Gabriele Paleotti

Cardinale, Umanista, laureato in Diritto civile e Diritto canonico, Professore di Diritto canonico (Bologna, 4 ottobre 1522 – Roma, 22 luglio 1597).

Accanto a Carlo Borromeo, Gabriele Paleotti rappresentò l’apice di quella riforma cattolica voluta dal Concilio di Trento ma mai realmente attuata nella sua complessità organizzativa. Umanista, prima ancora che religioso, il Paleotti fu sempre legato allo Studio bolognese. Spesso tentò di ammorbidire le severe direttive della Chiesa, consapevole del valore di una cultura libera sebbene controllata dalle necessità del tempo.

Gabriele PaleottiGabriele Paleotti nacque a Bologna nel 1522 in una famiglia appartenente al ceto ‘borghese’, ben inserita tra le classi sociali più rinomate, in virtù di importanti esponenti legati al mondo politico, universitario e giuridico.

La residenza dei Paleotti, oggi occupata da uffici e aule studio dell’Alma Mater Studiorum, era proprio dirimpetto al magnifico palazzo dei Bentivoglio, ai quali i Paleotti erano leali alleati.

Il nonno di Gabriele, Vincenzo, docente di Diritto civile, era infatti un cortigiano di Giovanni II e riuscì a promuovere la scalata sociale della famiglia anche grazie a fruttuosi matrimoni con altri umanisti del periodo (la figlia andò in sposa a Filippo Beroaldo il Vecchio). Quando però, con l’arrivo in città di Giulio II, i Bentivoglio vennero scacciati, i due figli di Vincenzo, scomparso ormai da qualche anno, vennero rinchiusi a Castel Sant’Angelo.

Il letterato Camillo e il docente di Diritto canonico Alessandro, vennero poi rilasciati grazie all’intercessione del nuovo pontefice Leone X.

Gabriele nacque proprio da Alessandro. Avrebbe continuato l’ininterrotta professione di famiglia come docente universitario.

Rimasto presto orfano di padre, venne istruito nel rinomato Collegio Ancarano di Bologna per poi proseguire gli studi all’Università. Si laureò quindi, nel 1546, in utroque iure, ottenendo due anni più tarsi (1548) la cattedra di Diritto civile.

I precetti giuridici che a suo tempo aveva assimilato da Andrea Alciato e che lui stesso impartiva a lezione confluirono nel 1550 nel De nothis spuriisque filiis, opera subito ristampata in tutta Europa che legittimava i diritti dei figli nati fuori dal matrimonio.

Le sue conoscenze legali lo portarono ben presto alla ribalta anche all’interno della Curia romana, che lo richiamò a sé nel 1556 (Paleotti lasciò per questo la sua città e l’insegnamento), e lo nominò uditore della Sacra Rota Romana: supremo tribunale civile dello Stato Pontificio. 

Quando poi, nel 1562 riaprì l’ultima fase del Concilio di Trento, il cardinale Giovanni Morone, presidente delle sedute, lo innalzò a suo consigliere giuridico, imponendolo nelle delicate questioni come il principale esponente dei tentativi di compromesso tra conservatori e progressisti cattolici e come figura legante tra lo Stato della Chiesa e i regni di Spagna e Francia.

Risale a questo periodo l’importante documento storico, stampato solo nel 1842, del Diarium: annotazioni dello stesso Paleotti che rivelano i fragili momenti di quel definitivo scisma tra romani e protestanti.

Ormai la carriera ecclesiastica era così assicurata e nel 1565 Gabriele Paleotti arrivò alla porpora cardinalizia, tornando a Bologna l’anno seguente come vescovo eletto da Pio V.

Con Carlo Borromeo, suo contraltare milanese, il Paleotti può essere considerato il maggiore esponente della tentata ristrutturazione episcopale post-tridentina. Probabilmente, però, entrambi gli alti prelati vennero allontanati da Roma, non tanto per gestire nelle due città la riforma cattolica, quanto per lasciare libertà e autonomia al pontefice che, invece di contribuire ad una riqualificazione capillare, inaugurò un periodo di forte accentramento amministrativo. Gli ideali del Paleotti, d’altra parte, si palesano nei suoi scritti: l’Episcopale Bononiensis civitatis et diocesis (1580); e l’Archiepiscopale Bononiense sive de Bonniensis Ecclesiae administratione (1594). Al di là degli obbiettivi più prettamente spirituali, il cardinale mirava alla ristrutturazione dell’antico sistema delle pievi, da trasformare in moderne circoscrizioni vicariali a nomina vescovile, coinvolte mensilmente in riunioni collegiali, da aggiungersi ai sinodi diocesani annuali, coi quali si aveva l’interesse di emanare editti e leggi e di eleggere i giudici sinodali responsabili della disciplina del clero locale, a sua volta riqualificato attraverso un nuovo tipo di formazione entro le strutture dei seminari.

Il Paleotti rispetto al Borromeo aveva una cultura più aperta e meno rigida, anche in virtù dei suoi studi e della città che amministrava e che gli aveva dato i natali. I suoi interessi religiosi, infatti, comunicavano costantemente con il mondo intellettuale, universitario e scientifico, tanto che spesso, quando ad esempio c’era il rischio che alcuni volumi venissero messi all’Indice, egli era tra i più strenui difensori della loro legittimità. Tra i tanti atti che favorirono lo Studio locale, certamente ebbe un peso notevole la concessione al Collegio dei Dottori di ammodernare e ampliare la sua sede, dal XIII secolo locata sul retro della cattedrale di San Pietro.

Fu tuttavia ben poco il potere effettivo che potette esercitare, dal momento che a Roma i pontefici avevano ormai inaugurato la loro politica assolutista e a Bologna il Senato nobiliare rivendicava costantemente i suoi diritti amministrativi, anche dopo che, nel 1582, grazie al bolognese Gregorio XIII (al secolo Ugo Boncompagni), la città venne elevata a sede metropolitana e il vescovo Paleotti ad arcivescovo.

Questo senso di abbandono e di frustrazione, nonché una ragionata critica nei confronti del centralismo burocratico papale si riscontrano nello scritto De sacri Consistorii consultationibus, edito nel 1592, quando ormai il Paleotti era tornato a Roma, non senza aver affidato prima Bologna alla direzione del cugino Alfonso Paleotti (anch’egli laureato e, a suo tempo, docente di Diritto canonico nello Studio Bolognese).

Pur essendo tra i cardinali più rinomati in circolazione e pur avendo partecipato a ben sei conclavi, la strada al pontificato era ormai preclusa, vista la mutata situazione politica interna che lo additava come radicale e non affidabile.  

Le difficoltà e le sofferenze degli anni più intensi andarono tuttavia scemando col progredire degli anni e con un maggiore affidamento ad una religiosità intima e personale, che vedeva in Filippo Neri un nuovo modello assoluto. Questa serenità ‘stoica’ raggiunta alla fine della sua vita è il soggetto dell’ultima opera del Paleotti: il De bono senectutis, edito a Roma, nel 1595, due anni prima della sua morte.  

Se ai tempi fu il campione indiscusso assieme al Borromeo della Riforma spirituale cattolica, il Paleotti oggi viene ricordato soprattutto per il suo Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1582), col quale auspicava un maggiore e capillare rinnovamento religioso attraverso l’uso di immagini, necessariamente facili e aderenti al realismo e allo storicismo biblico. Proprio a Bologna, proprio nell’anno della pubblicazione del suo trattato, nacque l’Accademia dei Carracci, veicolo trionfante in tutta Europa dei precetti teorici dell’arcivescovo loro conterraneo.