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Antonella Bertocchi

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Dipartimento di Scienze Giuridiche

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Cass. 24.4.2001 n. 6023

Autorità: Cassazione civile sez. III
Data: 24/04/2001
n. 6023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vittorio DUVA - Presidente -
Dott. Paolo VITTORIA - Rel. Consigliere -
Dott. Renato PERCONTE LICATESE - Consigliere -
Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Consigliere -
Dott. Bruno DURANTE - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MELIS ANTONINA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA FEDERICO
CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato LUIGI MANZI, che la
difende anche disgiuntamente agli avvocati GIACOMO GUSSONI, PAOLO
BERGMANN, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
BUCCELLATI MARIA ADELE, DE MADDALENA JACOPO, MILANO ASSIC SPA;
- intimati -
e sul 2 ricorso n 17932-98 proposto da:
MILANO ASSIC SPA, in persona del Direttore Generale dr. Ivano
Cantarale, corrente in Milano, elettivamente domiciliata in ROMA VIA
DEI MONTI PARIOLI 12, presso lo studio dell'avvocato GREGORIO
IANNOTTA, che la difende anche disgiuntamente all'avvocato LUIGI
TEDOLDI, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
MELIS ANTONINA, BUCCELLATI MARIA ADELE, DE MADDALENA JACOPO;
- intimati -
e sul 3 ricorso n 18019-98 proposto da:
BUCCELLATI MARIA ADELE, DE MADDALENA JACOPO, elettivamente
domiciliati in ROMA PIAZZA DEL PARADISO 55, presso lo studio
dell'avvocato NICOLA STAFFA, che li difende anche disgiuntamente
all'avvocato CLAUDIO SIGNINI, giusta delega in atti;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
contro
MELIS ANTONINA;
- intimata -
avverso la sentenza n. 2654-97 della Corte d'Appello di MILANO,
Sezione IV Civile, emessa il 04-06-97 e depositata il 29-09-97 (R.G.
754-95);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
31-01-01 dal Consigliere Dott. Paolo VITTORIA;
udito l'avvocato Emanuele MANZI (per delega Avv. Luigi MANZI);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Rosario RUSSO che ha concluso per la riunione della impugnazione; il
rigetto del ricorso principale "Melis" e l'assorbimento dei ricorsi
incidentali; in caso di accoglimento del 7 motivo del ricorso
principale e l'accoglimento del 3 motivo del ricorso incidentale
della Milano Ass.ni.
Fatto
Svolgimento del processo
1. - Antonina Melis conveniva in giudizio Jacopo De Maddalena, Maria Adele Buccellati, la società Milano Assicurazioni Spa.
Con la citazione a comparire davanti al tribunale di Milano, notificata il 14 e 16.7.1987, proponeva in loro confronto una domanda di condanna al risarcimento del danno da circolazione stradale.
Esponeva che in uno scontro tra veicoli, avvenuto il 25.2.1986 per colpa esclusiva di Jacopo De Maddalena, aveva riportato gravi lesioni personali.
Chiedeva che i convenuti, rispettivamente conducente, proprietaria ed assicuratore per la responsabilità civile da circolazione stradale, fossero condannati in solido al risarcimento del danno. 2. - I convenuti si costituivano in giudizio.
Non contestavano la loro responsabilità, ma la misura del risarcimento richiesto.
La Milano assicurazioni, nel corso del processo, in diversi tempi, pagava all'attrice la somma corrispondente all'intero massimale. 3. - Il tribunale, dopo avere disposto un'indagine tecnica sulla natura delle lesioni e dei postumi che ne erano derivati, con sentenza del 31.1.1994, accoglieva la domanda.
Considerava che, secondo le conclusioni presentate dal consulente, le lesioni avevano causato ad Antonina Melis una totale incapacità di attendere alle proprie occupazioni, della durata di 21 mesi e 10 giorni, ed un'incapacità parziale della durata di 19 mesi e 20 giorni; che i postumi permanenti avevano ridotto di non meno del 45-50% la sua integrità fisica e potevano aver diminuito la sua capacità di impegnare le proprie risorse fisiche e mentali nell'abituale attività di lavoro professionale in una misura del 20%.
Liquidava il risarcimento, riferendo gli importi alla data della sentenza, nelle seguenti somme: - L. 56.100.000, quale danno biologico da invalidità temporanea, sulla base di 60 e 30 mila al giorno, rispettivamente per l'invalidità assoluta e quella parziale;
- L. 237.500.000, quale danno biologico da invalidità permanente, attribuendo ad ogni punto di invalidità il valore di L. 5 milioni, ritenuto congruo in considerazione della entità e vastità degli effetti lesivi; - L. 98.388.290, quale danno patrimoniale, calcolato a partire dal reddito dell'infortunata nell'anno 1991; - L. 47.500.000, per danno morale, assumendo a base di calcolo la somma di 1 milione per punto d'invalidità; - L. 31.500.000, come rimborso delle spese mediche, e L. 10.000.000, come rimborso di altre spese.
Accordava sulla somma complessiva gli interessi legali dalla data del fatto; disponeva fosse detratto dal totale il massimale già versato, rivalutato dalla data del pagamento a quello della sentenza.
