L’Alma Mater nel mondo globale

La storia dell'Università di Bologna nel XX secolo.

Quando, nel 1860, Giosuè Carducci fu chiamato a ricoprire la cattedra di Letteratura italiana, l’Università stava affrontando uno dei periodi più difficili della sua lunga storia. Da due secoli trattenuta nei dogmi della Chiesa, non era rimasto nulla del suo prestigioso passato.

Ma con l’Unità, avendo l’Italia bisogno di rintracciare le sue radici, Bologna si presentò alla modernità come l’antica città comunale nella quale era sorta la prima università d’Occidente.

Così, il 12 giugno 1888, nel cortile dell’Archiginnasio Carducci inaugurava i festeggiamenti dell’ottavo centenario dell’Alma Mater Studiorum, sancendone la riscossa e il ritorno tra i grandi atenei del Mondo.

Nello stesso periodo si stavano tenendo in città le Esposizioni emiliane, in gran parte sistemate nei nuovi Giardini Margherita (inaugurati nel 1879) a cui affluivano visitatori da ogni dove grazie anche all’allargamento della rete ferroviaria e della stazione (1871).

La città sembrava vivere finalmente appieno la vitalità del periodo.

Si aprivano eleganti e ariosi quartieri, si creavano lunghi viali alberati, si inauguravano musei cittadini e in questo clima di rinnovamento, dominato dal Comitato per Bologna Storica e Artistica, anche l’Università cominciò a pianificare la sua espansione.  

Sotto i rettorati di Giovanni Capellini e di Augusto Murri si iniziò a operare in parallelo al più esteso Piano regolatore cittadino. Quando poi, sotto Vittorio Puntoni, si riuscì a ottenere la Prima convenzione edilizia tra Ateneo ed enti locali (divenuta legge nel 1899) si potette creare un moderno distretto di istituti scientifici sulla nuova via Irnerio (Mineralogia, Anatomia, Fisica e Botanica).

Il rilancio dell’Università, che vide raddoppiare i suoi studenti (670 nel 1880, 1368 nel 1890) passava anche dalla maggiore notorietà dei suoi professori, come lo stesso Murri, Enrico Panzacchi, Giacomo Ciamician, Federigo Enriques e Giovanni Pascoli.

Si arrivò dunque ad una Seconda Convenzione (1910) per l’erezione di altri istituti nel quartiere compreso tra Palazzo Poggi e i nuovi viali, aperti dopo l’abbattimento delle duecentesche mura.

La creazione di questa macro area venne però interrotta dalla Prima Guerra Mondiale, che richiamò al fronte numerosi professori e studenti e virò le risorse economiche predisposte sulla causa bellica.

Si dovettero aspettare gli accordi della Terza Convenzione tra il regime fascista e l’Ateneo (1929), perché i lavori continuassero sotto al lungo rettorato di Alessandro Ghigi.

Questi, approfittando delle simpatie politiche e imponendo agli accademici il giuramento al regime, riuscì ad avere grandi finanziamenti, che permisero non solo l’inaugurazione degli Istituti precedentemente pensati (Economia e Politica agraria, Medicina Legale, Chimica, Scienze Farmaceutiche, Igiene, Patologia Generale, Zoologia-Anatomia comparata-Istologia-Antropologia e  varie Cliniche mediche al Sant’Orsola), ma anche la costruzione, dall’altro capo della città, di Ingegneria e Chimica industriale, che assieme a Economia e Commercio, Agraria e Veterinaria erano state trasformate nel frattempo in vere e proprie facoltà (1932-37).

L’Ateneo, infatti, aveva riorganizzato la sua struttura, assimilando quella che ha detta dello stesso Mussolini poteva essere considerata la riforma “più fascista” mai presentata, ovvero la riforma scolastica del ministro Giovanni Gentile (1923). 

Dopo la messa in atto della rigida gerarchizzazione pedagogica, che aveva elevato le discipline umanistiche a fondamenta della futura classe dirigente, epurando dai livelli superiori di studio –e quindi di occupazione- i meno abbienti, furono varate anche le leggi razziali (1938) che allontanarono dall’insegnamento nel caso bolognese ben 11 ordinari e numerosi liberi docenti e assistenti, in uno Studio che tra i primi in Europa aveva istituito nel 1464 una facoltà proprio dedicata alla storia, alla lingua e alla letteratura ebraiche.

