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Alessandro Giacone

Professore associato

Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Settore scientifico disciplinare: SPS/03 STORIA DELLE ISTITUZIONI POLITICHE

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Dichiarazione di Umberto di Savoia (13 giugno 1946)

Italiani! Nell’assumere la luogotenenza generale del Regno prima, e la Corona pio, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo, liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello Stato.

Eguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.

Di fronte alla comunicazione dei dati provvisori e parziali fatta dalla Corte suprema di Cassazione, di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli, di fronte alla questione sollevata e non risoluta del modo di calcolare la maggioranza, io ancora ieri ho ripetuto che era mio diritto e dovere di re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza assoluta.

Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo con atto unilaterale e arbitrario poteri che non gli spettano e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.

Italiani! Mentre il paese, da poco uscito da una tragica guerra, vede le sue frontiere e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore ed altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto.

Confido che la magistratura, le cui tradizioni di indipendenza sono una delle glorie d’Italia, potrà dire la sua libera parola ma, non volendo opporre la forza al sopruso, né rendermi complice dell’illegalità che il governo ha commesso, io lascio il suolo del mio paese, nella speranza di scongiurare agli italiani nuovi lutti e nuovi dolori.

Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come italiano e come re, di elevare la mia protesta nel nome della Corona e di tutto il popolo, entro e fuori i confini che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge e in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto. A tutti coloro che conservano ancora la fedeltà alla monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all’ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l’esortazione a voler evitare l’acuirsi di dissensi che minaccerebbero l’unità del paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace.

Con l’animo colmo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia Patria. Si considerino sciolto dal giuramento di fedeltà al re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove.

Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d’Italia ed il mio saluto a tutti gli italiani. Qualunque sorte attenda il nostro paese, esso potrà sempre contare su di me, sul più devoto dei suoi figli. Viva l’Italia!