Quanto alla responsabilità dell'assicuratore, il limite ne veniva indicato nel massimale, rivalutato ed aumentato di interessi. 4. - La sentenza veniva impugnata dall'attrice, per chiedere una diversa liquidazione dei danni riconosciuti, il riconoscimento di danni negati e quello di un ulteriore danno, da osteoporosi, che sosteneva essere stato riscontrato dopo la pubblicazione della sentenza: nel suo appello, l'attrice chiedeva che per le maggiori somme fossero condannati solo i responsabili del danno.
Questi ultimi proponevano dal canto loro appello per chiedere che l'assicuratore fosse condannato, in loro confronto, a rivalerli di qualsiasi somma fossero stati condannati a pagare all'attrice, e ciò anche oltre il limite del massimale rivalutato.
La Milano assicurazioni proponeva anch'essa appello incidentale, per chiedere che di talune voci di danno fosse diminuito il risarcimento, per domandare un diverso calcolo del danno da ritardo, per escludere ogni sua responsabilità per cifra superiore al massimale.
La corte d'appello accoglieva le impugnazioni solo per una parte. 5. - La corte, con sentenza del 29.7.1997, ha aumentato da 47.500.000 a 150 milioni il risarcimento del danno morale ed ha diminuito il saggio degli interessi al 4,5% e per i diversi addendi del risarcimento dovuto ha indicato la decorrenza.
Ha condannato i soli responsabili del danno a pagare all'attrice la maggiore somma liquidata a favore di costei come danno morale e la Milano Assicurazioni a rimborsare ai propri assicurati anche questo maggior importo nei limiti del massimale rivalutato. 6. - Antonina Melis ha chiesto la cassazione della sentenza con ricorso notificato il 18.9.1998.
Maria Adele Buccellati e Jacopo De Madddalena(*) hanno resistito con controricorso notificato ad Antonina Melis il 28.10.1998 ed alla Milano Assicurazioni il 27.10.1998: con il controricorso hanno proposto ricorso incidentale condizionato.
La Milano assicurazioni ha parimenti resistito con controricorso ed a sua volta proposto ricorso incidentale condizionato.
Sono state depositate memorie.
Diritto
Motivi della decisione
1. - I ricorsi hanno dato luogo a distinti procedimenti, che debbono essere riuniti perché riguardano impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.). 2. - La Milano assicurazioni ha sostenuto che il ricorso principale è inammissibile.
Questo per due ragioni, peraltro prive di fondamento.
La sentenza era stata pubblicata il 29.7.1997; le altre parti non l'avevano notificata ad Antonina Melis, che perciò il 18.9.1998 poteva ancora impugnarla.
A quella data non era ancora scaduto il termine di un anno dalla pubblicazione (art. 327, primo comma, cod. proc. civ.), che nel caso doveva essere aumentato della durata del periodo di sospensione feriale dei termini processuali, il quale va dall'1 agosto al 15 settembre di ciascun anno (art. 1 della L. 7 ottobre 1969, n. 742).
La notificazione del ricorso doveva d'altra parte essere eseguita, com'è stato fatto, presso il difensore costituito per la Milano assicurazioni nel giudizio d'appello e non nella sede della società.
La disposizione - per cui, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza, l'impugnazione, se è ancora ammessa, si deve notificare alla parte personalmente (art. 330, terzo comma, cod. proc. civ.) - si interpreta nel senso che la norma si riferisce al termine di decadenza indicato nell'art. 327, il quale, dopo l'entrata in vigore della L. 7 ottobre 1969, n. 742, rispetto alle cause in cui la sospensione feriale dei termini opera, ha la maggior durata che si è prima detto (Sez. Un. 20 dicembre 1993 n. 12593). 3. - Il ricorso principale contiene nove motivi.
Di questi - risulterà dalla successiva esposizione - sono fondati il primo ed il secondo.
Il ricorso dei signori Buccellati e De Maddalena ne contiene uno, che non è fondato.
Il ricorso della Milano assicurazioni ne contiene tre.
Il primo e secondo non sono fondati; il terzo, volto a contrastare il settimo motivo del ricorso principale, resta assorbito dal suo rigetto. 4. - L'esame dei motivi del ricorso principale deve cominciare con il settimo.
Esso propone questione che riguarda la gravità dei postumi che le lesioni hanno lasciato: in particolare, la domanda proposta in appello dall'infortunata per ottenere che fosse considerata, come evento dannoso derivato dall'incidente, anche l'osteoporosi venutasi col tempo a manifestare.
Vi è connesso il terzo motivo del ricorso incidentale condizionato della Milano assicurazioni. 4.1. - La parte, con l'appello, aveva dedotto che dopo il deposito della sentenza era stata purtroppo riscontrata in lei una "osteopenia di grado medio-elevato" determinante un processo di osteoporosi; a prova di ciò aveva depositato due certificati medici; aveva anche chiesto fosse disposta una indagine tecnica per accertare l'aggravamento e i suoi riflessi peggiorativi sia sul danno alla salute sia sul danno per incapacità lavorativa specifica.
La corte d'appello ha respinto la domanda.
Ha osservato che, per comune nozione, l'osteoporosi è un fenomeno degenerativo del tessuto osseo connesso all'avanzare dell'età.
Ha quindi escluso che potesse esservi un nesso di causalità con l'incidente e non ha disposto l'indagine tecnica richiesta. 4.1.1. - La ricorrente Melis ha chiesto la cassazione di questo capo della sentenza per difetto di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
Ha richiamato uno dei certificati medici, ha sostenuto che il caso della osteoporosi post-traumatica è noto e scientificamente studiato e che, se la parte domanda una indagine tecnica per rilevare fatti che richiedono specifiche conoscenze, il giudice non può non disporla. 4.1.2. - La Milano assicurazioni, per converso, ha chiesto la cassazione per il motivo di violazione di norma sul procedimento (art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all'art. 345 dello stesso codice).