Quando finalmente cadde il regime, nel 1943, Ghigi fu destituito e rifiutò il nuovo mandato offertogli dalla Repubblica di Salò. Al suo posto venne eletto il grecista Goffredo Coppola, una delle pagine più nere della storia dell’Università. Coppola, fedelissimo a Mussolini, lo seguì nella sua fuga, andando incontro al suo stesso destino.

Nel frattempo Bologna stava subendo i bombardamenti tra i più devastanti d’Italia, che causarono il crollo di secolari edifici, tra cui parte dell’antica sede universitaria dell’Archiginnasio.

Molti studenti e professori si schierarono contro il regime ed entrarono tra le fila partigiane in una città che venne poi premiata per il suo valore e la sua strenua resistenza.

Il 21 aprile 1945 Bologna era di nuovo libera.

L’Ateno non poté celebrare in modo più simbolico la rivincita dei giusti, eleggendo come primo rettore della rinascita Edoardo Volterra, docente di diritto, nel ‘38 allontanato per le sue origini ebraiche.

Era ora il tempo della ricostruzione e anche l’Università sotto il rettorato di Felice Battaglia rimise mano a nuovi progetti edilizi (Istituti di Matematica e Geometria e Facoltà di Economia e commercio), verificando negli anni successivi un forte incremento delle immatricolazioni.

Tra i nuovi studenti si assistette alla sempre più massiccia presenza di donne (26% del totale), soprattutto a seguito della trasformazione in Facoltà della Scuola di Magistero (1955).

Ma nonostante questa riqualificazione urbanistica e questi numeri in ascesa, l’offerta formativa non brillò particolarmente nel secondo dopoguerra e quando il quadro politico e sociale incominciò a mutare, studenti e precari iniziarono a dimostrare i primi attriti con l’organizzazione centrale, arrivando a ottenere le dimissioni dello stesso Battaglia (1968).

Le proteste mondiali, dilagate anche in Italia, trovarono il disappunto di un noto figlio dell’Alma Mater, Pier Paolo Pasolini, che assieme a Giorgio Bassani, Francesco Arcangeli e Attilio Bertolucci si era formato alla cattedra di Roberto Longhi

Eppure quelle prime manifestazioni e occupazioni portarono già nel 1969 a una svolta decisiva nel campo dell’istruzione e della vita sociale tutta: la Legge Codignola, che finalmente liberalizzava l’accesso alle facoltà universitarie.

Il rettore Tito Carnacini vide quasi raddoppiato il numero degli iscritti bolognesi dall’inizio alla fine del suo mandato (26.000 nel 1968, 50.000 nel 1976).

Malgrado ciò si passò ben presto dalle rivendicazioni e dalle occupazioni pacifiche agli attentati e al terrore: erano iniziati gli Anni di Piombo.

Anche alcune frange estremiste e politicizzate di studenti vennero coinvolte in questa spirale di antagonismo, andando a minare le giuste cause delle rivolte più moderate. In questa situazione, che vide impiegato anche l’esercito, venne ucciso nel 1977 per mano di un carabiniere lo studente Francesco Lorusso.Nono centenario Piazza Maggiore

L’Alma Mater, dal canto suo, stava portando avanti quell’indispensabile iter iniziato negli anni ’50, che puntava a ristabilire forti legami con le altre realtà universitarie, nazionali e internazionali: basti ricordare l’inaugurazione della prima sede europea della Scuola di specializzazione post-laurea della prestigiosa John Hopkins University (1955) o la creazione a Casalecchio di Reno del consorzio interuniversitario Cineca (1967), tra i primi a connettere, attraverso le nuove tecnologie informatiche, atenei, enti di ricerca, ministeri e policlinici.

Ma l’anno che davvero sancì il ritorno dell’Università bolognese al centro del discorso accademico internazionale fu il 1988.

Durante i festeggiamenti del suo IX Centenario, l’allora Rettore Fabio Alberto Roversi-Monaco accolse 430 rettori europei (oggi se ne contano 802 di 85 nazioni) che firmarono la Magna Charta Universitatum, atto col quale l’Europa si impegnava a innalzare il valore dello studio a elemento fondativo del progresso e del benessere dell’umanità.