'imitazione pedissequa delle relative modalità.

Allo stesso giudice di rinvio, infine, è demandato di provvedere sulle spese della presente fase di legittimità.

p.q.m.

La Corte accoglie il primo motivo ed il secondo motivo del ricorso; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 1998.