La domanda - questa la sua tesi - era nuova ed avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile. 4.1.3. - Il motivo del ricorso principale è inammissibile.
La corte d'appello ha dato della propria decisione una motivazione, che, in sè considerata, non è priva di logica: secondo comune esperienza, l'osteoporosi è un processo che inizia a prodursi con l'avanzare degli anni; nel 1995 Antonina Melis ne aveva 56; non v'era ragione di disporre un'indagine tecnica per accertare se l'osteoporosi si fosse manifestata invece od anticipatamente come ulteriore conseguenza dell'incidente.
Si è sostenuto che la corte, rifiutandosi di disporre l'indagine tecnica, è incorsa in un vizio di difetto di motivazione.
Ma di ciò non è stata svolta adeguata dimostrazione, perché, quanto a mancata valutazione di elementi decisivi, ci si è limitati a richiamare uno dei certificati depositati in appello, senza commentarne il contenuto e senza mostrare che da esso si sarebbero dovuti al contrario desumere sufficienti elementi di valutazione circa il fatto che l'osteoporosi si era manifestata come conseguenza ulteriore dei postumi derivati dall'incidente.
Nè, sul punto, la parte aveva avuto cura di introdurre nel giudizio di appello altri elementi di valutazione circa l'osteoporosi post-traumatica - cui si è richiamata nel motivo.
L'avesse fatto, un'eventuale identica motivazione della sentenza d'appello avrebbe potuto ricevere in questa sede un diverso sindacato. 4.1.4. - Il motivo del ricorso incidentale diviene a sua volta inammissibile per difetto di interesse. 5. - Si può continuare l'esame dei motivi del ricorso principale nell'ordine in cui sono stati proposti.
Il primo deduce vizi di violazione di norme di diritto e di norme sul procedimento, oltre a difetto di motivazione (art. 360, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2056 e 1226 cod. civ. ed all'art. 132 cod. proc. civ.).
Riguarda la liquidazione del danno biologico prodotto dai postumi delle lesioni.
È fondato. 5.1. - L'attuale ricorrente aveva impugnato la sentenza di primo grado, chiedendo che il danno alla salute le fosse liquidato almeno in 400 milioni di lire (anziché nelle 237.500.000 riconosciute dal tribunale).
La critica rivolta ai giudici di primo grado era consistita nel sostenere che la liquidazione del danno alla salute non può ridursi ad una operazione aritmetica.
Non si può esaurire nel moltiplicare la percentuale di menomazione dell'integrità personale per il valere assegnato ad ogni punto d'invalidità, questo a sua volta desunto dalle tabelle di cui il giudice abbia scelto di fare applicazione.
Operando in tale modo, infatti, si terrebbe conto dell'entità dei postumi, ma non dell'entità delle conseguenze, ovverosia del pregiudizio arrecato alle attitudini di vita della persona, che è diverso da soggetto a soggetto e per tenere conto del quale si dovrebbe compiere una successiva operazione valutativa, adeguando i parametri fissi a ciascuna situazione concreta.
La critica era stata affidata alla distinzione tra danno biologico, inteso come lesione dell'integrità fisica e psichica, e danno alla salute, inteso appunto come complesso delle conseguenze che quella lesione determina nel patrimonio delle attitudini di vita proprie di ciascuno e che è diverso da persona a persona. 5.1.1. - La risposta data al motivo dalla corte d'appello si compendia in queste proposizioni: - <Infondato è il primo motivo di appello della Melis volto ad ottenere la liquidazione del danno alla salute, diverso da quello biologico. L'assunto dell'appellante è fondato su una inammissibile diversificazione tra danno biologico e danno alla salute, superata da consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità condivisa dalla Corte, secondo la quale nel danno biologico, inteso come danno alla vita di relazione genericamente intesa, è ricompreso anche quello derivato dalle conseguenze debilitanti derivanti dall'incidente (Cass. sez. III 16 aprile 1996 n. 3564)>.
Queste proposizioni eludono la critica mossa alla decisione dei primi giudici. 5.1.2 - Danno biologico è la definizione giuridica della menomazione che è stata arrecata all'integrità della persona, menomazione che si presenta come danno ingiusto, secondo la terminologia impiegata dall'art. 2043 cod. civ., perché lede il bene della salute, a sua volta oggetto di un diritto (art. 32 Cost.) (Corte cost. 14 luglio 1986 n. 184).
Le tecniche di risarcimento del danno biologico si debbono misurare con un obiettivo ed insieme con una difficoltà.
L'obiettivo è quello di assicurare un risarcimento integrale.
La lesione del diritto alla salute, quando dipenda dal fatto colposo di altri, deve essere interamente risarcita, perché se così non fosse la protezione costituzionale del diritto alla salute ne risulterebbe menomata.
La difficoltà deriva dal fatto che il diritto alla salute ha natura non patrimoniale, perché la salute non si presenta come un bene di cui si possa accettare una valutazione in termini economici; d'altro canto, è un bene del quale deve assicurarsi in ognuno la conservazione ed al quale non può che attribuirsi almeno un valore di base comune per tutti.
Il danno biologico esiste dunque come danno, che va interamente risarcito, ma la sua esatta determinazione è impossibile, sicché la liquidazione ne può solo avvenire con valutazione equitativa (art. 2056 cod. civ.).
Tecnica adeguata di risarcimento del danno biologico si è così rivelata quella, progressivamente affinatasi, che impiega criteri standardizzati per la valutazione della menomazione dell'integrità della persona, utilizzando indici in cui si riflettono i dati che ricorrono in ogni caso - quali l'età della persona, l'entità progressivamente crescente della lesione, le parti del corpo i sensi e le funzioni menomate; e che adegua il risultato al caso per tenere conto dei suoi tratti specifici, nella sostanza del patrimonio di attitudini sviluppate o prevedibili, di cui la menomazione dell'integrità priverà in futuro la persona.
La Corte, nella sentenza 19 maggio 1999 n. 4852, ha così avuto modo di mettere in evidenza che il collegamento al danno specifico e la sua personalizzazione costituiscono condizione per una corretta applicazione di quegli indici, ovverosia del criterio che assume a parametro il valore medio del punto di invalidità, calcolato sulla media dei precedenti giudiziari.
Solo in questo modo la liquidazione del danno viene a fondarsi su un effettivo e perciò motivato esercizio del potere di valutazione equitativa; altrimenti - pur in assenza di indici fissati da norme, nella misura in cui ciò possa essere legittimo - la valutazione sarebbe trasferita ad una fonte diversa, caratterizzata per il fatto di dare rilievo esclusivo, anziché orientativo, all'indice medio.
Orbene, ciò di cui l'attuale ricorrente si era lamentata, nel rivolgersi ai giudici di appello, era appunto che i primi giudici s'erano limitati nella sostanza ad applicare gli indici, senza procedere ad un adeguamento del risultato al suo caso; aveva poi indicato gli aspetti da tenere in considerazione.
La corte d'appello avrebbe dovuto rispondere alla critica dicendo perché la liquidazione del danno compiuta dai giudici di primo grado era da considerare tuttavia adeguata o avrebbe dovuto accoglierla, modificando la liquidazione, indicandone le ragioni.
Non averlo fatto integra i vizi di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione denunciati con il motivo. 5.2. - Il primo motivo del ricorso incidentale della Milano assicurazioni denunzia vizi di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2043, 2056 e 1223 cod. civ.).
Il motivo riguarda l'aspetto del nesso di causalità tra incidente stradale ed entità dei postumi lamentati dall'infortunata.
Non è fondato.
La Milano assicurazioni aveva sostenuto che tra i postumi v'era un'epatopatia, che concorreva ad integrare il complessivo quadro di menomazione dell'integrità fisica, e che non poteva pero essere considerata legata da nesso di causalità con l'incidente, essendo derivata da trasfusione operata con sangue infetto.
La corte d'appello ha risposto che il nesso causale esisteva perché l'infortunata aveva contratto l'epatite "C" a seguito delle trasfusioni di sangue e di plasma, che si erano rese necessarie proprio in conseguenza delle lesioni riportate a causa dell'incidente, di modo che, se questo non fosse avvenuto, la malattia non sarebbe stata contratta.
La ricorrente sostiene che la corte d'appello ha fatto impiego di un concetto di nesso causale erroneo.
Questa la tesi svolta.
Non ogni evento può considerarsi prodotto dal fatto che sta all'inizio della serie causale, se in questa si inseriscono altri fatti, che a loro volta si presentano come antecedenti causali immediati dell'evento.
Il nesso causale può essere considerato sussistere solo quando tra il fatto iniziale e l'evento vi sia un rapporto che presenti gli estremi di una sequenza costante, secondo un calcolo di regolarità statistica, e questo non si può affermare per un esito di epatite da trasfusione in rapporto ad un incidente stradale, perché la prima non si presenta come una conseguenza regolare o normale del secondo.
Le obiezioni che si debbono opporre a questa critica sono le seguenti.
L'individuazione del rapporto di causalità tra evento e l'ultimo fattore d'una serie causale non esclude la rilevanza di quelli anteriori, che abbiano avuto come effetto di determinare la situazione su cui il successivo è venuto ad innestarsi. Al contrario, il limite alla configurazione del rapporto di causalità tra antecedente ed evento è rappresentato solo dalla idoneità della causa successiva ad essere valutata - per la sua eccezionalità rispetto al decorso causale innescato dal fattore remoto - come causa sufficiente ed unica del danno (Cass. 8 maggio 1993 n. 5325; 19 maggio 1999 n. 4852).
Quindi, nel caso in esame, la questione da risolvere non era se l'evento epatite da trasfusione potesse essere considerato conseguenza normale o regolare di un incidente stradale, ma se lo possa essere quando le lesioni prodotte dall'incidente richiedono di eseguire sull'infortunato interventi chirurgici e questi impongano di far ricorso a trasfusione di sangue.
E così impostato il problema v'è da osservare che, al processo, non è stato acquisito, attraverso l'indagine tecnica, alcun elemento in contrasto con l'implicita valutazione del giudice di merito, per cui l'epatite non costituisce un esito anomalo, ma un rischio insito nelle trasfusioni ed un evento che ne consegue con una determinata regolarità. 6. - Il secondo motivo denunzia un vizio di difetto di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
Riguarda il danno biologico corrispondente alla durata dell'invalidità temporanea.
Presenta due aspetti.
Il motivo sotto il primo di tali aspetti è fondato. 6.1.1. - Il tribunale - come si (*) già detto - aveva ritenuto che per le lesioni subite la parte aveva dovuto patire una incapacità totale di attendere alle sue occupazioni, che s'era protratta per 21 mesi e 10 giorni, mentre, per un altro periodo di 19 mesi e 20 giorni l'incapacità era stata solo parziale.
La parte aveva impugnato la sentenza sostenendo che i primi giudici avevano male interpretato la relazione del consulente, il quale aveva indicato in 41 mesi l'inabilità temporanea totale come incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni e che tale incapacità rilevava ai fini del danno alla salute. 6.1.2. - Il tribunale aveva liquidato il danno biologico conseguente a tale inabilità nella misura di 60 mila lire al giorno per il periodo di incapacità totale e di 30 mila lire al giorno per il periodo di incapacità ritenuta parziale.
La parte, impugnando la sentenza, aveva invece chiesto le fosse riconosciuta una somma di 100 mila lire al giorno, riferita ad una invalidità che, come si è visto, riteneva essere stata totale per tutto il periodo. 6.2. - La corte d'appello ha risposto così: - <il calcolo effettuato dal tribunale è esatto in quanto sono state liquidate L. 60.000 per giorno di invalidità totale (m. 21 gg. 10) e L. 30.000 per giorno di invalidità parziale (m. 19 gg. 20) e questi importi, ad avviso della Corte, appaiono del tutto congrui in relazione alla durata ed alla gravità della malattia>. 6.3. - La ricorrente, per il primo aspetto, richiama i passi della relazione del consulente che sostiene mal valutati e che direbbero il contrario di quanto hanno affermato i primi giudici; per il secondo aspetto osserva che la misura del risarcimento riconosciuto non è sorretta da una effettiva motivazione e richiama i tratti che avrebbero imposto una diversa liquidazione. 6.3.1. - La critica svolta nel motivo, per il primo aspetto, come si è anticipato, è fondata.
Quella svolta a riguardo del secondo aspetto resta assorbita.
La corte d'appello non si è per niente soffermata sul punto se l'inabilità temporanea, riguardata come fattore di danno biologico, fosse stata totale per tutto il periodo o solo parziale.
Il difetto di motivazione cade su un punto decisivo, perché le conclusioni rassegnate dal consulente si sarebbero potute prestare all'interpretazione sostenuta dalla ricorrente.
Il passo è infatti così formulato: - <Le lesioni occorse e le sequele complicanze (sic) hanno determinato malattia traumatica ed incapacità alle ordinarie occupazioni che è stata totale, ivi comprese quelle lavorative, per 21 mesi e 10 giorni e che è stata totale solo per le ordinarie occupazioni, escluse cioè quelle lavorative, per un interposto periodo di 19 mesi e 20 giorni>. 7. - Il terzo motivo denuncia vizi di violazione di norma di diritto e di difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.).
Il motivo non è fondato.
La parte, impugnando la sentenza di primo grado, aveva chiesto le fosse riconosciuto il risarcimento del danno pari al costo che avrebbe dovuto subire per procurarsi i servizi di una persona che l'aiutasse in casa e l'accompagnasse fuori di casa, considerate le difficoltà di movimento lasciatele dai postumi delle lesioni.
Aveva chiesto a questo titolo una somma di 1.500.000 al mese e quindi un capitale di L. 242.874.000; aveva sostenuto che questa somma costituiva un addendo del complessivo risarcimento del danno biologico, domandato in 500 milioni in primo grado, ma ottenuto in cifra minore.
La corte d'appello ha risposto che questa richiesta integrava una domanda nuova, come tale inammissibile: il tipo di danno per cui veniva domandato il risarcimento non costituiva una componente del danno biologico.
La ricorrente osserva da un lato che un danno di questo tipo è una componente di quello biologico, dall'altro che comunque il risarcimento ne era stato chiesto.
Se non che il problema che nel caso si poneva era se questo specifico addendo del danno complessivo fosse stato chiesto o no, se cioè la parte l'avesse indicato nelle conclusioni tra le componenti del danno, biologico o patrimoniale.
Si trattava perciò di denunciare non i vizi lamentati, ma quello di violazione di norma sul procedimento, specificando il contenuto delle conclusioni prese sui due punti e mostrando così che di quella componente del danno il risarcimento era stato già chiesto in primo grado e che perciò la domanda non era nuova. 8. - Il quarto motivo denunzia vizi di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2056, 1223, 1226 e 2727 cod. civ.).
Riguarda la liquidazione del danno patrimoniale, in particolare del danno da lucro cessante, alla diminuita capacità di impiego delle proprie risorse fisiche e mentali nel lavoro professionale che l'infortunata svolgeva al momento dell'incidente.
Il motivo non è fondato. 8.1. - Il tribunale aveva fatto propria l'indicazione del consulente, che tale capacità fosse diminuita del 20%; aveva liquidato il danno prendendo in considerazione il reddito della parte nel 1991, stabilito in L. 40.495.576; aveva stabilito il risarcimento dovuto in L. 98.388.290, considerando uno scarto tra vita fisica e vita di lavoro pari al 20%.
Impugnando la sentenza Antonina Melis aveva sostenuto che la percentuale di diminuzione della capacità di lavoro avrebbe dovuto essere calcolata in misura maggiore; che si sarebbe dovuto tenere in conto un guadagno medio futuro di almeno 55 milioni all'anno; che non avrebbe dovuto computarsi alcuno scarto tra vita fisica e lavorativa: complessivamente aveva chiesto un risarcimento di L. 163.988.000. 8.1.1. - La corte d'appello ha confermato la decisione di primo grado.
Ha osservato, quanto al reddito da tenere in considerazione, che quello assunto a base di calcolo dai primi giudici appariva congruo anche per una liquidazione equitativa e d'altra parte il reddito cui si deve aver riguardo, in questi casi, è quello del tempo in cui si verifica il fatto dannoso e non un eventuale maggiore percepito in epoca successiva; d'altra parte, se il reddito era anche aumentato, ciò stava a confermare il giudizio per cui la diminuzione della capacità di lavoro non era stata superiore alla percentuale indicata dal consulente. 8.1.2. - La parte, nel motivo, torna a soffermarsi sull'aspetto della percentuale di diminuzione della capacità di lavoro, sottolineando che non è stato poi tenuto in alcuna considerazione il danno alla vita di relazione (essendo rimasta ormai esclusa da ogni attività sportiva, come dalla vita mondana, e da occasioni di matrimonio).
Si sofferma, anche, sull'aspetto della misura del reddito da assumere a base del calcolo, ed osserva che non ci si doveva limitare a considerare il reddito di prima dell'infortunio, perché le prospettive di un suo aumento, se avesse potuto proseguire nella sua attività, avrebbero dovuto essere considerate certe, anche solo in base ad un criterio presuntivo. 8.1.3. - II ragionamento della corte d'appello merita qualche precisazione, ma le considerazioni svolte nel motivo non sono adeguate a sostenere la cassazione di questa parte della decisione.
II danno patrimoniale di cui si discute è un danno futuro, perché è integrato dal fatto che la diminuita capacità di impiego delle risorse della persona in una attività di lavoro, determinando un maggior sforzo, col tempo produce il risultato di obbligare la persona a non accettare e perciò a perdere occasioni che le si offrono o a subire, per farvi fronte, costi maggiori.
La liquidazione attuale di un danno futuro non deve ancorarsi alla situazione in atto nel momento in cui si verifica il fatto dannoso; deve al contrario tenere conto del modo in cui è evoluta ed è prevedibile evolverà sino al momento in cui è presumibile che un reddito di lavoro potrà essere prodotto.
Questo perché da un lato il danno che si è prodotto sino a quel momento è già misurabile, dall'altro nel giudizio probabilistico suI danno ulteriore non si può prescindere da quanto si è già verificato.
Quindi, la corte d'appello avrebbe sbagliato nel dire che non si sarebbe dovuto tenere conto del maggiore livello di reddito nel frattempo raggiunto dall'infortunata.
E però, in una situazione in cui l'infortunata aveva continuato ad essere pagata per il lavoro di ricercatore universitario che costituiva la sua professione e non aveva visto diminuire nell'immediato il proprio reddito, il riferimento al reddito percepito al momento del fatto, per calcolare il presumibile danno futuro, rappresentato dalla perdita di altre connesse possibilità di impiego delle energie di lavoro, costituisce un criterio adeguato suI piano della liquidazione equitativa, cui la corte d'appello ha pure fatto riferimento.
Quanto poi al fatto che nel calcolo di cui si discute non sia entrato il danno alla vita di relazione indicato nel motivo, ciò deriva dal costituire esso una componente del danno biologico e non di quello patrimoniale. 8.2. - Il secondo motivo del ricorso della Milano assicurazioni denuncia vizi di violazione di norme di diritto e di norme sul procedimento, oltre a difetti di motivazione (art. 360, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112 e 132 n. 4 dello stesso codice).
La ricorrente lamenta che i giudici di secondo grado non abbiano affatto considerato un aspetto della critica mossa alla sentenza di primo grado, quella d'aver accordato un risarcimento del danno patrimoniale sebbene il reddito dell'infortunata fosse nel frattempo cresciuto e non diminuito.
Il motivo non è fondato.
La corte d'appello, effettivamente, nel confermare sul punto la sentenza di primo grado, come si è appena visto, ha considerato la critica svolta dall'attrice e non quella dell'assicuratore.
Tuttavia la pronuncia della corte non esibisce per questo un vizio di motivazione su un punto decisivo.
La circostanza che l'infortunata, che aveva peraltro uno stabile impiego di ricercatrice universitaria, negli anni immediatamente successivi all'incidente avesse visto anche aumentare il proprio reddito, non escludeva che avesse già in quel periodo potuto perdere altre ulteriori occasioni di guadagno, normalmente connesse al tipo di impiego nè escludeva che le avrebbe perdute in seguito.
Giustificato è stato dunque il riconoscimento del danno patrimoniale per lucro cessante, risarcito attraverso la valutazione equitativa di cui si è detto. 9. - Il quinto motivo denunzia un vizio di difetto di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
Riguarda la liquidazione della componente del danno patrimoniale emergente, costituita da una parte delle spese.
Il motivo non è fondato. 9.1. - Il tribunale, nell'esaminare questo capo della domanda, aveva riconosciuto alla parte l'integrale rimborso delle spese mediche (L. 31.500.000) ed il parziale rimborso delle spese di trasporto, in una misura determinata con valutazione equitativa (L. 10.000.000); aveva negato il rimborso delle spese odontoiatriche e della differenza tra i canoni pagati per l'abitazione presa dopo l'incidente e quella occupata prima, avendo ritenuto che, quanto a queste, non era stato provato il nesso di causalità con l'evento lesivo. 9.1.1. - Antonina Melis, col sesto motivo d'appello, s'era lamentata del fatto che l'importo delle spese di trasporto fosse stato diminuito senza motivazione alcuna; che non fosse stato riconosciuto il rimborso del maggior costo della locazione; che non fosse stato riconosciuto il rimborso delle spese di assistenza domestica, inglobate nella richiesta di risarcimento del danno biologico e documentate per L. 42.007.240. 9.1.2. - La corte d'appello non ha risposto alle prime due critiche; quanto alla terza vi ha risposto esaminando la questione gia commentata, qui, al punto 7 - osservando che la domanda, sia per spese future sia per le spese già fatte era inammissibile, perché nuova. 9.1.3. - La ricorrente lamenta ora che il motivo di appello sia rimasto senza risposta.
Se non che, per quanto riguarda le spese di assistenza domestica, la risposta v'è stata.
Per quanto riguarda quelle relative alla locazione una risposta non doveva essere data, perché il motivo d'appello era inammissibile: la parte non aveva svolto alcuna critica dell'argomento addotto dal tribunale per respingere la domanda, ovverosia che non era stato provato il nesso di causalità tra infortunio e cambio dell'abitazione.
E ciò può essere ripetuto a proposito delle spese di trasporto, perché il tribunale aveva detto che quelle spese erano in buona misura state sopportate per la necessità di spostamento richieste da ragioni di lavoro: aveva dunque ritenuto che, se poteva considerarsi provato che la parte non si fosse potuta spostare con mezzi propri, non poteva poi considerarsi provato che tutte le spese documentate avevano avuto come causa l'incidente e le conseguenze che ne erano derivate.
Sicché, anche in questo caso, una motivazione c'era, ma non era stata criticata. 10. - Il sesto motivo denunzia vizi di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2056 e 1226 cod. civ.).
Riguarda il risarcimento del danno morale.
Non è fondato.
La corte d'appello in parte ha accolto l'impugnazione proposta sul punto ed ha liquidato il danno, invece che nella misura di L. 47.500.000 fissata dal tribunale ed in quella di L. 250.000.000 indicata da Antonina Melis, in 150 milioni di lire.
Ha considerato questa diversa somma congrua, avuto riguardo alla gravità delle lesioni subite, alla lunga degenza ospedaliera, all'incidenza dei postumi ed alle inemendabili conseguenze dell'incidente.
Questa motivazione mostra che la corte d'appello ha tenuto conto dei tratti che caratterizzavano la situazione concreta e d'altra parte la misura del risarcimento non palesa una evidente incongruità rispetto a quei tratti, e perciò si deve ritenere che di essi è stata compiuta una effettiva considerazione.
La motivazione, in altre parole, è idonea sul piano logico a sorreggere la determinazione del danno e dunque costituisce una motivazione effettiva e non apparente. 11. - L'ottavo motivo di ricorso denunzia un vizio di difetto di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
La parte osserva che manca la motivazione <in ordine alle richieste di prova testimoniale... relative alla sua carriera universitaria e alle assistenze continue di cui abbisogna>.
Il motivo è inammissibile.
Quando la cassazione della sentenza è chiesta per difetto di motivazione su punto decisivo ed il punto è rappresentato dal fatto che le prove chieste non sono state ammesse, la parte ha l'onere di indicare, nel ricorso, le(*) circostanza di fatto che ha chiesto di provare, si da mettere la Corte in condizioni di valutare sulla stessa base del ricorso, se esse avrebbero potuto determinare un diverso accertamento di merito ed una diversa decisione della causa.
Il motivo non presenta questi requisiti. 12. - Il nono motivo denunzia un vizio di violazione di norme sul procedimento (art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112 e 329, secondo comma, dello stesso codice).
Riguarda il capo della sentenza in cui i giudici di secondo grado, accogliendo un motivo di appello proposto dalla Milano assicurazioni, hanno ridotto il saggio degli interessi sulle somme liquidate a favore della parte.
Il motivo non è fondato. 12.1. - Il tribunale aveva condannato i convenuti a pagare, a titolo di risarcimento del danno, la somma complessiva di L. 481.488.200, con gli interessi legali, su tale somma, dalla data dell'incidente.
La corte d'appello - oltre a stabilire per ciascun addendo della somma complessiva una specifica decorrenza - ha ridotto il saggio degli interessi al 4,5%.
Sostiene la ricorrente che la Milano assicurazioni, impugnando la sentenza di primo grado, s'era lamentata del fatto che il tribunale aveva insieme rivalutato la somma e accordato gli interessi, non aveva invece chiesto che il saggio degli interessi fosse ridotto.
Ed allora, il motivo di appello avrebbe dovuto essere rigettato, perché, quando è pronunciata condanna al risarcimento del danno, non è per se contrario a diritto che, oltre alla rivalutazione, siano accordati interessi a ristoro del danno da ritardo.
Le obiezioni che si debbono opporre a questa critica sono le seguenti.
La Milano assicurazioni - nel motivo d'appello - aveva richiamato la sentenza 17 febbraio 1995 n. 1712 delle sezioni unite ed osservato che la liquidazione del danno, effettuata mettendo insieme risarcimento espresso in moneta rivalutata ed interessi legali su tale risarcimento dava luogo ad una duplicazione.
Il relativo capo della sentenza di primo grado era stato quindi impugnato, se ne era dedotta la contrarietà a diritto, la si era individuata nell'aver il tribunale messo insieme somma rivalutata ed interessi legali sulla somma rivalutata.
Era stato così reso operante il dovere del giudice di appello di tornare ad esaminare la questione e deciderla secondo diritto.
Il che imponeva di abbandonare la soluzione fatta propria dal tribunale - dichiarata contraria a diritto nella sentenza delle sezioni unite richiamata nel motivo.
Restava alla corte d'appello l'opzione tra diversi altri possibili modi di liquidare il danno da ritardo e nel loro ambito la corte d'appello ha scelto quello di far decorrere gli interessi sulla somma rivalutata già dal sorgere dell'obbligazione, però in base ad un saggio medio di interesse, costante ed inferiore a quello legale.
Questa soluzione avrebbe potuto essere eventualmente criticata per il suo contenuto, sostenendo che esso era a sua volta contraria a diritto, ma non per violazione di norme sul procedimento, per avere il giudice di secondo grado pronunciato in mancanza di un motivo d'appello. 13. - Si deve ora affrontare il ricorso incidentale dei signori Buccellati e De Maddalena.
Vi si deduce la violazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1882 e 1917 cod. civ., nonché agli artt. 1175, 1176 e 1375 ed agli artt. 1218, 1219, 1223 e 1224 dello stesso codice).
La tesi che vi si sostiene è questa.
Il tribunale aveva accertato che l'assicuratore aveva con colpa tardato a pagare l'indennità alla danneggiata ed aveva affermato che egli doveva rispondere per il risarcimento dovuto alla danneggiata anche oltre il massimale, non però oltre il limite del massimale rivalutato, aumentato di interessi moratori.
Se l'assicuratore avrebbe dovuto rispondere anche oltre tale limite, perché, se il massimale di 500 milioni fosse stato pagato quando l'incidente era avvenuto, esso sarebbe stato sufficiente ad estinguere l'obbligazione di risarcimento; ed allora l'assicuratore è tenuto a garantire gli assicurati per tutto il risarcimento dovuto, perché la differenza è danno da ritardo, ma il ritardo è da imputare a colpa dell'assicuratore.
Il motivo non è fondato, per le ragioni di seguito esposte.
La tesi che vi è esposta è teoricamente esatta.
La responsabilità dell'assicuratore, per la colpa con cui ha pagato l'indennità dovuta secondo il contratto, mentre lo obbliga a rispondere anche oltre il limite del massimale, va commisurata al danno che la sua condotta ha provocato ai suoi assicurati.
Se nel momento in cui l'assicuratore avrebbe dovuto pagare e non lo ha fatto, la somma del risarcimento superava già il limite del massimale, il danno derivato dalla sua colpa è misurato dal deprezzamento del valore monetario del massimale e dagli interessi sino alla data in cui il pagamento dell'indennità è eseguito.
Può invece verificarsi che, se l'indennità fosse stata pagata al momento dovuto, essa sarebbe valsa ad estinguere il credito di risarcimento.
Qui, il danno che la colpa dell'assicuratore cagiona ai suoi assicurati è misurato dalla differenza tra quanto avrebbe potuto pagarsi allora e quanto gli assicurati sono alla fine condannati a pagare perché l'indennità non è stata versata in tempo.
E però, se, quando l'indennità avrebbe dovuto essere pagata, il risarcimento era inferiore ed il danno da svalutazione monetaria e ritardo viene misurato nello stesso modo sul risarcimento e sull'indennità, gli assicurati non ricevono pregiudizio dal fatto che il limite della responsabilità dell'assicuratore è fissato nel massimale rivalutato ed aumentato di interessi: il massimale, infatti, secondo l'ipotesi, era e resta superiore al risarcimento.
L'interesse a dolersi di questo tipo di determinazione della responsabilità dell'assicuratore sorge dunque solo in presenza di specifiche situazioni di fatto.
Una è quella di danneggiati che, ad estinzione del loro credito di entità superiore, chiedono, ma non ottengono, un'indennità compresa nei limiti del massimale; un'altra è quella di danneggiati che subiscano per il ritardo un danno maggiore dell'interesse medio o legale applicato alla rivalutazione del massimale.
La prima di tali situazioni era stata appunto prospettata dalle parti alla corte d'appello, quando avevano fatto riferimento ad una sopravvenuta esasperazione delle richieste della danneggiata.
Ma, da un lato la deduzione era generica, dall'altro il motivo di ricorso non denunzia difetti di motivazione, ma solo una violazione di norme di diritto, di cui, per quanto si è detto, non può essere affermato che le parti abbiano in questo caso interesse a dolersi. 14. - La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti.
Le parti sono rimesse davanti al giudice di rinvio, perché rinnovi l'esame del motivo di appello relativo alla liquidazione del danno biologico da invalidità permanente, uniformandosi al principio di diritto enunciato al punto 5, e del motivo di appello sulla durata dell'invalidità temporanea, ai fini della liquidazione del corrispondente danno biologico.
Il giudice di rinvio è indicato in diversa sezione della corte d'appello di Milano.
Gli è rimesso di provvedere anche sulle spese di questo grado del giudizio tra tutte le parti del processo.
PQM
p.q.m.
La Corte riuniti i ricorsi, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi del ricorso nonché i ricorsi incidentali; cassa in relazione e rinvia ad altra sezione della corte d'appello di Milano, anche per le spese.
Così deciso il giorno 31 gennaio 2001, in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione.
(*) ndr: così nel testo